La fine di un’epoca
La riforma del Ministero del Lavoro
di Fabrizio Di Lalla [*]
Con l’approvazione il quattro settembre scorso da parte del Consiglio dei Ministri degli ultimi decreti legislativi sul Jobs Act, si completa la riforma del rapporto di lavoro per la parte normativa e per le strutture pubbliche deputate al ruolo di impulso, vigilanza e controllo. Una riforma profonda di cui il tempo ci darà il suo giudizio di merito. Quel che ci sentiamo di dire subito senza aspettare il futuro è che la parte più debole di tutto l’impianto è l’istituzione dell’Ispettorato Unico del Lavoro per le ragioni che abbiamo ampiamente trattato nel precedente numero della nostra Rivista (Il cambio della targa). I suoi limiti operativi rischiano di produrre solo un cambiamento formale, che potrà inizialmente produrre sull’opinione pubblica l’effetto placebo finché non si scoprirà il bluff.
Il nostro complessivo giudizio negativo sul progetto si è trovato in buona compagnia perché le critiche sono piovute da ogni parte. Da sottolineare quelle provenienti dagli operatori della vigilanza di ogni estrazione tese a esprimere la delusione subentrata a una speranza andata in fumo nello spazio di un mattino per l’ignavia della classe politica. Una manifestazione del loro profondo disagio e dell’impotenza, nonostante ogni sforzo compiuto, a ottenere risultati migliori, a causa di una situazione tanto degradata. La loro delusione è pari allo sconcerto di chi fa fatica a capire perché mai, l’unità della vigilanza sia stata frantumata nel tempo in tanti rivoli e viene beffardamente mantenuta in vita anche quando se ne annuncia la sua fine.
Tra i giudizi più duri al progetto, ci sono quelli del presidente dell’Inps, contenuti nel documento inviato alla commissione parlamentare. Tito Boeri, infatti, in maniera inequivocabile definisce assolutamente inefficiente la soluzione adottata, ribadendo, peraltro, che l’unico strumento utile per meglio contrastare l’evasione contributiva sia il ripristino dell’unità dell’azione di vigilanza. È talmente elevata la somma evasa, secondo i dati ufficiali dell’Istat ammonta a ben 102 miliardi di euro, che se per ipotesi fosse azzerata, il recupero risolverebbe gran parte dei problemi economici del nostro Paese. Aggiunge il presidente dell’Inps, nei suoi rilievi, che quella prevista nel decreto delegato è un’arma scarica, in quanto non unifica un bel niente, lasciando inalterati i difetti attuali come le duplicazioni degli interventi, la mancanza di una efficace programmazione e le difficoltà a utilizzare i dati disponibili sulla situazione contributiva agli ispettori del Ministero, i ¾ dell’insieme, per le pastoie burocratiche esistenti.
Laddove non siamo d’accordo con Boeri è nella sua contrarietà alla creazione di un ente dotato di ampia autonomia, perché gravato del peccato originale del controllo politico. Dal suo punto di vista l’attività dell’agenzia potrebbe facilmente subire “condizionamenti elettorali”. Ben strana valutazione da parte di un soggetto il cui incarico è di competenza politica al massimo livello, il Presidente del Consiglio, ed è a capo di un organismo il cui cuore pulsante è la massima espressione della rappresentanza politica e delle parti sociali. D’altra parte tutta l’amministrazione diretta e indiretta dello stato agisce su input politici, al centro i ministri o i vertici degli enti economici, che nominano e controllano l’alta burocrazia, sul territorio i rappresentanti degli enti territoriali o delle autonomie locali.
Non condividiamo, inoltre, l’altra sua osservazione, che la creazione di un nuovo ente implica costi aggiuntivi. Nella norma è o dovrebbe essere così ma non in questo caso. Semmai l’errore principale della riforma in questione è proprio l’assoluta mancanza d’investimenti, perché la legge delega dispone che essa nasca a costo zero. Senza soldi come si potrebbero uniformare gli incentivi alla produttività e attrezzare con le debite strumentazioni le unità ispettive? Questo grave errore politico sta costringendo i tecnici a cercare di far quadrare il cerchio. Ma, siccome la cosa non è possibile, l’unificazione non si potrà fare, nonostante l’invenzione ridicola, sottolineata dallo stesso Boeri, del ruolo ad esaurimento. La soluzione, forse, ci potrà essere solo fra qualche decina d’anni quando l’ultimo giapponese dell’Inps, si sarà arreso e avrà lasciato il suo avamposto.
Non aver pianificato la disponibilità dei finanziamenti necessari può anche essere stato un calcolo sbagliato, ma non è improbabile che sia stata un’astuzia di quanti vogliono mantenere, per il loro potere, le cose come stanno, fregandosene dell’efficienza dello stato. Paradossalmente le conclusioni del presidente dell’Inps non sono poi così distanti da questi ultimi.
La sua proposta, infatti, di trasferire tutti gli ispettori all’Inps, sa tanto di corporativismo di ritorno ed è doloroso che sia avanzata da un uomo che abbiamo stimato per i suoi lucidi articoli di politica economica. Purtroppo, accade spesso che, con l'accesso nella stanza dei bottoni e il condizionamento del contorno, si corra il rischio di una mutazione genetica. In questo caso sembra che la razionalità sia andata a farsi friggere e non si capisce perché a parità di risorse, tutti all’Inps va bene e nell’agenzia no. Oltretutto non va dimenticato che i compiti dell’istituto sono limitati all’aspetto previdenziale, assistenziale e pensionistico, mentre l’attività ispettiva riguarda la tutela complessiva del rapporto di lavoro.
Ma, ormai queste considerazioni rischiano di diventare pura accademia, perché la norma è stata approvata nella sua versione originale, salvo qualche modesto aggiustamento, né si è tenuto conto delle proposte migliorative. Speriamo che almeno al vertice del nuovo organismo vengano nominati uomini di provata professionalità e sicure capacità operative.
Intanto, con la prossima istituzione dei due organismi autonomi per la vigilanza e le politiche del lavoro, il Ministero del Lavoro cambierà completamente pelle. Privato di tutte le incombenze operative diffuse sul territorio, dovrebbe diventare il cuore pulsante del settore, un osservatorio in grado di monitorare in tempo reale la situazione lavorativa nei suoi minimi dettagli per offrire al Parlamento schemi normativi adeguati e indicazioni aggiornate all’esecutivo. Un salto di qualità indispensabile, anche per non ripetere vistosi errori di valutazione come quelli sugli esodati e nuovi occupati, che ne hanno offuscato l’immagine al cospetto dell’opinione pubblica. Va detto, comunque, che stiamo assistendo, senza grandi nostalgie per il passato, alla fine di un’epoca.
[*] Presidente della Fondazione Prof. Massimo D’Antona
Seguiteci su Facebook
>