Pubblico impiego in primo piano
I maghi del cartellino e il blocco della contrattazione
di Claudio Palmisciano [*]
Ancora maghi del cartellino, ancora il Pubblico Impiego nell’occhio del ciclone. Dopo il brutto episodio che ha riguardato il comune di San Remo, che ha assunto toni ancora più colorati a causa del timbratore in mutande, nove dipendenti del Museo nazionale di Arti e tradizioni popolari di Roma sono riusciti a dare il meglio di sé: arrivavano al lavoro, timbravano il cartellino per se stessi e per conto di colleghi e poi andavano via. C'era chi si recava presso il negozio di frutta e verdura del marito invece di stare al proprio posto e chi andava regolarmente a giocare presso un centro di scommesse sportive della zona.
Non c’è che dire, fatti gravissimi che, se possibile, alimentano ancora di più l’ostilità nei confronti di tutto il complesso dei dipendenti della Pubblica Amministrazione e arricchiscono di tante banali parzialità molti talk show nostrani. Lo voglio dire come pubblico dipendente e come sindacalista: le scene che ritraggono lavoratori pubblici intenti a timbrare, per sé e/o per altri colleghi, i cartellini di ingresso al lavoro per poi abbandonare il proprio ufficio per dedicarsi a tutt’altra attività sono veramente inguardabili e umiliano e vanificano in maniera determinante lo sforzo quotidiano messo in essere da milioni di lavoratori.
Credo però che in questa nostra Rivista, che si occupa di temi che riguardano il diritto del lavoro e la legislazione sociale, debba essere fatta una particolare riflessione, non solo di tipo giuridico, sul fatto che gli episodi richiamati hanno consentito al Governo di prendere al volo l’assist e programmare un nuovo intervento legislativo utile a prevedere il licenziamento, entro 48 ore dal verificarsi dei fatti, dei lavoratori pubblici sorpresi a violare le regole sulla certificazione della presenza in servizio.
Innanzitutto va evidenziato il fatto che, sull’onda della campagna mediatica, il Governo ha scelto di mettere in cantiere un altro intervento legislativo unilaterale per la regolazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego ma soprattutto che anche questo intervento va nella scia di quelli introdotti a piene mani, praticamente, da tutti i Governi succedutisi negli ultimi 7 anni, a partire dal Governo Berlusconi, con il Ministro della Funzione Pubblica Brunetta, per arrivare allo stesso attuale Governo Renzi, Ministro della Funzione Pubblica Madia; e, aggiungo, tutte le volte che si introducono nuove norme unilaterali di regolamentazione del rapporto di pubblico impiego si continua ad usare l’espressione “riforma della pubblica amministrazione” quando invece, fino ad oggi, la vera riforma, quella che servirebbe veramente alle imprese, ai lavoratori e ai cittadini in genere ancora non si è vista in concreto e la burocrazia inutile, i tempi lunghi e le code infinite, continuano a caratterizzare in maniera molto pesante molte attività degli uffici pubblici.
Sul tema della disciplina nel pubblico impiego, nel N. 6 [Ottobre/Novembre 2014] di LAVORO@CONFRONTO, Fabio Martino con il suo articolo dal titolo “Il Potere Disciplinare nel pubblico impiego dopo il Decreto Legislativo n. 150/2009”
ci ha fornito un quadro ampio sullo stato dell’arte in materia di gestione delle infrazioni disciplinari nel rapporto di lavoro del pubblico impiego; dalla lettura dell’articolo di Martino, fra l’altro, è facilmente desumibile che un ulteriore intervento legislativo sulla materia appare assolutamente inutile e ridondante. A mio parere sarebbe stata più immediata e stringente un’apposita ma rigorosa circolare diramata dal Dipartimento della Funzione Pubblica a tutte le pubbliche amministrazioni tesa a riaffermare l’esigenza del pieno ed immediato rispetto delle norme in vigore.
L’occasione della decisione del Governo di intervenire sul potere disciplinare nel pubblico impiego, per bloccare il fenomeno dei furbetti del cartellino, ha ovviamente trovato ampio consenso nella opinione pubblica che, nella stragrande maggioranza, non è tenuta a conoscere le norme legislative e contrattuali sulla materia e, di conseguenza, si trova ad esprimere un giudizio a caldo che non può essere che nella direzione del rispetto delle regole e, soprattutto, dei cittadini destinatari dei servizi. D’altro canto però, all’indomani dell’annuncio del Governo (licenziamento in 48 ore) girava in rete una battuta che, più o meno, recitava così: “Ai Governi che, in 7 anni, non si sono mai presentati a timbrare il cartellino al tavolo del rinnovo contrattuale dei dipendenti pubblici, che tipo di sanzione dobbiamo applicare ???”.
Già, la contrattazione nel pubblico impiego, una pratica che oramai è rimasta nei ricordi dei sindacalisti di un tempo e per verificarlo basta fare una visita al sito internet dell’ARAN, Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, e verificare che le ultime vere contrattazioni risalgono all’anno 2009. In totale, circa 3 milioni di lavoratori del pubblico impiego sono senza rinnovo contrattuale dal 1° gennaio del 2009. In pratica, dall’inizio della crisi economica, il trattamento economico segna una linea piatta mentre quasi tutto il resto del mondo del lavoro ha continuato a rinnovare i contratti collettivi di lavoro, allargando di anno in anno la forbice retributiva. La fotografia della situazione la fornisce proprio l’ARAN nella Figura 2, inserita nel “Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti”, relativo al 1° semestre 2015, che riportiamo e che, credo, si commenta da sola.
La realtà dei fatti e la semplice constatazione dei dati numerici ci portano ad affermare con sufficiente serenità che dal dopoguerra ad oggi non si era mai verificato un livello così basso nelle relazioni sindacali nell’intero mondo del lavoro e né, tanto meno, nel comparto contrattuale del pubblico impiego.
Persino quando vigeva il Testo Unico degli impiegati civili dello Stato, il DPR n. 3 del 1957, le parti avevano l’intelligenza politica di trovare l’occasione e le soluzioni giuridiche ed economiche utili per le pubbliche amministrazioni e per i lavoratori. Certo, era la prima Repubblica e non c’è dubbio che all’epoca c’era il malvezzo di gestire il consenso elettorale con l’elargizione di privilegi normativi ed economici a favore del pubblico impiego. Però, a partire dal 1993, con la prima privatizzazione del rapporto di lavoro, i pubblici dipendenti hanno visto, più o meno gradatamente ma giustamente, perdere tutti i vantaggi detenuti nei confronti del resto del mondo del lavoro.
Il problema è che oggi, con il blocco totale della contrattazione e con gli interventi normativi unilaterali, l’impiego pubblico è relegato a giocare un campionato di serie B e, come abbiamo già avuto modo di affermare in altre occasioni dalle pagine di questa Rivista, il rischio è che l’impiego nella Pubblica Amministrazione sempre più svalorizzato diventi, soprattutto per i migliori, solo una fase di passaggio e di formazione e, quindi, trampolino di lancio per il passaggio ad altri settori lavorativi più qualificati e remunerati, con buona pace di coloro che vorrebbero uffici pubblici moderni e con impiegati particolarmente professionalizzati.
Torneremo ancora sul tema perché siamo convinti che il Paese ha l’esigenza e merita, invece, di avere una Pubblica Amministrazione al massimo livello di professionalità e di funzionalità al servizio di tutta la Nazione e per fare questo c’è tanto bisogno di momenti di discussione e di confronto fra tutte le parti in gioco, Governo, datori di lavoro e lavoratori perché solo così è possibile immaginare il vero colpo di reni utile a costruire un servizio pubblico al passo con tutti gli altri paesi del mondo occidentale evoluto.
[*] Direttore Esecutivo Fondazione Prof. Massimo D’Antona
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