Occupazione: manca lo slancio
di Claudio Palmisciano [*]
Non consentono di dormire sonni tranquilli i dati sull’occupazione del mese di febbraio 2016 (vedi box) rilasciati nei giorni scorsi dall’Istat. Dopo la pubblicazione della nota da parte dell’Istat, il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, ha così commentato: "Dopo quelli positivi relativi al mese di gennaio, i dati diffusi oggi dall'Istat indicano che il mercato del lavoro continua a registrare oscillazioni congiunturali legate ad una situazione economica che presenta ancora incertezze. Queste oscillazioni non modificano, comunque, la tendenza positiva dell'occupazione nel medio periodo: su base annua, si registrano 136 mila disoccupati in meno e 96 mila occupati in più. Un dato, quest'ultimo, sul quale incide in particolare l'aumento consistente dei lavoratori a tempo indeterminato. Il tasso di disoccupazione, all'11,7%, diminuisce di 0,5 punti percentuali, ed il tasso di occupazione cresce di 0,4 punti percentuali. Anche la disoccupazione giovanile, ancora molto elevata, cala di 2,4 punti percentuali rispetto all'anno precedente. Si conferma, pertanto, la tendenza di stabilizzazione del lavoro dipendente nel nostro paese, legata agli effetti delle scelte compiute per rendere più conveniente il contratto a tempo indeterminato".
Tuttavia, per quel che ci riguarda, rispetto ai dati Istat ci sentiamo di poter fare alcune considerazioni.
Innanzitutto, va detto che la fotografia che l’Istat propone, offre un quadro assai dettagliato sull’oscillazione negativa dei dati dell’occupazione tra i mesi di gennaio e febbraio. Come abbiamo visto, il calo si registra su molteplici fronti: tasso di occupazione (-0.2%), numero degli occupati (-0,4%), tasso di disoccupazione (+0,1%) e così via. Ma se si osservano i dati relativi al mese di gennaio la situazione sembra essere diversa: la stima degli occupati era a +0,3, e il tasso di disoccupazione stabile all’11,5%, per citarne alcuni. Questi numeri, pur essendo dettagliati, non ci consentono di avere una visione di più ampio respiro su quella che è la situazione del mercato del lavoro. Sarebbe utile, in questo caso, valutare i dati almeno su base annua, in modo da non rimanere in balia di continui reflussi, che nel breve periodo sono una cosa normale. E per questo va evidenziato che lo stesso Istituto di statistica ha fatto presente che, su base annua, il numero di occupati è in crescita dello 0,4% (+96 mila, +238 mila i dipendenti a tempo indeterminato), mentre calano sia i disoccupati (-4,4%, pari a -136 mila) sia gli inattivi (-0,7%, -99 mila).
Va detto ancora che, con la riforma del mercato del lavoro, il “jobs act”, si è sicuramente ottenuto l’obiettivo desiderato fino alla fine del 2015 per effetto della decontribuzione che, su base annua e per un triennio, poteva arrivare ad 8.000 euro per ogni nuovo assunto a tempo indeterminato. Con la approvazione della legge di stabilità 2016, è stata modificata la misura e la durata dello sgravio; la percentuale di riduzione contributiva scende al 40%, mentre la durata è di ventiquattro mesi e riguarda i contributi previdenziali con esclusione di quelli dovuti all’INAIL. A fronte di tale modifica, è di tutta evidenza che molti datori di lavoro sono stati indotti ad anticipare al 2015 eventuali nuove assunzioni programmate nell’anno successivo: questo spiega l’aumento degli occupati nel mese di gennaio.
Insomma, in linea generale, si può affermare che il jobs act, con l’introduzione di normative economiche, è riuscito a snellire e facilitare i processi di assunzione dei lavoratori a tempo indeterminato. Questo ha anche contribuito a cambiare l’atteggiamento degli imprenditori nei confronti di chi cerca un lavoro stabile: le assunzioni a tempo indeterminato nel periodo di gennaio 2016 sono aumentate dello 0,7%. Per queste assunzioni vi è quindi una prospettiva, cioè lo sviluppo della carriera, il che è una cosa positiva, in quanto gli imprenditori possono assumere giovani a cui insegnare un mestiere e permettere loro di fare esperienza, senza dover ricorrere per forza al lavoratore già esperto, per risparmiare tempo e denaro.
Ciò detto, va comunque constatato che la crisi è una ferita ancora aperta, soprattutto per quanto riguarda il mercato del lavoro. Le diverse norme riformative non possono da sole bastare per guarirla: questi interventi al limite possono migliorare la situazione a breve termine. La riforma del lavoro, per essere efficace sul lungo termine, necessita di una serie di interventi non occasionali e sparsi, ma di una normativa unica che al suo interno contenga una serie di misure atte a far riassestare, un poco per volta, la crescita occupazionale. Tali misure dovrebbero essere rivolte, in un’ottica ben precisa, a chi durante la crisi ha sofferto e sta ancora soffrendo i recessi del mercato. Ma, soprattutto, per poter puntare ad una robusta ripresa dell’occupazione abbiamo l’esigenza di recuperare la produttività (in costante calo), le riduzioni di orario di lavoro, la cassa integrazione; tutti strumenti utilizzati per tamponare la crisi. Ci vorrà tempo, e lo sviluppo economico tornerà solo se si metteranno in campo politiche adeguate che puntino sugli investimenti i quali sono, è noto, il vero motore del progresso sociale: essi consentono di introdurre le innovazioni che di quel motore rappresentano il carburante.
In tal senso, ci teniamo a sottolinearlo, un vero e proprio investimento per il Paese è rappresentato dal rinnovo dei contratti di lavoro di numerosi settori produttivi, economici e dei servizi. Oggi oltre 7 milioni di lavoratori hanno il contratto di lavoro scaduto. Per citarne alcuni, si va dai tre milioni di dipendenti pubblici (contratto bloccato da oltre 6 anni), agli oltre 4 milioni del settore privato tra i quali spiccano i metalmeccanici (1.600.000 lavoratori), i lavoratori del terziario (in totale 1.500.000 di cui 500.000 della grande distribuzione), quelli delle attività ferroviarie (800.000) e quelli delle costruzioni (oltre 600.000 nella sola edilizia).
E nell’elenco degli investimenti indispensabili per il Paese entra a pieno titolo la rivendicazione portata avanti dai Sindacati, con maggior vigore in quest’ultimo periodo, sulle modifiche alla legge Fornero; modifiche finalizzate soprattutto alla introduzione - senza ulteriori costi aggiuntivi a carico dei lavoratori - di elementi di flessibilità sul collocamento in pensione. Questa scelta rappresenterebbe un vero atto di giustizia sociale nei confronti di coloro che si sono visti, da un giorno all’altro, sbarrare la strada verso il meritato inizio del periodo di riposo dopo una lunga vita di lavoro ma anche nell’ottica delle sicure maggiori aperture di spazi occupazionali che si creerebbero soprattutto a favore dei giovani.
Insomma, il Paese per tornare a crescere ha bisogno anche della giusta valorizzazione professionale della sua intera forza lavoro e della piena apertura di tutte le opportunità possibili per i giovani e per i meno giovani e, magari, provando a sostenere tutto ciò un minuto prima di mettere nel conto spese altri 80 euro.
[*] Direttore Esecutivo, Fondazione Prof. Massimo D’Antona (Onlus)
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