Lo smarrimento del bene comune
di Fabrizio Di Lalla [*]
Il mio ultimo scritto apparso sul numero precedente, in cui argomentando sulla perdita dei valori fondanti della nostra società mi dilungavo sulla profonda crisi del movimento sindacale, ha incontrato, com’è giusto che sia, consensi e critiche. Tra queste ultime mi ha colpito la nota di un operatore di un ufficio territoriale (ancora per poco) uno di quelli che tirano la carretta della credibilità della PA. Esprimeva dissenso soprattutto per il tono, secondo lui duro e ingiusto, da me usato nei confronti di un movimento in cui ci sono ancora tanti che lottano, in condizioni altresì più difficili di quelle di un tempo, per l’affermazione dei valori in cui credono.
Al mio lettore chiedo scusa se l’amara costatazione della costante decadenza di un’attività che ritengo indispensabile, cui, oltretutto, ho dedicato i migliori anni della mia vita, mi ha inconsapevolmente forzato la mano e la penna. D’altra parte sullo stato di salute delle organizzazioni sindacali penseranno a informarci prossimamente gli stessi leader confederali, nell’ambito del nostro lungo viaggio all’interno di quel mondo, iniziato proprio nel numero scorso.
Voglio comunque rassicurarlo perché il mio articolo non è stato il frutto di un raptus qualunquista, purtroppo oggi imperante, ma il tentativo di analizzare le cause dell’attuale crisi dei valori e degli strumenti creati per metterli in atto, che hanno permeato il nostro modo d’essere per oltre un trentennio dalla nascita della repubblica. Il motivo, in altri termini, dello smarrimento del concetto di bene comune da parte di una consistente componente della nostra società. Questo ideale ha rappresentato il fine ultimo delle ideologie o delle dottrine religiose imperanti: il mercato perfetto, l’uguaglianza come base di partenza, la ricompensa ultraterrena. Le ideologie si sono sempre rivolte alla gran parte degli uomini ma non a tutti perché necessitano anche dell’avversario da sconfiggere.
L’attrazione dell’idea di bene comune deriva dal fatto che i suoi elementi sono in gran parte, assimilabili con i desideri individuali. Persino il più povero degli uomini può condividere l’idea di un mercato perfetto in cui possa far valere le sue capacità; il più grande peccatore può credere nell’idea della redenzione. Ma le ideologie, anche quando sembrano universali ed eterne, sono pur sempre elaborazioni umane e quindi hanno un loro percorso che si conclude quando vengono soppiantate, nel corso della storia, da altre che penetrano in profondità nel comune sentire.
L’attuale crisi della nostra società, però, non trae origine da tutto ciò; piuttosto dal tradimento delle classi dirigenti nello strumentalizzare i valori fondanti della nostra società per dare spazio esclusivo ai propri interessi. Di conseguenza, hanno fatto di tutto per screditare gli organismi che potevano impedire questa deriva, favorendo la moda dell’effimero e del particolare. Così con progressione si è diffuso a macchia d’olio in strati sempre più vasti della società individualismo ed edonismo.
L’affievolirsi del concetto di bene collettivo ha arrecato danni nella gestione della cosa pubblica, dalla base al vertice, dagli enti locali agli organismi di vertice del nostro paese. Un esempio per tutti è lo stato comatoso in cui si trova il nostro sistema scolastico e i recenti episodi di violenza verificatisi tra gli attori di questo scenario, riportati dalle cronache sono lì a confermarlo. E’ solo un elemento aggiuntivo alla dimostrazione del degrado esistente. Oggi basta accostarsi a questa istituzione fondamentale per il futuro del nostro paese per costatarne la decadenza materiale e spirituale, sottolineata, d’altra parte, dalle valutazioni degli organismi internazionali.
Agli edifici spesso di difficile agibilità per l'indifferenza della classe dirigente che non fornisce le risorse necessarie alla manutenzione e per lo stesso atteggiamento irriguardoso versi questi beni pubblici tenuto dagli utenti, si aggiunge la scarsa attenzione data all’insegnamento, basato ancora in gran parte su un nozionismo che si può apprendere oggi per altre vie, mentre invece è colpevolmente trascurato l’insegnamento delle virtù civiche. Eppure anche in uno stato così desolante e desolato non mancano quelli che credono e si battono per il bene comune. E sono tanti, sebbene frantumati e dispersi come singoli individui o aggregati in realtà, limitate per fini e confini, come la nostra fondazione: una piccola, grande istituzione che consente a donne e uomini di buona volontà di svolgere azioni di solidarietà. C’è, dunque, ancora la speranza di rendere nuovamente vivibile la nostra società attraverso la creazione di corpi intermedi di vasta aggregazione o il ripristino della credibilità di quelli esistenti. Bisogna far presto, tuttavia, perché il tempo sta scadendo e con esso il rischio di consegnare alle nuove generazioni le macerie di una società senza ideali per i quali in tanti ci sono battuti nel corso della storia.
[*] Presidente della Fondazione Prof. Massimo D’Antona
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