Contratti di lavoro: 10 milioni in attesa
di Claudio Palmisciano
Sono oramai più di 10 milioni i lavoratori dipendenti che in Italia attendono il rinnovo del proprio contratto collettivo nazionale di lavoro. È quanto emerso da uno studio che la UIL Nazionale ha effettuato incrociando i dati relativi alla applicazione dei CCNL ai fini contributivi nonché quelli provenienti dalle strutture interne di organizzazione. Il quadro che emerge è davvero preoccupante soprattutto considerato il fatto che, in questo momento ancora troppo difficile per il Paese, i rinnovi dei contratti di lavoro potrebbero rappresentare il vero combustibile per il motore della nostra economia nazionale che oramai da troppi anni continua a perdere colpi a causa di discutibili scelte di politica economica portate avanti solo con il rigore della macchina calcolatrice e, come se non bastasse, a far di conto con il tasto PIÙ fuori uso. Insomma, se davvero si vuole discutere di crescita senza infastidire i rigoristi di Bruxelles, una leva possibile e determinante è proprio quella del rinnovo dei contratti di lavoro scaduti. E per questo è oramai diventato indispensabile che il Governo assuma da una parte un ruolo di mediazione e di sostegno alla contrattazione collettiva nel settore privato, a partire dal CCNL dei metalmeccanici e, dall’altra, si decida ad assumere le scelte utili a sostenere la più proficua stagione contrattuale nel pubblico impiego dove tre milioni di lavoratori hanno il contratto di lavoro fermo al 2009.
Si tratta, in buona sostanza, di favorire gli adeguamenti salariali in tutti i settori produttivi perché la giusta valorizzazione economica della prestazione professionale del lavoratore ha un peso, sul PIL, più alto rispetto alla ambigua scelta degli 80 euro i quali hanno senza dubbio rappresentato un aiuto per molte famiglie ma che alla lunga sono rivolti a creare situazioni di grande contraddizione perché destinati ad essere assorbiti/sostituiti dagli auspicati aumenti contrattuali e, peggio ancora, cancellati all’atto del pensionamento in quanto ininfluenti agli effetti contributivi.
Ancora. L’impegno sulla parte economica dei contratti di lavoro deve puntare a ravvicinare, per quanto possibile, i livelli salariali del nostro Paese a quello degli altri partners europei. Non a caso, ad esempio, “sui salari ai neolaureati l'Italia è ultima come nel 2014: anzi, vede il divario sulla Spagna penultima ampliarsi del 12%, e le posizioni intermedie come l'Olanda sono a -47% da qui”. (La Repubblica, 16-2-2016 – V. Tabella). In altri termini, oltre che una questione di opportunità, è ora di assumere decisioni urgenti anche per fermare la pericolosa fuga dei giovani verso gli impieghi più gratificanti offerti da altri paesi europei i quali sono nelle condizioni di poter “fare shopping” sul mercato del lavoro italiano potendo puntare su giovani altamente qualificati ma cresciuti sui banchi delle nostre scuole. Le stesse imprese, che oggi si presentano all’approccio del tavolo di contrattazione in modo torvo, sanno benissimo che la messa in circolazione di massa di danaro fresco attraverso il contratto di lavoro, oltre che rappresentare lo scambio per la messa in discussione dei miglioramenti di produttività in azienda, può tornare utile in termini di profitto all’impresa stessa per effetto della aumentata capacità di spesa da parte delle famiglie. A questa logica non può sottrarsi nemmeno lo Stato che è interessato ad una maggiore circolazione di massa salariale per l’evidente ritorno di bilancio in termini di tassazione e, di conseguenza, per la aumentata disponibilità economica da mettere in campo per investimenti, sviluppo e spesa sociale.
Riprendiamo, infine, un ragionamento sul blocco totale (7 anni) della contrattazione nel pubblico impiego; con questa scelta, unitamente agli interventi normativi unilaterali, l’impiego pubblico è relegato a giocare una partita di secondo piano e, come abbiamo già avuto modo di affermare in altre occasioni dalle pagine di questa Rivista, il rischio è che l’impiego nella Pubblica Amministrazione sempre più svalorizzato diventi, soprattutto per i migliori, solo una fase di passaggio e di formazione e, quindi, trampolino di lancio per il transito ad altri settori lavorativi più qualificati e remunerati, con buona pace di coloro che vorrebbero uffici pubblici moderni e con impiegati particolarmente professionalizzati.
Concludo con un auspicio. Fabrizio Di Lalla, Presidente della Fondazione Prof. Massimo D’Antona, nel suo articolo “Un vuoto da colmare” pubblicato nel n. 14 di LAVORO@CONFRONTO, si è a lungo soffermato sulla crisi che sta attraversando oggi il movimento sindacale italiano. Bene, io credo che l’occasione dei rinnovi dei numerosi contratti di lavoro scaduti possa davvero rappresentare un punto di svolta per i milioni di lavoratori e per le loro famiglie - da tanti anni tartassati a causa di troppe rigidità, perdita di posti di lavoro e blocchi contrattuali - grazie ad un sindacato in grado di tornare ad essere, con il giusto colpo d’ala, la guida sicura di tutto il mondo del lavoro, quel Sindacato che dal dopo guerra ad oggi ha aiutato l’Italia a diventare un grande Paese. Io ci credo…
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