Uomini o caporali

di Stefano Olivieri Pennesi [*]

Olivieri Pennesi 4Il fenomeno del “Caporalato”, così come lo conosciamo, affonda le sue origini già negli anni immediatamente successivi alla II° guerra mondiale. Esso è sintetizzabile come una “forma illegale” di reclutamento, ma anche organizzazione e logistica di manodopera e forza lavoro, principalmente nel settore agricolo come pure, seppur in maniera diversa e minore, in ambito edile.

Tale procacciamento di braccia avviene, appunto, attraverso degli intermediari chiamati comunemente caporali, che di fatto assumono per conto dei reali imprenditori gli “operai giornalieri” percependo, da questi ultimi, una sorta di tangente percentualmente calcolata sulle ore/giornate di lavoro, alla quale si aggiunge una tariffa per il servizio di trasporto da e per i luoghi di svolgimento dell’attività lavorativa, come anche, frequentemente, vengono percepiti ulteriori introiti per fornitura di medicine, alimenti, strumenti di lavoro, ecc.

Risulta evidente la illiceità di tale pratica in quanto esercitata al di fuori dei regolari canali di collocamento e in assenza del rispetto dei vincoli contrattuali sul riconoscimento dei minimi salariali da corrispondersi. A questo purtroppo, sempre più, si va legando un vero e proprio fenomeno che ci riporta con la mente alla odiosa pratica della schiavitù, in uso soprattutto negli Stati delle Americhe, con la conseguente deportazione di milioni di esseri umani provenienti per lo più da Paesi Africani.

Tornando ai nostri giorni e al nostro Paese, è bene sottolineare come appunto negli ultimi 20 o 30 anni da un fenomeno concentrato relativamente su una parte di regioni meridionali, sfruttando lavoratori quasi totalmente italiani e di genere femminile, progressivamente il caporalato si è esteso coinvolgendo anche altre Regioni d’Italia: dal Piemonte alla Lombardia e Veneto, dall’Emilia Romagna alla Toscana e al Lazio, oltre che consolidarsi, fortemente, in Puglia, Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania, sfruttando il lavoro che possiamo sicuramente definire schiavo, di uomini e donne di colore come anche però provenienti da Paesi dell’Est Europa.

Si assiste sempre più frequentemente, nel Paese, ad una sorta di transumanza umana di migliaia di persone che seguono gli andamenti delle produzioni e delle stagioni, per essere impiegate nelle zone agricole in situazioni di estremo degrado a rischio delle vite per ragioni climatiche e orari di impiego, in accampamenti di fortuna, spesso sui medesimi campi, senza alcuna dotazione fondamentale di acqua corrente, luce, servizi igienici, abitabilità, supporti medico- sanitari e sufficienti alimenti.

A questa condizione drammatica si abbina, inevitabilmente, la fatica lavorativa estrema per 12/15 ore di lavoro svolte con temperature insostenibili, caldo soffocante, che si alterna al freddo e umido dei campi durante la notte; impieghi inumani sfruttati per le coltivazioni di pomodori, agrumi, ortaggi, ma anche vigneti, frutteti, ecc. nei diversi distretti agricoli della nostra penisola, censiti in oltre 80 zone produttive.

A scopo divulgativo menzioniamo il fatto che solo nel 2011 è stato introdotto, dall’articolo 12 del decreto legge n.138/2011, nel nostro codice l’articolo 603 bis quale reato penale di caporalato e parallelamente, l’anno seguente, lo “strumento premiante” della concessione del permesso di soggiorno ai lavoratori che denunciano i propri sfruttatori.

Uno studio recentissimo realizzato dalla Flai-Cgil Osservatorio Placido Rizzotto, su Agromafie e Caporalato, stima esserci in Italia una platea di circa 430 mila lavoratori tra stranieri per l’80% e italiani per il restante 20%, interessati dal fenomeno caporalato, con una ulteriore stima, per difetto, del danno economico prodotto pari a circa 5 miliardi di euro annui, e un volume di affari, movimentato all’interno di una economia illegale e sommersa, che si aggira tra i 14 e 17 miliardi di euro all’anno.

Per fare fronte a questa piaga disumana legata allo sfruttamento assoluto di forza lavoro, oltre ogni remora, nel recente passato il Governo, e nello specifico i Ministri della Giustizia, delle Politiche Agricole, e del Lavoro, ha messo in campo una iniziativa che certamente va nella giusta direzione, per contrastare il fenomeno che stiamo dibattendo, denominata “Rete lavoro agricolo di qualità”, (istituita presso l’Inps) che trae origine quale attuazione del d.lgs. n.91 del 24 giugno 2014 art.6 e che concretamente rappresenta un elemento a tutela delle molte “aziende sane” che hanno così modo di distinguersi da altre imprese che risultano, di contro, essere inquinate e permeate dal sistema caporalato.

Altro elemento qualificante dell’azione di governo, nel tema in questione, è la sottoscrizione di uno specifico protocollo siglato il 27 maggio 2016 dai Ministri dell’Interno, delle Politiche Agricole e del Lavoro per la messa in campo di iniziative finalizzate a progetti concreti contro il caporalato e il miglioramento delle condizioni di accoglienza dei lavoratori.

In questo girone infernale, è bene affermarlo, esiste una sorta di Caronte ma bifronte, che da una parte assume le sembianze del caporale di turno e dall’altra dell’imprenditore che magari consapevolmente e collusamente è il beneficiario dello sfruttamento di forza lavoro irregolare, assolutamente sottopagata con 3 o 4 euro l’ora senza alcuna copertura previdenziale ed assicurativa, in molti casi clandestina, proveniente spesso dalle masse di migranti disperati che approdano nelle nostre coste in fuga da guerre, carestie, povertà, persecuzioni, o anche semplicemente alla ricerca di migliori condizioni di vita che evidentemente non riescono a trovare neanche nel nostro Paese.

Qui si innesta un ulteriore elemento del fenomeno in trattazione ovvero lo sfruttamento gestito da gruppi mafiosi declinati in Agromafie, dove coesiste anche il sistema della contraffazione dei prodotti alimentari e la proliferazione dei diversi modelli di caporalato.

Altro ambito di interessi illeciti della filiera agricola si sostanzia nel giro di affari dei grandi mercati generali per lo smistamento e vendita dei prodotti ortofrutticoli, connesso, frequentemente, alla grande distribuzione e alle imprese di trasformazione anche multinazionali di trasformazione dei prodotti agricoli.


Tale intesa è stata sottoscritta anche dall’Ispettorato nazionale del lavoro, dalle Regioni Basilicata, Calabria, Piemonte, Puglia, Sicilia, dalle OO.SS. dalle Associazioni di categoria, Coldiretti, Cia, Copagri, Confagricoltura, Acli terra, Alleanza cooperative, Caritas, Libera, Croce Rossa. Tra le azioni principali e qualificanti del Protocollo si può annoverare:

  • La stipula di convenzioni per l’introduzione del servizio di trasporto gratuito per lavoratori e lavoratrici nell’itinerario casa/lavoro
  • Istituzione di presidi medico-sanitari mobili per garantire interventi di prevenzione e primo soccorso
  • Utilizzo di beni immobili disponibili o confiscati alla criminalità organizzata per creare centri di servizio e di assistenza socio sanitari anche in collaborazione con le istituzioni locali, organizzazioni del terzo settore e parti sociali
  • Impiego temporaneo di immobili demaniali per le necessità di gestione emergenze connesse ai flussi di lavoratori stagionali
  • Bandi per promuovere l’ospitalità dei lavoratori stagionali in condizioni salubri e dignitose osteggiando quindi la creazione di ghetti
  • Creazione di sportelli di informazione per l’incontro di domanda e offerta di servizi abitativi
  • Organizzazione di servizi gratuiti di distribuzione di acqua e viveri per gli stagionali
  • Attivazione di servizi di orientamento al lavoro mediante i Centri per l’Impiego e i servizi attivati dalle parti sociali
  • Sporteli informativi mobili con l’ausilio di mediatori culturali-linguistici, psicologi, ecc.
  • Istituzioni di corsi di lingua e di formazione lavoro.


Pennesi 17 2Ulteriore elemento qualificante dell’azione delle istituzioni è certamente la firma di un secondo protocollo, di natura meramente operativa, sulla vigilanza interforze contro il caporalato, siglato il recente 13 luglio 2016 dal Ministero del Lavoro con il Ministero della Difesa, delle Politiche Agricole, l’Ispettorato nazionale del lavoro, le Regioni le Organizzazioni sindacali e datoriali le organizzazioni di volontariato.

Lo scopo di tale atto è quello di assicurare, attraverso l’impiego di uomini dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo Forestale dello Stato, il contrasto più efficace possibile alle gravi violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale, in modalità interforze, programmando interventi congiunti e scambiando reciproche informazioni anche sul rischio di infiltrazioni criminali, istituendo inoltre un tavolo tecnico sull’agricoltura e relative implicazioni del Protocollo.

Sempre in tema di caporalato dobbiamo fare giusta menzione dell’ulteriore strumento che il Legislatore ha posto in essere, vale a dire il recente disegno di legge approvato dal Senato, quasi unanimemente, prima della pausa estiva e quindi passato all’esame della Camera dei deputati.

Ebbene tale norma si sostanzia con il rafforzamento degli strumenti di contrasto civili e penali, aggredendo patrimonialmente, previa confisca dei beni e rendendo più incisiva la rete del lavoro agricolo di qualità, di cui abbiamo parlato sopra. Ma di più e maggiormente importante il fatto di vedere finalmente una puntuale definizione giuridica di questo reato che, fino ad oggi, ritengo, non aveva visto ancora ben definito il suo impatto e la sua pericolosità sociale nonché gravità economica.

Le principali caratteristiche di tale strumento legislativo possono sintetizzarsi in: rivisitazione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. In particolare l’art.1 modifica il già menzionato art. 603 bis del codice penale, prevedendo la pena della reclusione da 5 a 8 anni sia per l’intermediario che per i datori di lavoro che sfruttino i lavoratori, ma anche una multa da 1000 a 2000 euro per ogni lavoratore reclutato, approfittando dello stato di bisogno in cui versa.

Se tali fatti sono commessi con l’aggravante delle violenze e delle minacce la pena viene elevata da 5 a 8 anni con previsione di arresto in caso di flagranza.

In una parola come novità di rilievo la modifica penale in questione introduce il principio della “piena corresponsabilità” tra caporale e imprenditore, ma altresì la descrizione in dettaglio delle condizioni che conducono ad identificare lo “sfruttamento”.

Si prevede con la norma anche il cosiddetto “controllo giudiziario” dell’azienda responsabile del reato, al fine di evitarne la chiusura e quindi le conseguenze negative sul mantenimento dei livelli occupazionali.

Ma a questo punto, è bene dirlo, tutti gli interventi normativi seppur necessari e doverosi, a nulla possono rispetto ad un prioritario bisogno di incentivare e sostenere l’imprenditoria agricola, focalizzando anche l’attenzione sul fenomeno e la formazione del prezzo dei prodotti agricoli, intervenendo sulla filiera che beneficia dello sfruttamento dei lavoratori e che implica il sottopagare con pochi centesimi le produzioni agricole.

Altro elemento positivo potrebbe essere la concreta responsabilizzazione della filiera, magari iniziando con il garantire che dietro ogni prodotto e alimento sia italiano che straniero ci sia una sorta di pedigree immateriale ovvero una “certificazione etica” che garantisca sul percorso virtuoso di qualità per l’ambiente, la salute e il lavoro, necessario a produrre.

Si potrebbe andare quindi verso una produzione per così dire “etica” dell’intera filiera, senza trascurare la qualità dei prodotti e la lotta alla altra piaga rappresentata dalla contraffazione alimentare.

Le vittime del caporalato, nelle diverse forme attuate con stranieri ed italiani indistintamente, assumono, come evidenziato nella citata ricerca Flai-Cgil, a quasi mezzo milione di persone. Per tutti valgono regole non scritte sullo sfruttamento, in primis nessun contratto, un salario compreso tra i 22 e i 30 euro al giorno, inferiore di circa il 50% rispetto alle tariffe medie dei contratti collettivi di settore. Lavoro quasi sempre svolto “a cottimo” ossia per quantità realizzate. A ciò si unisce inevitabilmente tanta violenza, ricatti, abusi anche di natura sessuale, sottrazioni di documenti, trasporto obbligatorio a titolo oneroso, imposizione alloggi o per meglio dire tuguri di fortuna, e tante altre angherie.

Pennesi 17 1Il caporalato, se vogliamo, rappresenta un modus operandi, una modalità per poter gestire e quindi controllare soggetti deboli, ossia una forza lavoro povera che in una situazione di estremo bisogno non è in grado di rifiutare il lavoro anche se posto ai limiti della sopravvivenza per trattamenti e condizioni in cui viene svolto.

E su questo mi permetto di offrire uno spunto di riflessione, ossia, sul fatto che non è giusto pensare che qualsiasi forma di lavoro può essere migliore di un non lavoro. È bene considerare il lavoro un valore irrinunciabile, ma proprio per questo esso deve poter offrire una giusta retribuzione, delle condizioni di svolgimento che non debbano condurre a rischi per la salute e per la sicurezza stessa delle persone, in contesti dignitosi, al riparo da sfruttamento e vessazioni di qualsivoglia natura.

Passiamo ora a fare un breve accenno sul cosiddetto volto legale del caporalato, se così possiamo dire, ovvero la capacità di dissimulazione di questo fenomeno per sfuggire al giusto e convinto contrasto che si tenta di attuare.

Mi riferisco ad un “caporalato nascosto” in quanto articolato sottoforma di “false cooperative” o anche dette “cooperative spurie”, ma come anche, nello specifico settore agricolo, cooperative senza terra le quali riescono a celare queste forme di illegalità.

Il funzionamento è semplice. Solitamente queste “non cooperative” vengono intestate a soggetti nullatenenti (in gergo teste di legno) che per tale ruolo di firma ricevono piccoli compensi. Le attività prendono il via sfruttando, al contempo, le agevolazioni che vengono riconosciute per questo modello di impresa. Vengono quindi fatte delle assunzioni fittizie, elaborate buste paga inferiori ai pagamenti effettivamente corrisposti, straordinari occultati con altre voci stipendiali, inseriti compensi sotto la voce trasferte, ma mai effettuate, o anche rimborsi spese per oneri non sostenuti. Quasi sempre contributi e tasse non vengono versate.

Dal punto di vista formale i lavoratori che vengono sfruttati risultano essere soci della cooperativa, ma in quanto ricattati le decisioni e la fattiva partecipazione subiscono l’eterodirezione dei veri titolari dell’impresa sociale.

È evidente che utilizzare queste false cooperative permette l’abbassamento radicale del costo del lavoro, con una parvenza di legalità nell’appaltare intere produzioni, ad esempio quelle agricole, a costi nettamente inferiori a quelli medi di mercato.

L’altro elemento, per così dire utilitaristico e predominante, è rappresentato dalla facilità nel creare e sciogliere tali sodalizi societari, appositamente costituiti anche per dopare il mercato, con un vero e proprio “dumping contrattuale”, ricorrendo di fatto ad un sistema di somministrazione irregolare di manodopera, accompagnata ad altri strumenti illeciti di evasione ed elusione fiscale, tributaria, contributiva, assicurativa.

In chiusura una riflessione sul fatto che lo sfruttamento del lavoro ha prodotto nei secoli, da una parte, ingiustizie economiche e sociali, come anche arricchimenti fuori da ogni regola, causando frequentemente rivoluzioni, ribellioni, sommosse, violenze, morti, come pure, dall’altro lato, legittime rivendicazioni sindacali e umane che hanno in parte riscattato i nostri valori umani fondamentali.

Ed infine, prendendo spunto dal titolo di questo redazionale, parafrasato da un famoso film degli anni cinquanta, interpretato dal Principe De Curtis, in arte Totò, mi permetto di enunciare un passaggio/dialogo illuminante della sceneggiatura in questione:

… “L’umanità – diceva il protagonista del film – io l’ho divisa in due categorie di persone: uomini e caporali. La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza. Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama… I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano…. Caporale si nasce, non si diventa!...”

[*] Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, Roma – titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro”. Il Prof. Stefano Olivieri Pennesi è anche Dirigente del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Direttore della DTL di Prato. Ogni considerazione è frutto esclusivo del proprio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.

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