Una data da non dimenticare
di Claudio Palmisciano
20 maggio 1999, ore 8,30, il professor Massimo D'Antona, 51 anni, esce dalla sua abitazione di un palazzo di via Salaria a Roma e si dirige a piedi verso il suo studio di via Bergamo, dove ogni giorno lavora e realizza le consulenze per il Ministero del Lavoro. D'Antona cammina a passo normale, con la sua borsa in pelle marrone scuro nella mano destra. Riesce a percorrere solo poche decine di metri. Due giovani lo sorprendono alle spalle. L'agguato dura sessanta secondi. Un minuto per uccidere il Consulente del Ministro del lavoro con sei colpi di una pistola calibro 38. Un omicidio politico nel centro di Roma.
Nella costernazione generale, Massimo D’Antona lascia la moglie Olga e la figlia Valentina. Massimo D’Antona viene ucciso dalle brigate rosse perché individuato come la mente pensante del “Patto per l’occupazione e lo sviluppo”, firmato fra Governo e parti sociali alla fine del 1998; un patto che il giurista aveva pensato per il Governo guidato da Massimo D’Alema e per il ministro del Lavoro Antonio Bassolino.
Quella mattina eravamo proprio presso la sede del Ministero del lavoro, in Via Flavia, per la prosecuzione di una trattativa che riguardava il contratto integrativo dei dipendenti di quel Ministero; io guidavo la delegazione della Cisl e insieme ai colleghi Roberto Giordano della Cgil e Fabrizio Di Lalla della Uil, mentre il frastuono degli elicotteri della polizia aumentava di intensità di minuto in minuto, rimanemmo impietriti quando proprio sul cellulare di Roberto arrivò la notizia del barbaro omicidio e attoniti, a maggior ragione, perché sapevamo tutti che Massimo D’Antona, in quel periodo, stava lavorando con i tecnici del Ministero e delle Organizzazioni sindacali confederali per la concreta attuazione del patto firmato solo qualche mese prima. Una grave perdita per la famiglia, una grave perdita per il mondo del lavoro.
Rileggendo la sua storia professionale, i diversi libri pubblicati, il gran numero di interventi divulgati su riviste specializzate, gli importanti documenti scritti a sostegno della azione del Governo, si resta veramente sbalorditi per la rilevanza qualitativa e quantitativa degli studi messi a disposizione della politica, del sindacato, degli studiosi e del Paese tutto.
Su Massimo D’Antona e sulle sue opere sono state scritte tante cose. Noi, in questa occasione, vogliamo ricordare che nel patto del 1998, quello che poi avrebbe purtroppo provocato la sua condanna a morte, Massimo D’Antona aveva scritto chiaramente, per conto del Governo, delle regole fondamentali precise per quanto riguarda il metodo e la politica della concertazione; un metodo ed una scelta politica cui lui puntava molto, perché pensava, era convinto, che le forze sociali, datoriali e dei lavoratori, dovessero impegnarsi direttamente nell’assunzione di responsabilità piene nella scrittura delle regole di governo del mondo del lavoro.
Negli ultimi anni, sulla concertazione ha prevalso un atteggiamento quasi di sufficienza e di rifiuto mentre invece noi della Fondazione siamo ancora convinti che le decisioni importanti che riguardano il lavoro, la sanità, la scuola, il welfare dovrebbero essere affrontate con maggiore condivisione con coloro che quel mondo lo conoscono e lo vivono ogni giorno; coloro che rappresentano, da una parte, le imprese e, dall’altra, tanti e tanti milioni di lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati di questo nostro Paese. Il prossimo rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro del pubblico impiego potrebbe rappresentare un vero punto di svolta nel metodo e nella politica del Governo soprattutto nella direzione del pieno coinvolgimento delle parti sociali rispetto alla importanza delle decisioni da assumere.
Vale la pena crederci …
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