Ruoli e compiti di Polizia Giudiziaria
Per la migliore operatività del nuovo ISPETTORATO DEL LAVORO e non solo…
[*] Stefano Olivieri Pennesi
(Vigili del Fuoco - Polizie Municipali - Agenzia Entrate - Agenzia Dogane - Arpa regionali – Aziende sanitarie - Ufficiali sanitari - Ispettori Mise settore estrattivo - Tecnici della prevenzione - Guardie zoofile - Guardie venatorie - Guardie ittiche - Guardie parchi)
Partiamo dalla citazione dell’art. 55 del codice di procedura penale: “1. La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia di reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale. 2. Svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall’autorità giudiziaria. 3. Le funzioni indicate nei commi 1 e 2 sono svolte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria”.
Evidentemente il primo comma pone in risalto come i compiti che vengono svolti dalla PG risultano essere molteplici: in primo luogo il poter apprendere, anche incidentalmente, notizie di reato, rappresenta un incipit per il quale si dovrà portare a conoscenza su tali fatti il Pubblico Ministero; agire in modo tale da evitare che reati, direttamente contestati, siano causa di ulteriori conseguenze; eseguire attività di ricognizione investigativa (approfondimento fattuale) per risalire e possibilmente saper individuare gli autori del reato, previa evidenziazione di possibili fonti di prova.
È possibile quindi provvedere, ove ricorrano i giusti presupposti, e pervenire al sequestro cautelare dell’oggetto del reato e quindi su cose e beni pertinenti, con accertamenti e rilievi opportuni sullo stato dei luoghi e delle cose.
Il secondo comma, del citato art. 55 c.p.p. afferma che gli attori di P.G. hanno il dovere di far rispettare la legge facendo si che i reati, e le loro conseguenze, non siano protratti e causino ulteriori danni, con il naturale vincolo offerto dalla medesima legge, per quanto attiene modalità e tipologia di atti da poter compiere.
Il terzo comma indicando che tali delicate funzioni sono svolte da agenti e ufficiali di P.G. fa discendere, evidentemente, l’impulso del pubblico ministero o del giudice che autorizza dette figure a compiere determinati atti, già insiti nei poteri di P.G. ma rafforzati nella loro esecuzione, grazie ad ordini/disposizioni dell’autorità giudiziaria.
I titolari di funzioni di polizia giudiziaria, è bene sottolinearlo, possono compiere sia atti tipici come pure atti atipici che, sempre nel rispettoso solco della legge, siano specificamente mirati alla individuazione del responsabile o dei responsabili e quindi a ricostruire fatti sostanzianti fattispecie di reati.
Altro presidio fondamentale, su cui soffermarsi, è il concetto di “Funzione investigativa” (con le sue articolate diversificazioni e campi di applicazione per i soggetti che rivestono ruoli di P.G.) che si materializza nella: ricerca delle fonti di prova e nella raccolta di ogni elemento utile per la ricostruzione del fatto costituente reato e per l’individuazione del colpevole.
Non di meno deve enuclearsi anche la cosiddetta “Funzione repressiva” che consiste, per i titolari di ruoli di P.G., nel dovere di impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori e si identifica nel dovere di interrompere l’iter criminoso e le conseguenze che possono derivare da un fatto costituente reato.
Facendo sempre riferimento all’art.55 del c.p.p. in particolare al comma 2, esso viene a stabilire che gli incaricati di P.G. svolgono sia indagini, che attività “disposta o delegata” dall’Autorità giudiziaria.
Contestualmente, però, il comma 1, dello stesso art. 55, contempla attività svolte “anche per propria iniziativa”. Ciò sta a significare al di fuori di una delega di indagini ricevuta dal P.M. su imput della Procura della Repubblica e, addirittura, frequentemente, prima che l’autorità giudiziaria stessa venga investita della notizia di reato.
In ogni caso è sempre previsto il cosiddetto “controllo dell’autorità giudiziaria, che provvede a convalidare o meno sequestri e perquisizioni, non distonico, quindi, dal titolo insito nelle pertinenze di polizia giudiziaria, consistente nella titolarità di un sostanziale “potere autonomo”, con il solo limite del divieto di compiere “atti eventualmente in contrasto con direttive del P.M.”
Ausiliario di Polizia Giudiziaria
L’art.348 del c.p.p. disciplina e riconosce la figura dell’ Ausiliario di P.G. il quale in scenari eventuali, col proprio ausilio, sopperisce a quelle necessità di carattere prettamente tecnico, delle quali l’ufficiale e agente di polizia giudiziaria, può trovarsi al momento sprovvista.
Sempre l’art.348 stabilisce che la polizia giudiziaria quando di propria iniziativa o a seguito di delega del P.M. compie atti ed operazioni che richiedono specifiche “competenze tecniche” (ad esempio un interprete/traduttore madrelingua/mediatore culturale) può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera, venendo quindi di fatto cooptate dai funzionari di P.G. in tale modo si sopperisce a quelle necessità di carattere altamente specializzato delle quali la P.G. si trova sprovvista.
Tornando al tema di competenze di P.G., gli Ispettori del lavoro e gli Ispettori Inps e Inail, con l’istituzione del nuovo Ispettorato nazionale del lavoro, svolgono attività di polizia giudiziaria alla luce di una “competenza limitata” o “settoriale” in materia lavoristica previdenziale assicurativa e parzialmente sulla materia della sicurezza ed igiene dei luoghi di lavoro, con competenza esclusiva sui reati commessi con ricadute sui compiti dell’Istituto, ossia quelli nei quali ci si può imbattere nello svolgimento del servizio.
Quindi detto personale ispettivo, è bene specificarlo, assume la qualifica di ufficiale o agente di P.G. “solo” nell’esercizio delle proprie pertinenti funzioni, o per meglio dire: “nei limiti del servizio cui sono destinati secondo le rispettive attribuzioni”.
Sempre relativamente ai nuovi compiti assegnati al personale ispettivo degli Istituti Inps e Inail, in particolare alle funzioni di polizia giudiziaria, è bene porre l’accento sui seguenti passaggi:
l’art. 1 del d.lgs. 149/2015, che ha istituito l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, stabilisce che: «Al fine di assicurare omogeneità operative di tutto il personale che svolge vigilanza in materia di lavoro, contribuzione e assicurazione obbligatoria, nonché legislazione sociale, ai funzionari dell’Inps e dell’Inail sono attribuiti i poteri già assegnati al personale ispettivo del Ministero del Lavoro, ivi compresa la qualifica di “Polizia giudiziaria” come già previsto dall’art. 6 del d.lgs. n. 124/2004 e alle medesime condizioni di legge».
Lo stesso DPCM 23 febbraio 2016 – Disposizioni riguardanti l’Agenzia unica per le ispezioni del lavoro – all’art. 22 sancisce l’acquisizione delle funzioni di polizia giudiziaria, nonché altri poteri, da parte del personale ispettivo degli istituti Inps e Inail, con piena efficacia grazie all’entrata in vigore del decreto interministeriale 28 dicembre 2016 che ha fissato la data di avvio dell’operatività dell’Ispettorato nazionale del lavoro al 1° gennaio 2017.
Al riguardo le Direzioni Generali degli enti menzionati, solo recentemente, hanno fornito le prime indicazioni operative sulla materia.
Si è potuto ribadire, ad esempio, che le funzioni di polizia giudiziaria assumano rilievo nell’accertamento di fatti costituenti reato, tanto nella forma di “tentativo”, quanto nella forma “consumata” e riguardano diversi momenti dell’attività ispettiva: dalla fase iniziale di rilevazione della notizia di reato, alla fase di acquisizione delle prove, fino alla comunicazione della notizia di reato all’Autorità Giudiziaria.
Sintetizzando gli aspetti essenziali di tali delicati compiti afferenti alla polizia giudiziaria, elenchiamo: acquisire le notizie di reato su delega dell’autorità giudiziaria o di propria iniziativa, impedire che i reati vengano portati ad ulteriori conseguenze, ricercarne gli autori, compiere atti necessari per assicurare le fonti di prova e ogni altro elemento utile per l’applicazione della legge penale.
A titolo esemplificativo i reati più frequenti riscontrabili nel corso di attività di vigilanza previdenziale e assicurativa possono essere: omissioni contributive superiori ai limiti fissati dall’art.37 della legge 689/1981; omesso versamento delle ritenute previdenziali per importi superiori ai 10.000 euro annui, ovvero ritenute non verste per premi assicurativi; reati in materia di previdenza complementare; reato di impedimento dell’attività ispettiva; reati di truffa, ai danni dell’Inps e Inail, dello Stato della Comunità Europea, o di altro Ente pubblico; reati di falso; reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai sensi dell’art. 603 bis codice penale.
L’ufficiale di polizia giudiziaria può altresì assumere informazioni da chiunque sia in grado di riferire circostanze utili alle “indagini”.
Acquisita notizie di reato, l’ufficiale di P.G. trasmetterà la relativa documentazione ed informerà la Procura/il P.M. per iscritto e senza ritardo, indicando gli elementi essenziali del reato, gli altri elementi raccolti, le fonti di prova, e le attività compiute ai sensi art. 347 c.p.p.
Tornando sul tema dei poteri attribuiti al personale ispettivo dell’INL, già ex appartenenti ai ruoli del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, giova rammentare l’estensione di tali poteri, ivi compresa la qualifica di ufficiali ed agenti di P.G., ai sensi di quanto previsto dall’art. 6 del d.lgs. 124/2004, anche agli ispettori di provenienza Inps e Inail.
Per tutto il personale afferente il nuovo Ispettorato Nazionale del lavoro, è bene ribadirlo, il potere di accesso nei luoghi di lavoro risulta essere il potere più caratteristico attribuito, appunto, agli organi ispettivi testé enunciati.
Su tali implicazioni il DPR 520/1955 statuisce che: “Gli ispettori del lavoro hanno facoltà di visitare in ogni parte, a qualunque ora del giorno e della notte, i laboratori, gli opifici, i cantieri, gli uffici, i locali di pubblico spettacolo, i dormitori e refettori annessi agli stabilimenti, non di meno essi dovranno astenersi dal visitare i locali annessi a luoghi di lavoro e che non siano direttamente o indirettamente connessi con l’esercizio dell’azienda, sempreché non abbiano fondato sospetto che servano a compiere o a nascondere violazioni di legge”.
Ciò detto si deduce che il personale ispettivo in assenza di preavviso alcuno e anche in assenza di un mandato specifico, può liberamente accedere in aziende, studi, cantieri, terreni, locali, pubblici esercizi, ecc. al fine di assicurare l’osservanza delle norme in materia di tutela del lavoro, in ogni sua forma.
Può essere esaminata tutta la documentazione ritenuta utile all’approfondimento ispettivo, sia esso relativo alla legislazione sociale e del lavoro, che di natura contabile, che quella attinente la sicurezza sul lavoro.
Gli ispettori possono “audire” liberamente i lavoratori impiegati in azienda, sentiti per lo più separatamente, come anche in contraddittorio, e senza la presenza del datore di lavoro, ovvero, del professionista/consulente che assiste l’azienda.
Aspetti psicologici nel ruolo di P.G.
Valutare la personalità dei “soggetti destinatari” dell’attività di vigilanza degli Ispettori del Lavoro, e degli altri soggetti istituzionali, cooperanti in coesistenza, su campo, assume un valore fondamentale.
È bene indicare, specificamente, che le figure interessate alle attività ispettive, nei differenti ruoli, sono di volta in volta: i titolari delle aziende/imprese, i lavoratori, i collaboratori, i preposti, i consulenti, i clienti, ecc.
Fondamentale può certamente ritenersi lo scopo di abbracciare una visione globale della personalità dei vari soggetti, sopra menzionati, nei loro tratti fondamentali funzionali e disfunzionali.
Per questa ragione, credo, sarebbe molto utile disporre di funzionari ispettivi, oltreché competenti nelle materie giuslavoristiche, come anche tecniche, dotati di basi formative ugualmente per altre aree del sapere, tali da avere la possibilità di applicare, in aggiunta, metodologie basate sulla cosiddetta “psicologia materiale”.
La necessità di “capire e valutare” gli interlocutori diretti e indiretti, durante e seguentemente le attività ispettive svolte, diventa sempre più un valore aggiunto per portare a frutto compiti e impieghi che hanno insite competenze, non di meno, legate al ruolo imprescindibile di Ufficiali di Polizia Giudiziaria.
Frequentemente gli uomini delle istituzioni si imbattono in fattispecie imprenditoriali che si connotano con ruoli di autorità e che fanno dell’utilizzo distorto di posizioni di potere, nei contesti organizzativi lavorativi e istituzionali, la propria cifra di riferimento.
Serve non di rado, l’applicazione sofisticata di metodologie di valutazione individuali e di gruppo. Esistono tecniche di “psico-valutazione della personalità” che sicuramente gioverebbero ad una azione il più possibile scevra da condizionamenti delle controparti e/o pressioni psicologiche, in alcuni casi tendenti a vere e proprie minacce dirette o sottointese, tanto gravi per quanto concrete.
Bene sarebbe, inoltre, migliorare ed affinare, altresì, le capacità degli operatori ispettivi circa le idonee e positive attitudini alla leadership, che sempre più frequentemente si costruiscono tra operatori come pure nei confronti della temporanea utenza. Aspetti, questi, che dovrebbero andare di pari passo con il miglioramento ed il costante aumento delle competenze di natura tecnica, giuridica ed economica, dell’intero corpo ispettivo appartenente alle varie istituzioni del nostro Paese.
Possiamo quindi parlare della cosiddetta “leadership emergente” con performance di gruppo, verificata da chi detiene ruoli di coordinamento e manageriali, nella lettura delle abilità espresse dagli operatori stessi.
Evidentemente la leadership rappresenta un elemento cardine nel successo di un team e più in generale in ogni organizzazione, e assume un ruolo determinante, tale da poter influenzare i risultati finali di ogni azione su campo.
Nei contesti di “crisi”, cui spesso ci si imbatte durante lo svolgimento delle attività ispettive istituzionali, siano esse in materia lavoristica, previdenziale che assicurativa, come anche per le altre tipologie del nostro panorama giuridico-amministrativo, questa dote si sostanzia in determinante efficacia, soprattutto al verificarsi di situazioni definibili come detto “critiche”.
Nelle nostre realtà operative, vediamo molto spesso coesistere e confrontarsi varie figure di leader. Una di tipo militare: appartenenti all’Arma dei Carabinieri, alla Guardia di Finanza, alla Polizia di Stato; un'altra a figure civili: Ispettori del Lavoro, Ispettori Asl, Vigili del Fuoco, Polizie Municipali, Ispettori Arpa, Ispettori Entrate, Dogane, Corpo Miniere, ecc.
Lo stile di leadership militare viene definito anche comunemente “arte del comando”. Spesso, si contrappone a quella pertinente alle altre organizzazioni civili. Non sempre facilmente sono componibili le visioni contrastanti sui ruoli e compiti da svolgersi in congiunta o in coesistenza. Questo certamente, però, non deve ledere le strategie di insieme, nei comuni compiti, che le Istituzioni assegnano, ai rispettivi ambiti, perseguendo, possibilmente, per tutti gli attori funzionari, l’indispensabile “aggiornamento permanente”.
Tornando ai due stili di leadership, quello militare è definibile particolarmente focalizzato (almeno in via teorica) su comportamenti etici, sul coraggio, lealtà, senso del dovere, esempio per gli altri, senso di appartenenza.
Diversamente la leadership civile, frequentemente si caratterizza sul raggiungimento dell’obiettivo, su bisogni di concreta e riconosciuta visibilità della propria azione, su letture possibilmente declinate alle situazioni contingenti e ambientali, su valori maggiormente utilitaristici, su confronti anche basati su elementi di competitività tra colleghi, ecc.
Nelle organizzazioni lavorative, in genere, e quindi anche nelle strutture del nuovo INL-Ispettorato Nazionale del Lavoro, trovano sempre maggiore legittimazione alcuni aspetti dimensionali, di natura cognitiva e comportamentale, non riferibili, nell’immediato, alle disposizioni e prescrizioni di massima, alle quali ci si deve attenere nell’agire lavorativo e professionale.
In particolare assurgono a ruoli di centralità, categorie comportamentali dell’etica e del pensiero positivo, a sostegno, comunque, delle persone che ci si trova davanti nei propri compiti istituzionali, che però, inevitabilmente, nelle situazioni di criticità ed emergenza possono sfociare, per molti, nel cosiddetto alveo dello “stress da lavoro collegato”.
L’“etica” menzionata, comunque, si esprime in un quadro di responsabilità generale e si può, non di meno, riferire all’impegno delle persone ad operare direttamente, offrendo il meglio di se, anche in rapporto ai risultati da conseguire come pure ai superiori gerarchici, ai colleghi, agli utenti, alla collettività tutta. Mentre il “pensiero positivo” si concretizza, viceversa, nell’ambito della speranza e proiezione verso un futuro migliorativo e al cambiamento conseguente.
Queste due sfere appena delineate, “etica” e “pensiero positivo”, trovano gambe, in primis, nella necessaria integrità delle persone, nella spinta ed orientamento al risultato, all’ascolto proattivo degli altri, in particolare alle controparti di volta in volta approcciate, alla disponibilità non preconcetta, ad una comunicazione efficace nel far comprendere le proprie azioni e prerogative, non da ultimo ad una corretta e fondamentale gestione delle emozioni.
In generale per gli attori sul campo, indistintamente, servirebbero alti livelli di maturità emotiva, dei singoli e dell’intero gruppo operante, con capacità di contenimento e intervento, in caso di stress da eventi contingenti all’attività ispettiva effettuata, ma che possono essere causa di reazioni con manifestazioni postume, cagionanti, in alcune circostanze, veri e propri psico-traumi.
Evidentemente questi nostri professionisti, del comparto ispettivo, che si trovano “esposti”, per lungo tempo, (come mesi, anni, decenni) a costante stress, possono cadere vittime di quello che viene definita, nella letteratura scientifica psicologica, sindrome da “burnout” (parola anglosassone che significa “bruciarsi”) le cui manifestazioni psicologiche e comportamentali possono sintetizzarsi in:
- Esaurimento emotivo: sentimento per il quale ci si sente emotivamente svuotati e annullati dal proprio lavoro, per effetto di un inaridimento emotivo del rapporto con gli altri.
- Depersonalizzazione: atteggiamento di allontanamento e rifiuto, che si manifesta con risposte comportamentali negative nei confronti di colleghi o degli utenti.
- Ridotta realizzazione personale: percezione di una inadeguatezza al lavoro, abbassamento dell’autostima e del senso di autoefficacia.
Tale “sindrome”, che negli ultimi anni ha subito un notevole aumento, colpisce soprattutto quelle tipologie di professioni che si esplicano in contatto con persone in stato di sofferenza e che mettono nella condizione di percepire una forte responsabilità nel dare sempre risposte immediate e puntuali, anche quando ciò non è possibile.
A livello fisico, spesso, osserviamo sintomi quali: tachicardia, cefalea, nausea, spossatezza, ecc. A livello psicologico, invece, si riscontrano frequentemente problemi legati a sensi di colpa, depressione, isolamento, negatività, risentimento, rabbia. A livello comportamentale assistiamo spesso a rapporti conflittuali con i colleghi, a completi distacchi e isolamento, ad attività lavorativa con perdite di energie e di motivazioni, in assenza di impegni sull’attività lavorativa.
Anche le riunioni di lavoro e i focus group, agli occhi da chi è soggetto a stress, appaiono inutili perdite di tempo, di energie e risorse, dove la propria e altrui presenza non risulta necessaria. Alcuni studiosi psico-sociali attribuiscono una delle cause del burnout, alla mancanza di confronto e sostegno all’interno di un gruppo/organizzazione di lavoro. Tale mancanza determinerebbe un potenziamento della sfiducia e un maggior distacco dai colleghi professionisti (in questo contesto ispettori) dando la sensazione di essere soli di fronte a grandi problemi che si possono incontrare.
Le dinamiche di gruppo che si dovrebbero bel valutare, anche nel nostro mondo dell’Ispettorato del lavoro, possono rivestire un ruolo importante persino nel grado di soddisfazione per il proprio lavoro. Gli altri dovrebbero rappresentare una fonte di sostegno per ogni collega che percepisca la sensazione di non avere abbastanza risorse per affrontare le diverse situazioni da solo o che non riesca a tollerare una possibile discrepanza tra motivazioni personali e quelle dell’organizzazione di appartenenza.
All’interno del gruppo debbono quindi poter evidenziarsi le difficoltà rilevate durante le attività lavorative, anche per affrontarle con gli altri colleghi, con l’obiettivo, non secondario, di mantenere le motivazioni e la fiducia in se stessi e nel proprio operato di appartenente alla PA.
In questo contesto, ritengo che, la trasformazione organizzativa, con conseguente impatto sui ruoli assunti, da parte di personale di questi contesti, impegnati in ambito delle funzioni di U.P.G. assurga a valore fondamentale il cosiddetto “benessere professionale” degli operatori, nella vita professionale e nella rete relazionale ad essa associata.
Funzioni e competenze della Polizia Giudiziaria nella raccolta di informazioni
Preventivamente occorre evidenziare che le esigenze formative, dei compiti di Polizia Giudiziaria, declinati all’ambito del presente mio contributo, in materia di Ispezioni del lavoro e dintorni, richiedono la consapevolezza che, per lo più, non esistono a livello nazionale, “Protocolli di intervento” tali da essere presi ad esempio per una corretta ed inequivocabile azione su tale ambito.
La formazione per compiti di P.G. è prettamente legata all’esperienza concreta diretta su campo, anche con una sorta di “osservazione partecipativa” dei protagonisti. Si seguono, allo stato, più o meno discrezionalmente, tecniche personali magari dei funzionari più anziani, con audizioni delle parti, talvolta manchevoli dei presidi fondamentali del doveroso contraddittorio confermativo, velocità e capacità indagativa, collegamenti tra istituzioni e persone, contestualizzazioni, comportamenti contra legem, scarso inquadramento dei contesti ambientali, sociali, economici, giurisdizionali, ecc.
Insomma le principali modalità operative, da riscontrare sul campo, per raccogliere testimonianze e relative strategie utilizzate. Tutto ciò contribuisce a definire una “buona testimonianza” con competenze e abilità di cui necessita la figura di P.G. per migliorare il lavoro non semplice ed in continuo affinamento, anche nel gestire le qualità e quantità delle “dichiarazioni probatorie” migliorando sempre le prassi in uso.
Gestione di conflitti in ambito ispettivo nel ruolo di P.G.
Uno dei punti fondamentali dell’agire, da parte di ufficiali di Polizia Giudiziaria, verte sull’esigenza della qualità esprimibile rispetto al momento fondamentale rappresentato dall’acquisizione delle “dichiarazioni e raccolta di elementi testimoniali” dei soggetti interessati in particolare dall’azione ispettiva.
È bene subito dire che riguardo tali aspetti non si ha evidenza, a livello nazionale, di dettagliati “Protocolli di intervento” per la gestione corretta ed uniforme di modalità di interrogazione/audizione da parte di chi esercita attività di P.G. in particolare dei titolari civili di questa competenza, per specifico settore, rinviando ogni opzione ad oggettive tecniche personali, non evidentemente standardizzate, magari con modalità operative codificate, anche con la consapevolezza di varie problematiche riscontrate in concreto, rispetto a strategie utilizzate, le più variegate.
Raccogliere elementi probanti, audire a testimonianza diverse tipologie di utenti, desumere elementi circostanziali certi, ponendo in risalto elementi confliggenti e interessi contrapposti, di vari soggetti, assume appunto una delicatezza di fondo, del ruolo di funzionario di P.G. con competenze e abilità che ritengo non possano solamente demandarsi alle rilevanze di esperienze su campo, ma che credo abbiano bisogno di essere corroborate da piani formativi permanenti, principalmente sul versante della psicologia applicata e sulle tecniche operative, comparate, nei vari ambiti.
Concretamente ritengo valida l’utilità per personale della Pubblica Amministrazione, di realizzare un piano di formazione in tema di P.G. rivolto a chi professionalmente si vede impegnato nella “gestione di processi ispettivi” con potenziale rischio di “conflitto” con vari interlocutori, soprattutto riferiti a quelli accadenti fuori dalle proprie sedi di lavoro (e quindi queste naturalmente protette).
Nelle organizzazioni dove si prevede un procedimento ispettivo, ovvero primo accesso, può accadere di sovente che gli ispettori debbano affrontare da soli, in coppia, ovvero in modalità congiunta in interforze, situazioni connotate da conflitti verbali e in alcuni casi addirittura parzialmente fisici.
Per tutto ciò rappresentato nei su esposti concetti, l’obiettivo principe dovrebbe essere garantire, possibilmente sempre, l’armonia tra le parti, come pure la massima professionalità in termini di efficienza ed efficacia dell’azione ispettiva. Non secondario è anche sapere agire con tempestività, al fine di evitare conseguenze di conflitti mal gestiti ovvero non gestiti, con ricadute negative spesso durature nel tempo.
Utile sarebbe certamente svolgere, ad esempio, periodici “focus group”, per rileggere situazioni conflittuali accadute, ma anche per esaminare disagi nelle relazioni e favorire evoluzioni e sviluppi di competenze necessarie ad una sempre migliore gestione responsabile dei conflitti, siano essi tipici che anomali, ma comunque inseriti in contesti diversi per fattori in giuoco, atteggiamenti di persone coinvolte e al tipo di contesto, sapendo anche prevenire, anticipare e risolvere le poliedriche espressioni di conflitti.
Bene apparrebbe, evidentemente, aumentare la propria qualità relazionale ed empatica, nella gestione di qualsivoglia tipo di conflitto, in trattazione, per ampliare per quanto possibile la gamma di reazioni verificabili con singoli e/o gruppi anche nell’agire per così dire “sotto pressione”.
Fin qui stiamo parlando di un fenomeno, quello dei conflitti in ambito di P.G., comunque problematico con prospettive e strumenti per affrontarlo, notevolmente variegati, e proprio per questo da doversi gestire con un “approccio interdisciplinare” ed interistituzionale, certamente complesso.
Conclusioni
In conclusione di questo mio contributo ritengo, sommessamente, che si possa affermare tranquillamente che il ruolo e i compiti di U.P.G. conferiti in particolare agli organici del nuovo INL, in tutte le sue componenti ispettive, oltre che rappresentare un indubbio “elemento qualificante” del proprio portato esperienziale e quindi del conseguente operato (oltreché delle funzioni istituzionali assegnate) è certamente necessario e fondamentale saper ben inquadrare, da parte dei vertici amministrativi, il bisogno di rivedere e aggiornare, per quanto possibile, le conoscenze in materia, indispensabili agli ispettori ex Ministero del Lavoro.
Come pure strategico è, evidentemente, poter supportare con “piani formativi interdisciplinari” gli ispettori di provenienza degli Enti Inps e Inail, fino ad oggi estranei ai compiti aumentati di P.G. Ciò detto non limitandosi a fornire nozionismi eminentemente giuridici, ma allargando la sfera delle conoscenze (per tutti gli appartenenti al corpo ispettivo e aggiungo non solo) agli aspetti psicologici, relazionali, comportamentali, comunicativi, culturali di tipo ambientale, ecc. tutte conoscenze, queste, che ritengo siano fondamentali, come pure preponderanti, per svolgere al meglio attività su campo, spesso in sinergia con altri attori istituzionali, frequentemente dotati di divisa, assegnatari di medesime e anche maggiori competenze in ambito, appunto, di azioni di P.G.
[*] Professore a contratto c/o Università Tor Vergata di Roma, titolare della cattedra di “Sociologia dei processi economici e del lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del Lavoro”. Il Prof. Stefano Olivieri Pennesi è anche Dirigente dell’Ispettorato Unico del Lavoro, Capo dell'Ispettorato Territoriale di Potenza-Matera. Ogni considerazione è frutto esclusivo del proprio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.
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