Lo stellone d’Italia
Uno sforzo comune per riprendere il cammino
di Fabrizio Di Lalla [*]
Se gli umori delle persone che frequento sono un campione rappresentativo della collettività, devo trarre la conclusione che l’anno appena iniziato sia percepito con sentimenti contrastanti che vanno dalle speranze alle paure con un’intensità ancora maggiore rispetto al periodo precedente. Emozioni e sensazioni a parte, è facile prevedere che gli eventi a esso legati saranno decisivi per le sorti del nostro Paese sotto vari aspetti.
Tra meno di tre mesi, intanto, ci sarà l’appuntamento più importante per una democrazia rappresentativa, le elezioni generali per il rinnovo delle camere e l’inizio della nuova legislatura. Molte sono le nubi che si addensano su questo evento perché il nuovo sistema elettorale, a detta degli esperti, difficilmente riuscirà a dare una maggioranza stabile e omogenea per la formazione di un governo duraturo. Sarebbe una sciagura per la democrazia perché già il ceto politico è mal sopportato dalla pubblica opinione, per proprie responsabilità e in qualche caso per un’ossessiva delegittimazione portata avanti da altri poteri e da gran parte dei mass media che si comportano come fossero le avanguardie di una prossima rivoluzione.
Nella storia parlamentare del nostro Paese non c’è mai stato un rapporto idilliaco tra cittadini e classe politica fin dalla nascita del nostro stato. Gli elementi che hanno minato tale rapporto sono stati la continua subordinazione degli interessi generali a quelli clientelari e la diffusa corruzione, che ha impregnato il Palazzo fin dagli albori dell’unità. Lo scandalo della Banca Romana avvenne appena vent’anni dopo l’unità d’Italia e l’inettitudine complessiva del ceto politico si dimostrò tutta di fronte alle spinte di potenti gruppi minoritari del Paese che portarono alle avventure coloniali, alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo. E poi in anni a noi più vicini, un continuo degrado, da tangentopoli all’attuale diffusa immoralità. E tuttavia nonostante questo stato di cose, nonostante essa non abbia mai posseduto appieno i requisiti di onestà, capacità, spirito d’abnegazione e competenza che ne avrebbero dovuto fare una vera e propria classe dirigente autorevole e non subalterna a questo o a quel potere, l’alternativa sussurrata da tanti, a giudizio dello scrivente, non sarebbe migliore, vale a dire un governo autoritario e antidemocratico con tutte le conseguenze che si possono immaginare.
Toccando ferro, quindi speriamo che, anche grazie al buon senso della maggioranza degli elettori, ci sia scongiurata una situazione di stallo che comporterebbe un lungo periodo di pericolosa destabilizzazione, consentendo la nomina di un governo stabile e omogeneo in grado di affrontare con competenza la coda di questo lungo periodo di crisi in modo che il nostro Paese possa riprendere il posto che gli compete tra le società all’avanguardia del progresso.
Non sarà facile perché per raggiungere tale obiettivo ci sarà bisogno di tutte le forze in campo e tutti dovranno partecipare a questo sforzo comune dal semplice cittadino ai gruppi organizzati. A questo proposito sarà necessario che le forze politiche e governative prendano coscienza che senza l’apporto dei gruppi intermedi che rappresentano la cerniera tra gli interessi particolari e quelli generali non si va da nessuna parte e anche i colpi di mano che sembrano poter riuscire, vengono poi pagati a caro prezzo. Gli stessi organismi associativi, peraltro, devono scrollarsi di dosso il vecchiume che hanno accumulato nel corso degli anni, dare spazio ai vitali interessi delle nuove generazioni e tornare a saper fare sintesi per il bene comune.
Se la politica, attraverso una doverosa rigenerazione deve riacquistare il proprio potere contrattuale evitando la subalternità ad altri poteri che cercano di occupare lo spazio lasciato per propria debolezza, sia, di volta in volta, quello finanziario, burocratico o giudiziario, anche le organizzazioni intermedie, soprattutto quelle rappresentanti il mondo dei lavoratori, devono riappropriarsi del ruolo primario di difesa dei diritti delle categorie che rappresentano, lasciando da parte altri tornaconti. E i dirigenti centrali e intermedi devono lasciare il loro posto dietro una scrivania e tornare in trincea accanto ai rappresentanti locali, per riacquistare la loro credibilità e quella dell’organismo che rappresentano, come si faceva qualche decennio fa.
È necessario, dicevamo, uno sforzo comune, come fecero i nostri padri che riuscirono a trasformare in poco più di tre lustri un paese arretrato e in miseria, in uno moderno, ricco, inserito tra quelli più progrediti dell’occidente. Se ognuno dà quel che sa e può, lasciando da parte per un po’ qualunquismo e individualismo, ce la possiamo fare.
Per riaccendere il proverbiale stellone che da tempo immemorabile ha protetto l’Italia e negli ultimi tempi si è spento, non abbiamo bisogno di un uomo solo al comando, ma occorre uno sforzo comune e concorde di tutta la collettività.
[*] Presidente della Fondazione Prof. Massimo D’Antona
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