Il D.Lgs 81/2008, modificato ed integrato negli anni con vari interventi
del legislatore, riunisce in un unico testo la quasi totalità delle norme
esistenti in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.
Obiettivo dichiarato di tale decreto, entrato in vigore nell’ormai lontano 2008, è quello di tutelare il lavoro svolto in qualunque forma, in tutti i settori, sia pubblici che privati, al quale siano adibiti lavoratori dipendenti o ad essi equiparati, sotto l’aspetto della salute, della sicurezza e della dignità della persona, tenendo in debito conto il genere e la provenienza geografica.
Tale intervento normativo è stato il frutto della fortissima accelerazione data alla conclusione di anni di lavoro delle commissioni tecniche incaricate della redazione di un testo unico per la sicurezza sul lavoro in seguito al grave infortunio in cui rimasero coinvolti mortalmente sette operai della fabbrica Thyssenkrupp di Torino, nella notte tra il 5 e 6 dicembre 2007.
Come tutti i testi unici, anche questa norma, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto anche introdurre una semplificazione all’attività degli addetti ai lavori in un settore tanto delicato che ha conosciuto molti cambiamenti nel corso degli anni, sia dal punto di vista tecnologico (sistemi di protezione sempre più efficienti ed efficaci) sia dal punto di vista normativo.
A distanza di tanti anni dall’entrata in vigore del Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro non sembra, però, si possa dire che siano stati prodotti tutti gli effetti sperati se, periodicamente, in occasione di gravi infortuni sul lavoro, dei quali, ovviamente, i media danno ampio e doveroso risalto, si ritorna a parlare di questo tema che sembra non mostrare segnali di miglioramento in base ai tanti eventi infortunistici, magari meno gravi, che passano quasi sotto silenzio, o più prosaicamente pressoché inosservati, che ciò nonostante si registrano ogni anno sul territorio nazionale e che sembrano relegati alla mera e asettica citazione in report statistici periodicamente pubblicati.
Verrebbe allora da dire, in tono quasi provocatorio, che, in fondo, non è
cambiato nulla, o, quantomeno, è cambiato molto poco.
È quindi il caso, forse, di riflettere sulla necessità di “fare un tagliando” alla normativa di sicurezza, attualmente in
vigore, al fine di verificare se sono stati conseguiti gli obiettivi
prefissati, magari anche solo parzialmente, o se invece il testo unico non
ne ha prodotti affatto e, in tal caso, in cosa è possibile intervenire o
cosa è possibile migliorare.
È di tutta evidenza che queste poche iniziali considerazioni non hanno nessuna pretesa di effettuare una disanima completa delle problematiche in gioco ma, molto più semplicemente, di proporre qualche spunto di riflessione e dibattito su come possa essere concretamente attuata una più attenta applicazione delle norme di prevenzione infortuni, da correlare alla complessità della realtà aziendale cui si riferiscono, senza voler in alcun modo nemmeno tentare di mettere in discussione la rilevanza complessiva dell’impianto normativo e le previsioni del Testo Unico.
Il voler ragionare sugli aspetti applicativi della normativa in materia di sicurezza trae origine dall’analisi delle statistiche annuali sugli infortuni e sulle malattie professionali e dall’esperienza maturata nel concreto svolgimento dell’attività di vigilanza, in particolare nel “settore delle costruzioni” e più in generale dell’edilizia.
È di tutta evidenza che, ad oggi, l’attuazione delle previsioni del testo unico in materia di sicurezza comporta ancora procedure complesse ed articolate che, peraltro, non prevedono sostanziali semplificazioni, in particolare, per le piccole aziende industriali o artigiane.
Queste aziende, per quanto di piccola dimensione, se hanno anche un solo lavoratore subordinato o ad essi equiparato, sono comprese nel campo di applicazione della normativa in materia di igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro e devono “applicare integralmente” quanto previsto dal D.lgs. 81/08 “impiantando” il Sistema di Sicurezza e Salute negli ambienti di lavoro con lo scopo di garantire la massima tutela ai dipendenti.
Il Datore di Lavoro di imprese anche molto piccole si trova, spesse volte, a dover quindi gestire da solo un sistema che, anche per un solo dipendente (lavoratore subordinato), non fa sconti in termini di adempimenti ivi compreso l’obbligo principale del datore di lavoro, peraltro non delegabile, che è quello previsto dall'articolo 17 del D.lgs. 81/2008 e che riguarda la “valutazione dei rischi” per la salute e la sicurezza dei lavoratori e la conseguente redazione del DVR - documento di valutazione dei rischi che, nel caso di imprese del settore edile e per il singolo cantiere, si sostanzia nell’elaborazione e redazione del POS - Piano Operativo di Sicurezza.
Tale attività, svolta direttamente (possibilità percorribile nel caso di aziende artigiane o industriali sotto i 30 dipendenti) o con l’ausilio di un RSPP esterno (responsabile del servizio prevenzione e protezione), presuppone una approfondita analisi di tutti i possibili rischi ai quali sono esposti i dipendenti dell’impresa.
Conseguentemente, l’obiettivo del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) o del Piano Operativo di Sicurezza (POS) nell’attività cantieristica, è quello di effettuare la valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’impresa in cui essi prestano la propria attività, al fine di individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e di elaborare il programma delle misure atte a garantire livelli adeguati di salute e sicurezza.
È indubbio che una valutazione per così dire a “ciclostile”, dell’esposizione dei lavoratori ai vari rischi propri dell’attività svolta dall’impresa, non è in grado di analizzare correttamente la specificità delle mansioni svolte dagli addetti ai lavori.
Un ausilio previsto dal legislatore per una corretta analisi dei rischi relativi ad attività di lavoro che rientrano nel Titolo IV del D.Lgs. 81/2008 (settore delle costruzioni) è fornito dal “Piano di Sicurezza e Coordinamento”, documento generalmente redatto dal coordinatore per la progettazione dell’opera, costituito da una relazione tecnica e da prescrizioni correlate alla complessità dell’opera da realizzare ed alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione, atte a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori.
Proprio l’analisi di tali documenti, il Piano di Sicurezza e Coordinamento ed il Piano Operativo di Sicurezza, effettuata nel corso di svariati anni di vigilanza nel settore delle costruzioni evidenzia in modo inequivocabile l’oggettiva difficoltà dei datori di lavoro di imprese artigiane o industriali di piccole dimensioni a dare concreta attuazione all’obbligo di valutazione del rischio, proprio dell’attività lavorativa svolta, e a formalizzare adeguatamente le procedure atte a garantire la sicurezza dei lavoratori, poco supportati in questa attività dal riferimento documentale redatto dal coordinatore per la progettazione dell’opera che, il più delle volte, risulta essere un documento solo descrittivo ed estremamente generico.
D’altra parte, la redazione di tali documenti per la sicurezza di lavoratori e persone a vario titolo presenti in cantiere, che nelle previsioni del legislatore avrebbero dovuto costituire dei veri e propri progetti della sicurezza coinvolgendo varie figure professionali, non hanno contribuito in maniera sostanziale a ridurre il fenomeno infortunistico atteso che secondo uno studio condotto nel 2017 dall’Ufficio Studi dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre, l’indice di frequenza degli infortuni (numero di infortuni per milioni di ore lavorate) nell’ultimo decennio è rimasto attestato intorno a un valore pari a 15.
L’esperienza maturata nel campo della vigilanza nel settore delle costruzioni consente inoltre di affermare che l’obbligo di redazione di documenti in materia di sicurezza che i datori di lavoro di imprese medio-piccole affidano incarichi il più delle volte a professionisti esterni, lungi dall’essere intesi quale strumento propedeutico all’organizzazione del cantiere in modo da garantire la sicurezza delle maestranze ivi impegnate, venga percepito solo come un ulteriore onere economico a carico dell’impresa.
D’altra parte, è di tutta evidenza che gli adempimenti documentali previsti
dal testo Unico si attagliano meglio alle attività stabili che a quelle
temporanee e mobili.
Soffermeremo la nostra attenzione proprio su queste ultime, in particolare
a quelle del settore delle costruzioni, sia perché è quello in cui è
effettuato il maggior numero di ispezioni sia perché, notoriamente è uno
dei settori con l’indice infortunistico più alto, unitamente al settore
agricolo.
Entrando più nello specifico, qual è la situazione che si delinea ad avvio ispezione nel cantiere edile. Il datore di lavoro si precipita, per così dire, ad esibire agli ispettori “le carte”, affermando di “aver preparato tutto”, in particolare POS e PIMUS, sulla base del PSC.
Ma l’esame di tali documenti, in genere, è desolante!
Tali importantissimi documenti tecnici ormai non sono altro che la pedissequa stampa di quanto proposto in modo generico dai vari software disponibili sul mercato, senza nessuna valutazione specifica in relazione alle problematiche del cantiere cui la valutazione dei rischi si riferisce: l’unica modifica, spesso, ma nemmeno sempre, è la modifica del frontespizio!
A cosa serve dunque la predisposizione di documentazione del genere? Ovviamente, a NULLA! Anzi, se vogliamo, è controproducente, perché induce, spesso, il datore di lavoro, a ritenere “di essere a posto”, di avere le carte in regola e di lavorare in sicurezza.
In realtà c’è un’altra conseguenza negativa: il datore di lavoro spende denaro, non molto in verità, ma sicuramente inutilmente.
Quest’ultimo è un altro aspetto importante che in questo contesto possiamo solo accennare: il sostanziale attuale ristagno del mercato delle costruzioni, con la connessa crisi economica ancora forte, fa sì che ci sia un’offerta al ribasso di prestazione da parte dei professionisti tecnici, con il conseguente e grave impoverimento di contenuti dei documenti tecnici di cantiere.
Allora, quale la proposta, anche provocatoria: forse il datore di lavoro… forse, può destinare quelle poche risorse a spese più utili! Stiamo parlando, più esplicitamente, di una diversa impostazione delle previsioni del TU con riguardo agli obblighi del datore di lavoro. In particolare, anche se ciò può sembrare dirompente e rappresentare, di primo acchito, un regresso normativo non a passo con i tempi, ma ampiamente giustificato dalle criticità osservate e di cui si è detto, si potrebbero prevedere delle “soglie massime” per entità degli importi e numero di lavoratori, tenuto ovviamente conto delle tipologie dei lavori, rispetto alle quali stabilire “obblighi diversi” da quelli vigenti per i cantieri più grandi: svincolare dagli obblighi documentali, visto il sostanziale fallimento del sistema, ed individuare un nucleo minimo, etico, di “adempimenti” che potremmo definire “salvavita” la cui mancata osservanza deve essere, però, assistita da sanzioni penali gravi!
Questi non dovrebbero essere particolarmente difficoltosi e impegnativi in relazione a quelli che sono i fattori di rischi più importanti del cantiere: impianti elettrici, cadute dall’alto e macchine, attrezzature ed impianti, ad esempio. Quindi pochi articoli di legge o specifiche previsioni contenute, in un differenziato allegato al Testo Unico, chiare, semplici da adempiere, assistite da pesanti sanzioni penali, di contro senza nessun obbligo di redazione di documenti a carico del datore di lavoro se non l’acquisizione di quelli già previsti per legge quali la dichiarazione di conformità degli impianti elettrici, le dichiarazioni di conformità delle macchine, il libretto dei ponteggi ed altro.
Questa impostazione potrebbe essere mutuata dall’edilizia ad altri settori lavorativi con più alto indice di incidenza di infortuni, ad esempio l’agricoltura, e produrre una implementazione del T.U. magari, con tecnica già usata, con l’aggiunta di un Tit. IV bis ed altri, con le modificazioni sopra viste.
Ovviamente, a questo punto, tale importante semplificazione deve poter essere attuata dal datore di lavoro e fatta osservare dal preposto.
È allora auspicabile affrontare e risolvere un altro problema che, finora, non si è voluto e/o potuto prendere in considerazione con la dovuta attenzione: la specifica preparazione e competenza tecnica del datore di lavoro.
Infatti, definiti normativamente i principali, pochi, adempimenti salvavita per i lavoratori, il datore di lavoro deve essere in possesso delle conoscenze adeguate per assicurarne il preciso rispetto sulla base di una formazione adeguata, seria, con verifica dell’apprendimento severa e capace di attuare una vera selezione delle persone abilitate.
Bisogna prendere atto e trarne le conseguenze di un ulteriore, sostanziale problematica: la criticità del sistema della formazione in materia di sicurezza e, soprattutto, della formazione dei datori di lavoro!
Questi, principali debitori di sicurezza, in realtà, molte volte, non hanno le competenze tecniche minime necessarie e indispensabili ad assicurare le condizioni etiche di sicurezza del cantiere.
Discorso a parte meriterebbe il sistema della vigilanza e, in particolare, le previsioni dell’apparato sanzionatorio in materia di sicurezza sul lavoro.
Tale argomento è meritevole di una trattazione specifica, data la sua importanza, atteso il coinvolgimento dell’intero impianto normativo previsto dal Decreto Legislativo n. 758/1994.
Per quanto riguarda l’aspetto sanzionatorio delle problematiche relativa
alla sicurezza dei lavoratori, è doveroso evidenziare l’estrema delicatezza
dell’applicazione a tali fattispecie di reato del sistema deflattivo della
“tenuità del fatto” introdotto dal Decreto Legislativo n. 28, 16 marzo
2015.
Di seguito una riflessione sulla depenalizzazione in materia lavoristica e
la sicurezza sul lavoro. Cosa ha prodotto il D.Lgs. 8/2016 rispetto alla
trasformazione, in illeciti amministrativi, di fattispecie riguardanti la
sicurezza sul lavoro.
Come noto, già i decreti legislativi 7 e 8 del 15 gennaio 2016, hanno introdotto disposizioni in materia di “abrogazione di reati” e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili e di “depenalizzazione”.
Il D.Lgs. 28/2015 inerente “Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto” ha infatti introdotto l’art. 131 bis del codice penale peri reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena; la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo… l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
Il problema che qui, con i presenti scritti, si intende porre in evidenza, rileva in quanto ad oggi la giurisprudenza, per tali questioni, non ha manifestato un orientamento unanime, proprio per i delicati reati in materia di sicurezza sul lavoro, la Suprema Corte, è bene dirlo, ha comunque sostenuto che “la realizzazione della situazione di pericolo in pregiudizio di un’ampia e indeterminata platea di soggetti, è fattore che porta ad escludere la particolare tenuità del fatto”.
Sgombrando il campo da possibili equivoci, a parere degli autori di questo contributo, si è nel convincimento che la normativa in parola, che ha introdotto la depenalizzazione dei reati per particolare tenuità del fatto, non sia in assoluto applicabile alle disposizioni penali dettate per la sicurezza del lavoro.
È bene sottolineare che dette norme, e segnatamente il T.U. sulla sicurezza, vale a dire il D.Lgs. 81/2008, in ambito penale hanno evidentemente finalità per cosi dire “preventive” e non puramente punitive, ovvero tentare di evitare che possano crearsi situazioni di pericolo pregiudicanti la sicurezza e l’incolumità di lavoratori, maestranze varie, o altri soggetti terzi che si trovano sui luoghi di lavoro. Ciò detto con una miope applicazione dell’art. 131 bis del codice penale si avvalorerebbe il rischio di incentivare un atteggiamento, per altro già molto presente, di resistenza nei confronti della opportuna applicazione preventiva delle norme sulla sicurezza del lavoro, in un Paese come il nostro che a livello europeo detiene il triste primato negativo di morti ed infortuni sul lavoro.
Tornando ai decreti legislativi 7 e 8 del 2016 che hanno operato una profonda depenalizzazione dei reati convertendoli in illeciti civili, in aggiunta agli illeciti amministrativi, punibili ugualmente con sanzioni pecuniarie, a latere degli argomenti di cui sopra per una particolare menzione rispetto alla lunga lista di ben 112 reati depenalizzati merita pure il “reato di intermediazione illecita di manodopera per violazioni delle disposizioni in materia di appalto e distacco” anch’esso rilevante per importanti e gravi risvolti giuslavoristici.
Fatta questa piccola digressione dal tema di fondo che si sta trattando, pare giusto rammentare che il Ministero del Lavoro, con la Circolare 6/2016, ha fornito alcuni importanti chiarimenti in materia di depenalizzazione asserendo, inequivocabilmente, che sono da intendere esclusi i reati contemplati dal d.lgs. 81/2008 (allegato art. 1, comma 2), puniti con la sola pena pecuniaria della multa o dell’ammenda, che conservano natura penale e continuano ad essere perseguiti secondo la disciplina in vigore.
Di contro, è destinata ad esplicare effetti di notevole impatto la prassi che va consolidandosi secondo la quale frequentemente in varie Procure d’Italia, diversi magistrati ritengono legittimo “archiviare” verbali e relative strutture accusatorie e sanzionatorie afferenti illeciti in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, rappresentate come notizie di reato da parte degli ispettori del lavoro nella loro qualità di Ufficiali di Polizia Giudiziaria.
È interessante al riguardo anche menzionare la recente sentenza di Corte di Cassazione la 45940/2017 in cui si stabilisce, annullando la precedente assoluzione ex art. 131/bis c.p. del titolare di azienda agricola a cui erano state contestate violazioni in materia di sicurezza e salute sul lavoro. Nello specifico in qualità di datore lavoro non aveva provveduto alla nomina del medico competente e contestualmente non aveva altresì fornito le attrezzature e i dispositivi di protezione individuale idonei allo svolgimento di attività edili in quota.
Ebbene la sentenza di cui sopra argomenta che non viene ad applicarsi la causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto” quando vi sono “più violazioni” della norma anche se queste, singolarmente valutate, siano effettivamente “tenui”.
D’altro canto un’altra sentenza della medesima Cassazione, la n. 17176/2017 muove su versante opposto, ossia rispetto alla tenuità del fatto che scatta anche per la sicurezza del lavoro. A questa conclusione quindi giunge la Corte di Cassazione, con detta sentenza del 2017, la citata n. 17163 della quarta sezione penale, con la quale veniva respinto il ricorso della Procura contro l’applicazione della nuova causa di non punibilità nei confronti di un datore di lavoro accusato del reato di lesioni personali gravi ai danni di un dipendente che si era infortunato all’interno di uno stabilimento produttivo. Al riguardo la Corte di Appello di Milano aveva ritenuto di applicare il fatto di particolare tenuità, mentre la Procura con una diversa lettura contestava proprio l’applicazione dell’istituto della tenuità.
In concreto la riflessione che si vuole indurre con questi scritti, si focalizza sul veder sempre più spesso attuarsi, in varie Procure della Repubblica in Italia, da parte di diversi PM, nella loro veste e funzione “inquirente” decisioni orientate manifestamente ad “archiviazioni” di procedimenti in tema di sicurezza sul lavoro, invocando la cosiddetta “tenuità” della pena.
È appena il caso evidenziare come il nostro ordinamento giudiziario indichi quali funzioni debbano svolgere i Pubblici Ministeri, in particolare sulla repressione dei reati esercitando una azione penale finalizzata alla piena osservanza delle leggi ed alla tutela dello Stato. Lo stesso PM svolge la funzione di parte pubblica in quanto rappresenta l’interesse pubblico leso dal reato una volta ricevuta la “notitia criminis” trasmessa, in tema di sicurezza sul lavoro, dagli Ispettori del lavoro dell’INL o dagli ispettori delle ASL.
Quello che si intende sommessamente portare all’attenzione del dibattito generale, anche alla luce dei troppi infortuni, spesso mortali, cagionati in attività lavorative, che pongono il nostro Paese in questa speciale classifica al poco edificante primo posto tra i paesi europei, è che l’avvento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto anche in materia di sicurezza del lavoro dovrebbe produrre una ulteriore riflessione nel mondo giuridico.
Risulta chiaro che la “ratio” della norma, ossia il nuovo articolo 131 bis
del codice penale, come introdotto dal citato D.Lgs. 28/2015 quale nuova
causa di non punibilità, può trovare applicazione solo laddove l’offesa sia
di particolare tenuità, alla luce delle modalità della condotta e
dell’esiguità del danno o del pericolo e il comportamento dell’agente non
sia abituale.
In chiusura, con le riflessioni sopra descritte, gli autori hanno inteso
porre l’accento su questioni di natura generale inerenti il bisogno di una
operosità normativa, messa in atto da parte del legislatore, riguardante un
auspicabile ammodernamento dell’attuale TU sulla sicurezza, che dovrebbe
essere più aderente ai bisogni differenziati e di semplificazione
scaturenti da parte del tessuto imprenditoriale di piccole dimensioni,
spesso artigianale, fortemente radicato nel nostro Paese. Più in generale
si evince il bisogno di normative agili, o con un termine più alla moda
smart, tali da poter essere semplicemente rispettate.
Come pure norme sulla sicurezza, applicate dall’ordine giurisdizionale, che troppo di frequente si trova ad operare con traiettorie ed interpretazioni spesso ondivaghe. Tali sono ad esempio le casistiche verificate nel recente passato, come sopra riportato, sul tema della archiviazione per “particolare tenuità del fatto” trattando appunto le questioni e le norme applicabili in materia di sicurezza sul lavoro. In una parola norme chiare, inequivoche, semplici, tali da garantire uniformità, certezza della pena, giustezza del contradditorio e soprattutto dignità del lavoro, in ogni sua forma, riducendo i rischi nella sua effettuazione, tutelandone i diritti e la liceità dei lavoratori e altrettanto di chi fa legittimamente impresa.
[*] Prof. Stefano Olivieri Pennesi - Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, titolare della cattedra di “Sociologia dei processi economici e del lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del lavoro”. Dirigente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, Capo dell’Ispettorato territoriale di Potenza-Matera
[**] Ing. Angelo Romaniello - Responsabile area di coordinamento settore vigilanza Pz. Ispettorato territoriale del Lavoro di Potenza-Matera
[***] Ing. Eugenio Straziuso - Responsabile area vigilanza 2 Pz. Vigilanza tecnica. Ispettorato territoriale del Lavoro di Potenza-Matera
Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero degli autori e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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