Può accadere, per i più svariati motivi, che il datore di lavoro privato non provveda al versamento dei dovuti contributi pensionistici in favore del lavoratore dipendente, oppure li versi in misura inferiore al dovuto perché li calcola su una retribuzione inferiore a quella corrisposta. Trascorsi 5 anni il datore di lavoro non può più versare tali contributi né l’INPS richiederli perché è intervenuta la prescrizione.
In questa deprecabile situazione lavoratore perde il diritto alla quota di pensione corrispondente ai contributi non versati? In altri termini, il lavoratore avrà una pensione inferiore (eventualmente nessuna pensione!) a quella che si sarebbe aspettato in rapporto alla retribuzione percepita? La risposta a queste domande è certamente affermativa: quando nella posizione assicurativa del lavoratore sono presenti contributi inferiori al dovuto, l’INPS calcola una pensione proporzionale ad essi e, dunque, inferiore a quella che sarebbe stata attribuita se fossero stati accreditati tutti i contributi.
Tuttavia l’ordinamento prevede uno strumento di tutela per il lavoratore che permette, in qualche modo, di ovviare alla omissione del datore di lavoro: la costituzione della rendita vitalizia. Attraverso questo strumento il lavoratore potrà avere una pensione coerente con i periodi e le retribuzioni percepite.
La rendita vitalizia non consiste nel versamento ora per allora dei contributi ormai prescritti, cosa non più possibile, ma nel pagamento del riscatto di quella quota di pensione che spetta al lavoratore dipendente in relazione contributi omessi.
L’onere di riscatto “È determinato sulla differenza tra l’importo della pensione che spetterebbe al richiedente sulla base dei contributi complessivamente accreditati, compresi quelli oggetti di riscatto, e l’importo della pensione determinato sulla base della contribuzione effettivamente accreditata nel fondo in cui si chiede il riscatto (Circ. 162 del 19.7.1997)” (testo estratto dal sito INPS).
Naturalmente l’INPS riconoscerà la quota di pensione solo completato il riscatto, che potrebbe avvenire anche in un momento successivo alla data del pensionamento.
La rendita vitalizia può essere richiesta all’INPS da parte del lavoratore (con eventuale rivalsa sul datore di lavoro) oppure effettuata spontaneamente dal datore di lavoro.
La disciplina della rendita vitalizia succintamente descritta sembrerebbe non interessare gli impiegati statali iscritti alla Cassa Stato (CTPS). Può mai lo Stato aver omesso il versamento dei contributi previdenziali dei propri dipendenti?
In effetti, il Ministero dell’economia e finanze – NOIPA – rappresenta che ha “sempre effettuato tutti i versamenti contributivi corrispondenti al pagato” tuttavia riconosce che la banca dati INPS delle posizioni assicurative dei dipendenti “è gravata dalla presenza di vuoti contributivi o errori relativi alla retribuzione imponibile” (Ministero Economia e Finanze/DSII - ProtNum: 0015855/2018 del 06/06/2018). Dunque, la banca dati INPS presenta delle mancanze che potrebbero avere come conseguenza una pensione inferiore oppure nessuna pensione (in caso di mancato raggiungimento dei requisiti minimi previsti).
Stando così le cose è imprescindibile che ogni dipendente statale controlli la propria posizione assicurativa per verificare l’eventuale “presenza di vuoti contributivi o errori relativi alla retribuzione imponibile”.
Ma c’è di più, infatti il controllo dovrà riguardare non solo le retribuzioni pensionabili (dal 1/1/1993) ma anche i periodi utili a pensione sia quelli c.d. utili ex se (es.: ruolo, maggiorazioni, militare di leva, ecc.) sia quelli riconosciuti con provvedimento formale delle amministrazioni statali (es.: computi, riscatti, ricongiunzioni, ecc.). Il controllo può essere effettuato agevolmente confrontando i dati della posizione assicurativa INPS-CTPS con gli atti in proprio possesso.
Se la posizione assicurativa INPS risultasse incompleta o errata, il dipendente dovrà presentare all’INPS per via telematica la “Richiesta di Variazione Posizione Assicurativa” (RVPA) [che] “rappresenta lo strumento attraverso il quale il lavoratore dipendente pubblico può far rilevare le inesattezze e gli errori contenuti nell'Estratto Conto Gestione Dipendenti Pubblici” (testo estratto dal sito INPS). Tramite la RVPA il dipendente potrà inviare all’INPS la documentazione giustificativa per permettere all’Istituto di rettificare o integrare i dati in proprio possessoe l’INPS, a sua volta, potrà, a tale fine, richiedere anche all’ente datore di lavoro di sistemare la posizione assicurativa per la sua parte(cf. INPS circolare n. 148 del 21/11/2014 e successive).
In particolare, fino al 31/12/2018 gli enti datori di lavoro pubblici possono continuare a sistemare le posizioni assicurative secondo le modalità già in uso e dettate dall’ex INPDAP per la regolarizzazione contributiva. La dirigenza statale ha le competenze per proseguire nella sistemazione delle posizioni assicurative dei dipendenti statali già avviate, tuttavia il termine del 31/12/2018 si avvicina.
Anche le organizzazioni sindacali e le associazioni di patronato si sono rese parte attiva al fine di sostenere il dipendente statale nella sistemazione della posizione assicurativa.
Ma cosa succederà dal 1/1/2019 per le posizioni assicurative di quei dipendenti statali per i quali gli enti datori di lavoro non hanno provveduto a sistemare la posizione assicurativa secondo le modalità attualmente in uso ed entro il 31/12/2018?
Ebbene, i dipendenti statali possono continuare a presentare la RVPA anche dal 1/1/2019 in poi perché l’INPS non ha posto limiti a questa possibilità (notizia riportata sul sito INPS in data 13/8/2018), ma diversa è la situazione per gli enti datori di lavoro.
Infatti permane il limite di 5 anni alla prescrizione dei contributi a decorrere dal 1/1/2019 (INPS circolare n. 169 del 15/11/2017) e, a tale proposito, l‘INPS precisa: “i datori di lavoro pubblici potranno quindi continuare ad aggiornare le posizioni assicurative dei dipendenti, ma per i flussi trasmessi dal 1° gennaio 2019 dovranno sostenere un onere calcolato secondo le indicazioni della circolare INPS 169/2017 (ossia [l’ente datore di lavoro]sarà obbligato a sostenere l’onere del trattamento di quiescenza riferito a periodi di servizio per cui è intervenuta la prescrizione, utilizzando come base di calcolo il criterio della rendita vitalizia)” (notizia riportata sulla home page INPS con data 13/8/2018).
In altri termini, poiché dal 1/1/2019 interviene la prescrizione quinquennale dei contributi, gli enti datori di lavoro (le amministrazioni statali) potranno sistemare le posizioni assicurative dei dipendenti statali pagando l’onere di riscatto previsto per la rendita vitalizia per i contributi ormai prescritti.
In conclusione, se da un lato è importante per i dipendenti statali presentare la RVPA il prima possibile, dall’altro sarebbe opportuno per gli enti datori di lavoro provvedere a sistemare le posizioni assicurative entro il 31/12/2018 al fine di evitare di sostenere l’onere per la quota di pensione relativa ai contributi prescritti pagando il riscatto secondo il criterio della rendita vitalizia.
Proprio con riferimento al pagamento del riscatto la novità e complessità della situazione che si è creata può far sorgere alcune semplici domande: chi provvederà (es.: le amministrazioni statali, il Ministero dell’economia e finanze, …), come provvederà (es.: d’ufficio, a domanda dell’impiegato/pensionato, a seguito di sentenza, …) e quando provvederà (es.: al momento della richiesta dell’impiegato o dell’INPS, al momento del pensionamento, …) al pagamento del riscatto?
Si confida in una sinergia e una condivisione tra MEF, INPS e Amministrazioni statali al fine di giungere compiutamente e rapidamente alla soluzione delle problematiche, come auspicato nelle Conclusioni della nota MEF del 6/6/2018 sopra citata.
[*] Esperto di problemi previdenziali del Pubblico Impiego. Rappresentante Regionale per il Lazio nella Assemblea Nazionale della Fondazione Massimo D’Antona
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