Avviamo una serie di riflessioni su queste pagine partendo da un assunto, quanto può ritenersi cogente il tema dell’anticorruzione nel nostro Paese ed in particolare negli ambiti e nei contesti in cui si esplica l’azione della Pubblica Amministrazione?
Iniziamo col dare alcuni riferimenti quale panoramica del fenomeno corruttivo in Italia. Transparency International elabora annualmente delle statistiche globali di evidente interesse sul tema. Specificamente viene realizzato il cosiddetto Corruption Perception Index, in acronimo, CPI.
Nell’ultimo censimento disponibile del 2018 l’Italia si posiziona al 53° posto su un totale di 175 Paesi rilevati. Relativamente a raffronti con altri Paesi del perimetro Europeo il nostro Paese si colloca in una posizione evidentemente non invidiabile. Infatti i Paesi che risultano maggiormente negativi sono pochi e tra essi menzioniamo, a puro esempio, la Croazia, la Grecia, la Romania, la Bulgaria. Mentre tutti gli altri maggiori Stati competitor della UE si collocano al di sopra dei nostri valori.
La Danimarca ha il miglior tasso di percezione per l’assenza di corruzione, ma molto bene fanno anche la Svezia, il Regno Unito, la Germania, la Francia, il Portogallo e financo Cipro, Spagna, Malta.
Il panel di domande, per questa ricerca, riguardanti la corruzione che sono state somministrate hanno contemplato i seguenti ambiti:
Da detta ricerca emerge altresì che gli ambiti più a rischio di corruzione in Italia sono: il lavoro, i servizi sanitari e assistenziali, la giustizia.
Nei vari settori di ricerca elaborati da Transparency International rilevante interesse è stato destinato al grado di corruzione rapportato ai tassi di digitalizzazione. In particolare sono stati indagate le relazioni esistenti tra i fenomeni corruttivi e lo sviluppo digitale della Pubblica Amministrazione, in un dato Paese.
In sostanza le correlazioni esistenti tra la digitalizzazione di un Paese (DESI) e la corruzione presente nello stesso Paese (CPI) appaiono sinallagmatiche. Così come le competenze digitali dei cittadini, i livelli di connettività e l’e-government, sono fattori che influiscono considerevolmente sul livello generale di corruzione.
Lo studio in parola evidenzia, con chiarezza, che i Paesi con un alto tasso e quindi livello di digitalizzazione, subiscono meno il deleterio peso della corruzione. Deduciamo quindi anche, dalla lettura delle analisi empiriche, che la crescente digitalizzazione può e deve essere fondamentale alleato nella lotta alla corruzione. Rendendo maggiormente trasparente la Pubblica Amministrazione e al contempo consentendo sia a cittadini che alle imprese di bypassare le barriere all’accesso per la fruizione di beni e servizi, previa tracciabilità puntuale delle attività svolte dalle singole PP.AA. e anche la possibilità di confrontare le performance tra Amministrazioni, tutto ciò consente di scardinare situazioni di opacità o peggio corruttela che potrebbero appalesarsi.
A questo gioverebbe affiancare sistemi scientifici di Rating sulle stesse Amministrazioni Pubbliche, basati magari su giudizi di cittadini ed imprese sia sulla efficienza ma sia anche sul livello di trasparenza e correttezza amministrativa.
A questo è dedicata la pregevole azione svolta nel nostro Paese dalla Fondazione GARI - Gazzetta Amministrativa della Repubblica Italiana, attualmente partner istituzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha elaborato con propri tecnici: ingegneri, analisti oltre che giuristi e socio-economisti, un sistema di rating analitico sulla proficuità di ogni voce di spesa dei bilanci delle varie PP.AA. esaminate.
Dopo questa necessaria introduzione passiamo ad indagare il cosiddetto “presidio di legalità” quale potrebbe rappresentare “l’Internal Auditing”, ossia quelle attività che stanno acquisendo con il passare degli anni una sempre maggiore rilevanza all’interno delle organizzazioni sia Pubbliche che private, al fine di “valutare” e “migliorare” i molteplici e stratificati sistemi di controllo interno come pure della gestione dei rischi, o ancora del Corporate Governance. Nel nostro caso punteremo l’attenzione evidentemente sul contesto della Pubblica Amministrazione.
Possiamo affermare, quindi, con una certa consapevolezza che le attività di Internal Auditing non possono limitarsi soltanto alle tradizionali attività di revisione amministrativo-contabile, come pure a controlli interni e compliance; ma con crescente frequenza anche in attività di mera consulenza legate a questioni di gestioni operative, al risk management e alla più stretta governance delle Istituzioni.
Per semplificare il cosiddetto Audit o meglio Internal Auditing ha visto concretizzarsi una fase evolutiva (dai suoi albori) consistente nella “dicotomia” riguardante da un lato, il mero controllo, come detto, amministrativo-contabile, finalizzato alla stretta correttezza dell’attività esercitata; dall’altro lato verifiche sui controlli operativi, relativi alle condizioni dell’economicità e finalità della mission anche alla luce di possibili revisioni strategiche.
In originaria genitura, l’archetipo di Auditing era in sostanza finalizzato a contrastare gestioni inadeguate ovvero inefficienti, spesso inadempienti. Successivamente affiancato a queste attività si è andato via via evolvendosi anche il più invasivo controllo sulla legalità e sulla gestione della cosa pubblica.
Le specifiche attività sono state quindi, per la prima tipologia, ad appannaggio prevalentemente dei Revisori dei Conti e/o Collegi Sindacali. Per la seconda tipologia sopra menzionata, ai cosiddetti organi interni Auditors, evidentemente concentrati su efficienza ed efficacia gestionale e dell’organizzazione.
È di tutta evidenza quindi il delicato compito svolto dall’Audit in un alveo che deve soddisfare i primari requisiti di “indipendenza, terzietà e obiettività”. In tal modo l’attività di IA - Internal Auditing non dovrebbe essere condizionata dai diversi attori dell’Amministrazione, potendo e dovendo contare su un elevato grado di conoscenze dei ruoli e dei compiti della medesima Amministrazione, come anche del modello organizzativo adottato.
Passiamo ora a considerazioni su ciò che rappresentano le attuali Pubbliche Amministrazioni di fronte alla nuova realtà, nuove sfide, nuovi orizzonti socio-economici e di gestione/governance della cosa pubblica, considerano al contempo l’attuale contesto sociale che si caratterizza da una crescente complessità e continua variabilità, così come anche la globalizzazione ha contribuito ad incidere su compiti e mission delle Pubbliche Amministrazioni , contribuendo ad una evoluzione nell’ottica di una gestione sempre più manageriale e meno burocratico-amministrativa.
Nell’ambito delle problematiche relative alla proficua gestione della cosa pubblica, da parte della PA, risulta evidente la relazione che intercorre tra corporate governance, risk management e controllo interno.
Al fine di inquadrare bene il contesto evolutivo della disciplina dei controlli interni che si è andata progressivamente arricchendo di strumenti necessari a permettere alle Pubbliche Amministrazioni di rafforzare il sistema dei “controlli interni”, identifichiamo i due momenti topici che hanno sancito l’alveo giuridico di riferimento.
Il primo è rappresentato dal decreto legislativo n.286/1999: riordino e potenziamento dei controlli interni. Il secondo quale atto di riforma è il decreto legislativo n.150/2009 noto come riforma Brunetta, attuativo della delega contenuta nella legge n.15/2009 in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni.
Il fine insito del d.lgs. 150/2009 è principalmente assicurare una migliore organizzazione del lavoro, elevare gli standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi, l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, l’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico, la trasparenza dell’operato delle Amministrazioni Pubbliche a garanzia della legalità.
Questi due interventi normativi del 1999 e del 2009 che ha voluto il legislatore, a distanza di dieci anni l’uno dall’altro, hanno fortemente inciso sull’assetto generale dei cosiddetti “controlli” delle Amministrazioni del perimetro pubblico.
Il d.lgs. n.286/1999 attua inequivocabilmente un riordino e un potenziamento del sistema dei controlli interni, distinguendo varie tipologie di controllo nonché i soggetti attuatori. Con ciò si è operata una completa revisione del sistema dei controlli fino ad allora disciplinati dal d.lgs. 29/1993 separando funzioni di tipo diverso che in passato erano state assegnate i “Nuclei di controllo interno” ovvero anche “nuclei di valutazione” che operavano si in posizione di autonomia, ma al contempo dipendenti dall’Organo di indirizzo politico.
Ritengo non azzardato affermare che proprio dalla norma del 1999 in poi vengono progressivamente accantonati i cosiddetti modelli di amministrazione burocratica a favore di logiche di tipo manageriale e per questo più simili al settore privato.
Detto nuovo approccio si sostanzia in un costante riscontro tra “programmazione” e “pianificazione”, in un’ottica di necessario raggiungimento di risultati previsti e continuo miglioramento delle performance, elemento fondamentale dell’azione amministrativa con evidenti ricadute sul necessario cambiamento culturale e professionale dei dirigenti come dei funzionari pubblici.
D’altro canto l’evoluzione naturale di detto nuovo modello e approccio sistemico, pare essere, ritengo, (anche se con tutte le sue contraddizioni interne) oggettivamente rappresentato dalla costruzione e legiferazione di cui al d.lgs. n.150/2009, che contiene in se i presupposti fondamentali per la prevenzione della corruzione, ma anche le basi per promuovere la cosiddetta “accountability esterna” della PA, imponendo sempre più la trasparenza nell’agire amministrativo. Al riguardo giova, citando cautamente un eminente studioso della nostra PA, il prof. Luciano Hinna, sottolineare il suo pensiero, in particolare quando lui concettualizza l’accountability riconducendola al suo scopo primario ovverosia quello di sostanziare e “supportare il controllo sociale della collettività sulle decisioni di allocazione ed impiego delle risorse, sul livello dei risultati economici e non raggiunti ed infine sulla loro coerenza rispetto alla missione istituzionale da assolvere”.
Evidentemente il primario obiettivo del 150, punta alla ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, al contempo l’efficienza e la trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni.
Il sistema di controlli interni, quindi, come riconfigurati proprio dalla norma 150, conduce ad unitarietà le diverse attività concludenti nel cosiddetto “ciclo di gestione della performance” che detiene al suo interno, il controllo di gestione, la valutazione di tutto il personale e il controllo strategico.
In un ambito a se viene individuato il controllo di regolarità amministrativo-contabile. Ciò implica pertanto una divaricazione netta tra “controlli gestionali” e “controlli di conformità”. Sempre il d.lgs.150, in applicazione dell’articolo 14, ha previsto la costituzione dell’OIV-organismo indipendente di valutazione, operando questo in posizione autonoma, seppur rispondendo direttamente al vertice politico, sia esso: Ministro, Governatore, Presidente, Sindaco.
Facciamo ora doverosamente un accenno su cosa sia la valutazione ed il controllo strategico. Questo tipo di controlli sono orientati a verificare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, dei programmi e degli strumenti, su indirizzo politico, rispetto alla congruenza tra obiettivi assegnati e risultati ottenuti.
Pertanto l’attività di valutazione e controllo strategico tende a verificare l’effettiva attuazione di quanto sancito dalle Direttive e Atti di indirizzo politico, amalgamando obiettivi operativi e obiettivi strategici come è facile intuire la valutazione e il controllo strategico rappresentano l’interconnessione tra “agire politico” e “agire amministrativo”. Con la valutazione si forniscono report in itinere e susseguenti, al vertice politico sulla idoneità delle scelte effettuate. Il controllo interno, per altro verso, permette di verificare l’andamento delle attività esercitate dalla PA per mezzo delle sue strutture amministrative di vertice.
A questo punto si ritiene utile introdurre elementi per ben inquadrare nell’universo dei controlli previsti dalla nostra normativa ed in particolare la definizione e il ruolo di Internal Audit (IA). Risulta evidente come il compito dell’IA ha assunto negli ultimi anni un crescente rilievo, teso a migliorare l’attività di controlli interni, monitorandone efficacia ed efficienza di tutto il sistema.
Sinteticamente è possibile elencare i basilari principi di Audit a fondamento delle azioni più generali, vale a dire:
Esistono inoltre dei principi fondamentali a cui ispirarsi per i modelli di Governance di una PA.
Sinteticamente possiamo parlare di tutela generale dei diritti di una collettività di cittadini, ossia che le pubbliche amministrazioni devono assistere la cittadinanza nell’esercizio dei propri diritti garantendo disponibilità e fruizione dei servizi.
Integrità e comportamento etico nonché morale, sono caratteristiche irrinunciabili per le PP.AA. le quali dovrebbero dotarsi di adeguati e stringenti “codici etici e di condotta” per poter correttamente ispirare la propria azione.
Non di meno, altri elementi di tutela, possono essere rappresentati dalla chiarezza e trasparenza. Le PP.AA. devono rendere chiari e conoscibili, con adeguati livelli di informazione trasparente: ruoli, compiti, strutture, quali elementi a favore della collettività e dei stakeholder, tali anche da poter permettere con strumenti tecnologici moderni, la giusta “interazione ed interlocuzione”.
Corretta organizzazione per prevenire fatti illeciti. Questa può identificarsi come giusta strategia da mettere in campo per moralizzare, per quanto possibile, la nostra PA anche rispetto ai mai sopiti malcostumi che anche di recente hanno riempito le cronache giornalistiche.
A questo è bene aggiungere un articolato e dinamico supporto fornito dai sistemi di “controllo interno” che per antonomasia debbono poter incidere sulla necessaria conformità dei processi di azione amministrativa che al contempo sono sinonimo di prevenzione degli illeciti e delle irregolarità.
Quindi un idoneo sistema organizzativo e di verifica può rappresentare un efficace strumento di prevenzione dei comportamenti devianti e conseguentemente di possibili fatti illeciti.
È giusto ritenere che una moderna Pubblica Amministrazione deve opportunamente presidiare le strutture organizzative possibilmente creando e promuovendo una autonoma visione all’interno delle Amministrazioni e tra le Risorse Umane ivi impegnate.
Nelle Scienze dell’Amministrazione e dell’Organizzazione esistono veri e propri “modelli” di organizzazione, gestione e controllo, che vanno ad impattare, appunto, sulla organizzazione di una determinata Amministrazione. Ugualmente esistono, e sono in continua evoluzione, anche i modelli per l’anticorruzione, introdotti dalla legge 190/2010.
Inquadriamo un atto corruttivo nel momento in cui un soggetto viola, scientemente, un sistema di ordinamento pubblico creando una distorsione nel processo decisionale in particolare nel non osservare le regole generali; ciò al fine di ricavare vantaggi o utilità personali.
La corruzione e quindi le azioni corruttive violano i sistemi di regole agendo attivamente o anche passivamente con lo scopo, ribadiamo, di ottenere benefici di diversa natura: economici, professionali, politici, sessuali, ecc.
Come detto precedentemente anche dal punto di vista meramente economico, la corruzione ha effetti deleteri, gli stessi investimenti stranieri vengono influenzati negativamente dalla semplice percezione di un elevato grado di corruzione nel Paese.
Come sappiamo per far fronte al problema rappresentato dal fenomeno corruzione il nostro Legislatore ha emanato la legge 6 novembre 2012 n.190, comunemente denominata legge Severino. La stessa per tentare di arginare tale grave condizione corruttiva ha previsto l’obbligo di adottare dei Piani di prevenzione con modelli che si ispirano al Risk Management, previo anche un rafforzamento e aggiungo inasprimento del codice di comportamento dei pubblici dipendenti, come pure una diffusa elevazione dei livelli di trasparenza da adottare.
Anche l’intensificazione dei percorsi formativi dedicati al rispetto delle regole e dell’etica pubblica, sono una strada ormai ben tracciata ancorché seguita.
Possiamo anche sintetizzare i momenti basilari sui quali si dovrebbe muovere il “piano della prevenzione della corruzione” sempre integrato nell’organizzazione generale dell’Amministrazione.
Ai fini di una strutturazione di un efficace sistema di controllo interno, nelle diverse diramazioni della PA, è necessario bipartire gli interventi in due grandi macro aree, ossia quello della “governance” e quello della “gestione dei rischi”. Questo anche per l’ineludibile bisogno di garantire il monitoraggio della totalità e complessità di ogni “procedimento amministrativo” a tutti i livelli, come pure tendere a migliorare “trasparenza” e “reputazione” della PA nei confronti dell’intera collettività, per la quale si è evidentemente strumento di servizio.
La Governance come concetto, declinato al settore pubblico, si collega principalmente ad aspetti organizzativi che implicano responsabilità, compiti, deleghe e attribuzioni del management ossia della dirigenza pubblica, avendo ben chiaro chi si occupa di che cosa. A questo bisogna abbinare l’intero sistema di procedure attuate.
È proprio in tale ambito che è necessario contrastare, con adeguati sistemi, un possibile “uso illecito” del potere delegato per fini privati e/o utilità varie. Ecco quindi che un sistema organizzato di regole e vincoli vanno pensati in linea con principi di responsabilità, trasparenza, integrità, equità.
La stessa nostra “Carta Costituzionale”, quale fonte primaria, ha scolpito nell’art. 97 il principio del “buon andamento” nelle attività svolte dalla PA, vergando: “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione”. Buon andamento della PA da intendersi, ritengo, anche come “giusto andamento”.
Ciclo di Audit. Con questo termine si riuniscono tutta una serie di attività coordinate e finalizzate alla concreta attuazione delle procedure di Internal Auditing. Quale obiettivo strategico generale per lo svolgimento dell’IA possiamo sicuramente menzionare la valorizzazione della PA perseguendo il miglioramento nell’efficacia ed efficienza con le azioni di controllo poste in essere, individuando possibilmente i punti di debolezza dei singoli processi amministrativi e gestionali.
Esistono degli standard internazionali degli IA che possono desumersi in maniera schematica nelle seguenti fasi:
Partendo dal fondamentale Piano Audit che deve necessariamente contenere obiettivi con misurabilità e tempistica, attività da svolgersi e reporting, si passa alla pre-analisi e programma audit da implementare. Fondamentale, quindi, la pre-analisi dell’Audit, finalizzata ad acquisire informazioni ed elementi utili per pianificare il lavoro.
Le informazioni possono veicolarsi in vario modo: dai questionari, all’osservazione diretta, da relazioni su precedenti audit, alla raccolta di documentazione interna od esterna, o ancora da indicatori o elementi di gestione, financo ricorrendo a interviste dirette.
Si passa quindi al vero programma audit, con obiettivi tempi previsti e procedure. Normalmente si avvia il tutto con una riunione di apertura da tenersi con i dirigenti e i responsabili delle strutture che verranno auditi, presentando il lavoro da fare, gli intenti, le aspettative. Questo momento iniziale ritengo sia fondamentale per avviare una buona collaborazione e relazioni proficue tra le parti.
Il report conclusivo deve contenere raccomandazioni, piano di azione e giudizio finale.
Il follow-up rappresenta invece il monitoraggio delle azioni correttive messe in atto. Evidentemente l’auditor verifica adeguatezza efficacia e tempestività delle azioni intraprese in riscontro alle osservazioni ed eventuali rilievi avanzati.
A sommesso parere di chi scrive non è errato ritenere che la funzione di auditing, nel settore pubblico nella sua rilevanza possa assumere connotati di protezione e garanzia del più generale “interesse pubblico” per una sana gestione della “cosa pubblica”.
[*] Professore a contratto c/o Università Tor Vergata titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del Lavoro”. Dirigente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, direttore Ufficio I° Anticorruzione.
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