Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 27787 del 24/06/2019
, riaccende le luci su uno degli obblighi fondamentali previsti dalla normativa antinfortunistica (D.Lgs. n.81/2008 e smi) a carico del datore di lavoro nei confronti dei suoi dipendenti: l’adeguata formazione sui rischi legati allo svolgimento dell’attività lavorativa.
Nell’ambito di ogni organizzazione aziendale e per le varie mansioni svolte all’interno di essa dai lavoratori, deve essere assolto dal datore di lavoro l’obbligo di informazione, formazione e addestramento sui rischi generici e specifici per i lavoratori.
La Cassazione Penale torna nuovamente a pronunciarsi sul tema della responsabilità del datore di lavoro in caso di infortunio dovuto ad omessa formazione. Esaminiamo il caso di specie.
Il dipendente, nell’espletamento della sua mansione di boscaiolo, perde la vita per essere stato travolto da un albero che egli stesso ha tagliato. Avendo sempre svolto in precedenza il lavoro di manovale, il dipendente non poteva essere in grado di preventivare la modalità di caduta dell’albero. E anche se nei giorni precedenti l’evento mortale, l’ex muratore avesse dimostrato di saper tagliare alberi, non limitandosi ad attività ausiliarie come togliere i rami alle piante, perde la vita a causa della sua inesperienza a soli dieci giorni dall’assunzione, in quanto adibito a compiti per i quali non era stato formato.
La Corte di Appello, infatti, aveva già stabilito che il nuovo assunto doveva essere sottoposto a un periodo di apprendistato per le sole attività ausiliarie o di supporto, in modo da apprendere le tecniche e le precauzioni necessarie che gli sarebbero state utili per lo svolgimento futuro di mansioni più impegnative. Inoltre, il fatto che il dipendente avesse firmato una liberatoria in cui attestava di aver ricevuto un’informazione sufficiente sul relativo utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (Dpi), era del tutto irrilevante, in quanto – sottolineavano i giudici di merito – il datore di lavoro doveva comunque controllare che i dipendenti indossassero i dispositivi antinfortunistici oltre ad averli forniti. Il datore impugnava la sentenza ricorrendo in Cassazione.
I giudici della Corte di Cassazione respingono il ricorso del datore di lavoro, rilevando che la fase formativa era del tutto carente in relazione alla prestazione lavorativa di taglio delle piante. A niente è valso il verbale di consegna dei dispositivi di protezione individuale sottoscritto dal lavoratore, in cui lo stesso riconosceva di aver ricevuto una sufficiente informazione sul loro utilizzo e sui rischi della lavorazione. Quindi, nonostante la vittima potesse aver compiuto un gesto avventato, resta dimostrato il nesso causale tra la violazione antinfortunistica e l’infortunio mortale. Solo la dimostrazione di una condotta “abnorme” della vittima avrebbe potuto essere elemento di non punibilità per il datore di lavoro per i reati in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro imputati, ma ciò nel caso di specie è risultato essere escluso.
Infatti l’iniziativa del nuovo assunto non poteva ritenersi del tutto imprevedibile dal momento che l’ambito lavorativo prevedeva il taglio delle piante e la preparazione del legname, e nella gestione del rischio l’azienda doveva impedire ai dipendenti prassi pericolose per loro stessi. In conclusione, il datore di lavoro è condannato per omicidio colposo, in quanto avrebbe dovuto adottare ogni mezzo necessario per evitare l’evento mortale del lavoratore – come ad esempio la formazione – indipendentemente da un probabile atteggiamento imprudente dello stesso nello svolgimento della mansione lavorativa a cui era stato adibito. In questo caso è prevalsa la violazione antinfortunistica sull’imprudenza ed inesperienza del lavoratore.
Ancora una volta, quindi, una sentenza degli Ermellini che riporta l’attenzione su un obbligo prevenzionistico fondamentale a cui deve adempiere il datore di lavoro all’interno della sua azienda, piccola o grande che sia, a tutela della salute e della sicurezza dei propri dipendenti: formazione, informazione e, ove previsto, addestramento sui rischi legati all’attività lavorativa.
Lo stesso criterio orientatore della giurisprudenza si ritrova in altre sentenze degli ultimi anni, con motivazioni di colpa per il datore di lavoro addotte dai giudici della Suprema Corte di Cassazione, simili alla sentenza sopra discussa.
Si può ricordare, nel merito, una sentenza interessante, la n. 49593 del 14/06/2018 , in cui i giudici di legittimità condannano i soggetti responsabili della sicurezza, ciascuno nelle rispettive qualifiche, e tra questi anche il datore di lavoro, per aver cagionato in violazione della normativa antinfortunistica, per colpa generica e specifica, la morte di tre operai e causato lesioni personali consistenti in disturbo da stress post traumatico ad un quarto lavoratore.
Riprendendo il fatto, l’evento infortunistico era avvenuto durante l’esecuzione dei lavori di realizzazione di una grande opera, precisamente di elevazione di una pila di un viadotto autostradale. Nel cantiere i tre operai perdevano la vita dopo essere precipitati nel vuoto da un’altezza di circa 40 metri a seguito dello sganciamento di una pedana su cui si trovavano, causato dall’errato montaggio del sistema di ancoraggio effettuato utilizzando una vite di dimensioni inferiori. Non era stato possibile, infatti, utilizzare la vite dalle giuste dimensioni perché un’altra barra di acciaio di lunghezza predeterminata era stata posizionata erroneamente penetrando troppo nel cemento (a causa della mancanza della spina di battuta, dell’usura o di una rottura) e non lasciando spazio per il montaggio della vite giusta.
L’incidente provocava, altresì, un gravissimo disturbo di stress post-traumatico in altro operaio, rimasto in bilico sulla pedana attigua a quella caduta.
Causa principale di questi errori nel montaggio del sistema di ancoraggio della passerella su cui si trovavano i tre operai, è stata ritenuta dai giudici la mancanza di idonea formazione del personale, che non aveva mai seguito alcun corso specifico su tale sistema di ancoraggio, risultando del tutto ignaro del suo funzionamento e delle sue corrette modalità di montaggio. Per questo veniva condannato il datore di lavoro, considerato responsabile di non avere fornito ai lavoratori addetti alla costruzione della pila del viadotto alcuna informazione, formazione e addestramento circa le corrette regole di montaggio, utilizzo e smontaggio del sistema di ancoraggio.
Avanzato ricorso in Cassazione i giudici di legittimità lo respingono, confermando con la citata pronuncia come sia pacifico in giurisprudenza che: “il datore di lavoro risponde dell'infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte (cfr. sentenza Sez. 4, n. 45808 del 27 giugno 2017).
È infatti tramite l'adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti (cfr. sentenza Sez. 4, n.11112 del 29 novembre 2011). Ove egli non adempia a tale fondamentale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell'infortunio occorso al lavoratore, laddove l'omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell'evento.
Non può infatti venire in soccorso del datore di lavoro il comportamento imprudente posto in essere dai lavoratori non adeguatamente formati. Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, infatti, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi (cfr. sentenza Sez. 4, n. 39765 del 19 maggio 2015).
Si è poi ulteriormente specificato che l'obbligo di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro (cfr. sentenza Sez. 4, n. 22147 del 11 febbraio 2016). Ciò in quanto l'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge e gravanti sul datore di lavoro (cfr. sentenza Sez. 4, n. 21242 del 12 febbraio 2014)”.
Tanto premesso, la giurisprudenza di legittimità ampiamente consolidata ritiene, quindi, che tale omessa formazione ed informazione risulti “causalmente rilevante” per la verificazione dell'evento lesivo. I giudici di merito hanno affermato, attraverso un’attenta e logica valutazione del materiale probatorio acquisito, la inequivocabile sussistenza del nesso causale fra la mancata informazione e formazione dei lavoratori sul funzionamento del sistema di ancoraggio e la verificazione degli eventi morte e lesioni personali.
Ad avviso della Corte, proprio a causa della mancanza di formazione, e quindi di conoscenza del funzionamento intrinseco del sistema di ancoraggio, gli addetti al montaggio avevano inconsapevolmente sottovalutato l'importanza dell'uso dei pezzi previsti dal suo costruttore, dell'accantonamento di quelli usurati e dello scrupoloso rispetto delle modalità di installazione prescritte. “Se i lavoratori – concludono i giudici – avessero avuto adeguata conoscenza del sistema di ancoraggio, non avrebbero mai proceduto ad un suo errato montaggio, in quanto sarebbero stati ben consapevoli del rischio che ciò avrebbe comportato, e di conseguenza non si sarebbero verificate quelle condizioni meccaniche indispensabili affinché l'evento si producesse”.
Rimane, quindi, confermato da questa sentenza della Suprema Corte di Cassazione che l'obbligo di fornire adeguata formazione ai lavoratori è uno dei principali a carico del datore di lavoro. Occorre che nell’ambito della propria organizzazione aziendale, il “datore di lavoro” (vds. art.2, c.1, lett. b) D.Lgs. n. 81/2008 e smi), qualificato come destinatario degli obblighi in materia prevenzionistica anche in modo formale (“delegato”, vds. artt.16 e 17 D.Lgs.n. 81/2008 e smi) o sostanziale (“di fatto”, vds. art.299 D.Lgs.n.81/2008 e smi), faccia attenzione – dicono i giudici – alla formazione dei lavoratori, per non incorrere in condanne penali imputabili alle violazioni di tali obblighi.
Quanto detto è meglio specificato in un’altra importante sentenza di Cassazione n. 3898 del 27 gennaio 2017 , che ha rivisto un orientamento giurisprudenziale precedente (sentenza Sez. III n.54519 del 22/12/2016) sulla sanzionabilità dell’obbligo da parte del datore di lavoro di informare e formare i dipendenti, e come l’inosservanza di tale obbligo assuma un’incontestabile rilevanza penale.
Dopo un’altalena giurisprudenziale susseguitasi negli anni, in questa sentenza vengono forniti degli interessanti orientamenti in materia di formazione, anche per quanto riguarda il regime sanzionatorio. Secondo i giudici, infatti, l’art. 37, c.1 del D.Lgs. n. 81/2008 e smi , obbliga il datore di lavoro ad assicurare ai lavoratori una formazione “adeguata e sufficiente” in materia di salute e sicurezza sul lavoro; la violazione di tale obbligo dà origine ad un illecito penale di natura contravvenzionale previsto dall’art. 55, c.5, lett. c) del decreto, successivamente graduato dal D.Lgs. n. 151/2015 in sanzioni legate al numero di lavoratori non formati.
Per assolvere correttamente a tale obbligo, il datore di lavoro è chiamato dal legislatore, attraverso il c.2 del citato art. 37, a seguire quanto descritto e regolamentato nell’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 (modificato ed integrato dall’Accordo 25 luglio 2012) che ha il valore di linee guida da seguire in quanto a durata, contenuti minimi e modalità della formazione, la cui esatta osservanza, sulla base di una presunzione iuris tantum, rende conforme a diritto l’offerta e l’obbligo formativo a carico del datore di lavoro.
Il fatto in esame evidenzia come, in seguito al sopralluogo effettuato presso i locali della ditta, il datore di lavoro esibiva all’organo di vigilanza la documentazione richiesta attestante l’avvenuta formazione dei lavoratori, consistente in un dossier incompleto con palesi carenze, e ciò portava alla contravvenzione elevata nei confronti dello stesso soggetto. Nello specifico, al personale ispettivo erano stati consegnati unicamente i test di ingresso e, in un secondo tempo, un fascicolo non corrispondente alle prescrizioni di cui all'art. 37 D.Lgs. n. 81/2008, in quanto specificatamente la durata dei corsi di formazione era decisamente inferiore a quella richiesta dalla normativa vigente in materia. Il datore di lavoro arriva a ricorrere in Cassazione impugnando la sentenza con la quale era stato condannato alla pena dell’ammenda per il reato previsto dall’art. 37, c.1 in relazione all’art.55, c.5, lett. c) del D.Lgs. n.81/2008 per non aver provveduto ad assicurare che ciascun lavoratore ricevesse una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, con particolare riferimento ai rischi relativi alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda.
La Corte rigetta il ricorso basato sulla pregressa formazione antecedente l’entrata in vigore dell’Accordo Stato-Regioni e sul fatto che era vigente solo il precetto normativo generale dell’art.37, c.1 e che il c.2 dello stesso articolo rimandava all’Accordo per i contenuti specifici, caratterizzandosi così come norma penale “in bianco”. I giudici, nelle motivazioni, affermano invece che gli illeciti in materia di inosservanza degli obblighi informativi e formativi dei lavoratori non possono rientrare nella categoria della norme penali “in bianco” in quanto l’Accordo, richiamato dall’articolo 37, comma 2, del D.Lgs. n.81/2008, non costituisce un atto normativo extrapenale integrativo del precetto.
È questo il punto chiave che individua il rapporto sanzionatorio e gerarchico tra testo di legge e Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011, che dettaglia in modo preciso i contenuti formativi per i lavoratori, oltre che per altri operatori della sicurezza. In questo modo i giudici rigettano quanto proposto dal ricorrente, secondo cui la norma penale "in bianco" costituita dal contenuto dell'articolo 37, comma 1, è la fonte primaria che stabilisce la sanzione e definisce il precetto in termini generali, ma riserva alla fonte secondaria tutti gli aspetti di carattere tecnico e specifico necessari ad integrare con sicurezza il precetto.
Il datore di lavoro, richiamando la formazione pregressa antecedente l’entrata in vigore dell’Accordo Stato-Regioni avrebbe dovuto dimostrare – secondo i giudici – di avere operato in conformità alle disposizioni previgenti, dotandosi di un documento che con riferimento alla formazione del lavoratore, riportasse i riferimenti anagrafici del soggetto, le ore di formazione dedicate ai rischi, la data in cui la formazione era stata erogata.
L’Accordo istituzionale assume, quindi, valenza processuale proprio perché consente di parametrare con indici precisi e dettagliatamente descritti l’adeguatezza e/o la sufficienza dell’azione formativa, in modo che la legge penale possa essere applicata distinguendo chiaramente la sfera del lecito da quella dell’illecito.
Per la Corte non ha influenza l’entrata in vigore tardiva dell’Accordo, motivata dal ricorrente, in quanto risulta ampiamente acquisito e vincolante il fatto che l’azione informativa e formativa non rappresenta un evento episodico “una tantum”, ma opera come un processo dinamico, corrispondente all'evoluzione dei rischi connessi all'attività esercitata e da rimodulare in occasione di ogni modifica intervenuta nelle operazioni di lavoro (ad esempio un cambio di mansioni).
Il tribunale, con logica e adeguata motivazione fondata su “prova testimoniale”, ha escluso che gli obblighi formativi fossero stati assolti nel corso della vigenza dell’Accordo, rendendo irrilevante l’affermazione della parte ricorrente che i documenti prodotti non fossero stati valutati in modo corretto. Risulta, così, sancita la prevalenza del dato reale accertato su un atto cartaceo di dubbia valenza e scarso significato.
Per capire che tipo di informazioni, conoscenze e procedure deve essere trasmessa ai lavoratori per poter permettere loro di svolgere in sicurezza i rispettivi compiti aziendali, è utile richiamare le definizioni di informazione, formazione e addestramento fornite dal legislatore nel Testo Unico in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, il D.Lgs. n. 81/2008 e smi (vds. art. 2, c.1 lett. aa) – bb) – cc).
Nello specifico la formazione prevede il trasferimento di conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento dei compiti in sicurezza e all’identificazione, riduzione e gestione dei rischi. Secondo lo stesso precetto normativo si intende poi per informazione: il complesso di attività volte a fornire conoscenze utili ad identificare, ridurre e gestire i rischi nell’ambiente di lavoro. Ultimo nelle definizioni, ma non per connotazioni di minore importanza e necessità, l’addestramento, che si caratterizza per le attività pratiche dirette a far apprendere l’uso corretto di attrezzature, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale, e le procedure di lavoro.
Il destinatario di tutto ciò è: il “lavoratore” – persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari – per come ampiamente definito, nello stesso Decreto legislativo, all’art. 2 comma 1 lett. a), che prevede anche l’equiparazione a “lavoratore” di diversi soggetti operanti in vari settori (soci lavoratori, associati in partecipazione, tirocinanti, studenti che utilizzano laboratori, i volontari dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile, i lavoratori socialmente utili, …).
La figura responsabile che deve adempiere all’obbligo di informare, formare e addestrare i lavoratori è il soggetto definito sempre dall’art.2, c.1 ma alla lett. b), il “datore di lavoro”, per come scritto nell’art.18, c.1, lett. l) del D.Lgs.81/2008 e smi. Tale disposizione non è sanzionabile in caso di violazione, ma il legislatore nello stesso punto rimanda agli artt. 36 e 37 , la cui violazione è punita per il datore di lavoro e il dirigente con le sanzioni penali previste dall’art.55, c.5, lett. c) – il datore di lavoro è punito con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.474,21 a 6.388,23 euro per la violazione dell’articolo 36, commi 1 e 2, e dell’articolo 37, commi 1, 7, 9 e 10. Sanzioni penali graduate successivamente, in relazione al numero di dipendenti, con l’intervento del D.Lgs.n.151/2015, art. 20, c.1 che inserisce nell’art. 55 un ulteriore comma, il 6-bis. Con tale comma per le violazioni suddette gli importi si raddoppiano o triplicano se, rispettivamente, la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori o a più di dieci lavoratori.
In merito alla sanzionabilità della violazione dell’obbligo di formazione, dettato dall’art. 18 comma 1 lettera l), ricordiamo una discutibile pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza Sez.III n. 54519 del 22/12/2016) che ha annullato la sentenza di condanna di un datore di lavoro per non avere informato e formato in materia di sicurezza sul lavoro i propri dipendenti. La violazione dell’art.18 comma 1 lettera l) contestata – ha osservato la Corte – non è reato in quanto l’articolo normativo contestato non rientra fra le disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione penale ai sensi dell’art. 55, c.5, lett.c) del D.Lgs. n. 81/2008 e smi. Conclusioni queste della Corte, ovviamente non condivisibili, per il rimando dello stesso art.18 comma 1 lettera l) agli artt. 36 e 37, la cui violazione è invece sanzionata penalmente dall’art.55. Nella pronuncia definitiva della suprema Corte di annullamento della sentenza di condanna del datore, non si ritrova, però, alcun riferimento a tale rimando. Ma quali sono gli obblighi formativi dettati dal legislatore a cui non può sottrarsi il datore di lavoro?
L’art. 37 del D.Lgs. n.81/2008 e smi dettaglia così al comma 1.
Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione “sufficiente ed adeguata” in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento a:
Nel comma 2 il legislatore rinvia all’Accordo Stato-Regioni, specificando che:
La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui al comma 1 sono definiti mediante Accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo.
Il comma 3 dello stesso art.37 del D.Lgs. n. 81/2008 definisce anche la formazione sui rischi specifici:
Il datore di lavoro assicura, altresì, che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in merito ai rischi specifici di cui ai titoli del presente decreto successivi al I. Ferme restando le disposizioni già in vigore in materia, la formazione di cui al periodo che precede è definita mediante l’accordo di cui al comma 2.
Ma in quale occasione deve essere “formato” il lavoratore? Lo definisce il comma 4:
La formazione e, ove previsto, l’addestramento specifico devono avvenire in occasione:
Per l’addestramento è inoltre necessario che debba essere effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro (comma 5).
Così come il contenuto della formazione debba essere facilmente comprensibile per i lavoratori e consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo (comma 13).
Le previsioni dettate, invece, dal comma 12 - in cui si precisa che la formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l’attività del datore di lavoro, durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori. La violazione di tale comma non è sanzionabile, e da autorevoli orientamenti che si sono susseguiti nel tempo, l’obbligo di collaborazione si può ritenere assolto portando gli organismi paritetici (definiti dall’art.2, c.1, lett. ee)) a conoscenza del percorso formativo che si vuole avviare per i lavoratori, fornendo le indicazioni necessarie allo svolgimento dello stesso (durata, contenuti, docenti, modalità, …).
Inoltre, in riferimento al comma 6, i lavoratori devono ricevere una formazione periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi. Formazione, quindi, “dinamica” legata al dinamismo della valutazione dei rischi, obbligo non delegabile del datore (art.17, c.1, lett. a) fondamentale a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
Ai componenti dell’impresa familiare e ai lavoratori autonomi, il legislatore dà la possibilità di seguire gli stessi percorsi formativi appositamente definiti tramite l’Accordo Stato-Regioni (comma 8). In sintesi questi soggetti hanno facoltà con oneri a proprio carico, in base all'articolo 21, c.2, lett.b) del D.Lgs. n. 81/2008 e smi, di partecipare ai corsi di formazione specifici in materia di sicurezza, relativamente ai rischi propri delle attività svolte.
L’obiettivo formativo rimane, quindi, al centro della strategia prevenzionistica, che il datore di lavoro, insieme agli altri “attori” della sicurezza, deve attuare nella propria azienda. Analogamente, per questi altri soggetti (dirigenti e preposti, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, addetti alla prevenzione incendi ed alle emergenze) il legislatore detta, nei successivi commi dell’art.37, quelli che sono i percorsi formativi da mettere in atto.
La formazione dei lavoratori è disciplinata, come visto, dal D.Lgs. n. 81/2008 e smi che all’art. 37 comma 1 sancisce l’obbligo per il datore di lavoro di formare in modo sufficiente ed adeguato i propri lavoratori, ma è l’Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011
– ancor meglio definito a livello applicativo dal successivo Accordo interpretativo del 25 luglio 2012 – a dettare i criteri fondamentali che permettono di stabilire, anche in sede giudiziaria, se la formazione impartita ai dipendenti è, coerentemente con quanto prevede la norma, “sufficiente ed adeguata”.
L’Accordo definisce, infatti, in modo inderogabile la durata, i contenuti minimi e le modalità di formazione, nonché dell’aggiornamento dei lavoratori, dei preposti, dei dirigenti e la formazione facoltativa prevista all’art. 21, c.2, lett.b) del D.Lgs. n. 81/2008 specifica delle imprese familiari e dei lavoratori autonomi. Vediamo cosa è stato previsto nell’Accordo, relativamente a questa formazione obbligatoria, riferita all’effettiva mansione svolta dal lavoratore, considerata in sede di valutazione dei rischi. La formazione, come esplicitato nelle premesse dell’Accordo, da erogare al lavoratore, costituisce perciò un percorso minimo da organizzare ed integrare sulla base della valutazione dei rischi.
Questa formazione dei lavoratori deve articolarsi in due moduli distinti:
Il percorso formativo quindi deve avere una durata pari almeno a 8, 12 o 16 ore a seconda del livello di rischio dell’attività. Il corso di formazione adeguato per il proprio lavoratore fa riferimento al livello di rischio valutato (art. 28 del D.Lgs. n. 81/2008) in cui rientra la propria azienda, con l’individuazione delle macrocategorie di rischio e del codice Ateco (v.ds. All.2 dell’Accordo). I contenuti e la durata del corso sono subordinati alla valutazione dei rischi effettuata dal datore di lavoro, e vanno intesi come minimi, pertanto possono essere ampliati con un numero di ore di formazione maggiore, in base all’entità dei rischi effettivamente presenti in azienda:
La quota di Formazione Generale propone contenuti che riguardano argomenti generali in tema di prevenzione e sicurezza sul lavoro:
La quota di Formazione Specifica deve essere impartita ai lavoratori nelle occasioni di cui alla lettore a), b) e c) del comma 4 dell’articolo 37, in funzione dei rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione del settore di appartenenza dell'azienda. Tali aspetti e i rischi specifici di cui ai Titoli del D.Lgs. n. 81/2008 successivi al I costituiscono oggetto della formazione, soggetta però alle ripetizioni periodiche previste al comma 6 dell'articolo 37 dello stesso decreto, con riferimento ai rischi individuati ai sensi dell'articolo 28. La formazione prevista dai titoli successivi al I del D.Lgs. n.81/2008 o da altre norme, relative a mansioni o ad attrezzature particolari è distinta da quella dell’Accordo (art. 37, c.4, lett. c) del D.Lgs. n.81/2008), nel senso che, qualora il lavoratore svolga operazioni e utilizzi attrezzature per cui il D.Lgs. n. 81/2008 preveda percorsi formativi ulteriori, specifici e mirati, questi andranno ad integrare la formazione oggetto dell’Accordo, così come l'addestramento di cui al comma 5 dell'articolo 37 del D.Lgs. n. 81/2008.
La Formazione Generale per lavoratori costituisce credito formativo permanente, può essere svolta anche in modalità e-learning (vds. All.1 dell’Accordo) e richiede una verifica finale in presenza prima di accedere alla Formazione Specifica, che costituisce credito formativo permanente solo se derivante dalla frequenza di corsi presso strutture o enti di formazione professionale accreditati dalle Regioni e Province autonome con durata e contenuti conformi all’Accordo, e solo se permane, nel caso di un nuovo rapporto di lavoro o inizio nuova utilizzazione in caso di somministrazione, lo svolgimento di mansioni riconducibili allo stesso settore di appartenenza, altrimenti va ripetuta.
Allo stesso modo, anche in caso di trasferimento o cambio di mansioni, introduzione di nuove attrezzature, nuove tecnologie e sostanze pericolose, la formazione specifica deve essere ripetuta limitatamente alle modifiche e ai nuovi contenuti. In caso di somministrazione di lavoro (art. 20 e seg. del D.Lgs. n.276/2003 e smi) la formazione dei lavoratori, può essere effettuata nel rispetto delle disposizioni, ove esistenti, del contratto collettivo o secondo le modalità concordate tra il somministratore e l'utilizzatore; in particolare, essi possono concordare che la formazione generale sia a carico del somministratore e quella specifica di settore a carico dell'utilizzatore. In difetto di accordi, la formazione dei lavoratori va effettuata dal somministratore unicamente con riferimento alle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell'attività lavorativa per la quale i lavoratori vengono assunti, sempre che – ai sensi dell'articolo 23, c.5 del D.Lgs. n. 276/2003 – il contratto di somministrazione non ponga tale obbligo a carico dell'utilizzatore. Ogni altro obbligo formativo è a carico dell'utilizzatore.
Per i neo-assunti, invece, la formazione è regolamentata dal punto 10 dell’Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011: “il personale di nuova assunzione deve essere avviato ai rispettivi corsi di formazione anteriormente o, se ciò non risulta possibile, contestualmente all’assunzione. In tale ultima ipotesi, ove non risulti possibile completare il corso di formazione prima della adibizione del dirigente, del preposto o del lavoratore alle proprie attività, il relativo percorso formativo deve essere completato entro e non oltre 60 giorni dalla assunzione”. La normativa specifica, quindi, che i percorsi formativi debbano essere avviati prima dell’effettivo inserimento del nuovo dipendente, e solo nel caso in cui questo sia impossibile deroga l’obbligo successivamente all’assunzione. I 60 giorni indicati nell’Accordo non si intendono come il periodo entro cui il datore di lavoro debba avviare il percorso formativo, ma si intendono come il tempo massimo entro il quale il lavoratore lo deve concludere, e comunque solo nel caso non abbia potuto partecipare ai corsi precedentemente all’avvio delle proprie mansioni.
L’Accordo tra Stato e Regioni del 21/12/2011 disciplina anche le modalità di aggiornamento dei lavoratori, che sono tenuti ad un aggiornamento periodico di 6 ore ogni 5 anni. Il contenuto dei corsi di aggiornamento deve riguardare argomenti diversi rispetto a quelli del corso base quali:
La formazione specifica in ambito sicurezza, infatti, non si esaurisce al momento dell’ingresso in azienda di un nuovo dipendente, ma necessita di un aggiornamento continuo. Nell'aggiornamento non è compresa la formazione relativa al trasferimento o cambiamento di mansioni e all'introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi (art.37, c. 4 del D.Lgs. n.81/2008). Non è ricompresa, inoltre, la formazione in relazione all'evoluzione dei rischi o all'insorgenza di nuovi rischi (art.37, c.6 del D.Lgs. n. 81/2008). Il corso, tenuto da docenti qualificati (vds. D.I. del 6 marzo 2013), con un certo bagaglio di esperienza, conoscenze e capacità didattiche, sia all’interno che all’esterno dell’azienda, si conclude con la prova di verifica ed il rilascio dell’attestato, in base alla percentuale del 90% di frequenza delle ore di formazione.
La formazione assume, per l’attività prevenzionistica messa in campo dal datore di lavoro all’interno dell’azienda, un significato “cruciale”. Una formazione effettiva, che supera gli adempimenti meramente formali, è necessaria per la tutela della salute e sicurezza del lavoratore nell’ambito dell’organizzazione aziendale. La necessità deriva ovviamente dalla presenza dei rischi, generici e specifici, legati allo svolgimento della propria mansione, e valutati dal datore di lavoro per adottare misure preventive e protettive mirate ad eliminarli o ridurli.
È sulla scorta della valutazione dei rischi presenti in azienda che il datore di lavoro, coerentemente con i risultati ottenuti, decide quale percorso di formazione attuare per i propri dipendenti. Tale formazione sarà, quindi, adeguata e sufficiente, per come prevede la norma antinfortunistica, solo se porta il lavoratore all’acquisizione di conoscenze, competenze e procedure corrette che gli permettano di svolgere l’attività in sicurezza.
Sono tanti, però, gli infortuni che ancora oggi accadono per la mancata formazione (carenza di contenuti, durata inferiore a quella minima prevista, assenza dell’addestramento necessario, …). In molte pronunce della Cassazione, precedentemente citate, si è visto come si sia quasi sempre dimostrato il nesso di causalità tra violazione agli obblighi formativi ed evento infortunistico, con la condanna, il più delle volte, del soggetto responsabile di tali obblighi: il datore di lavoro.
Se da un lato incombe sul datore di lavoro l'obbligo di erogare un'adeguata formazione ai lavoratori, incombe però su questi ultimi l'obbligo di parteciparvi. Lo stesso lavoratore è chiamato ad adempiere ad un obbligo importante: partecipare ai programmi di formazione e addestramento organizzati dal datore di lavoro (art. 20, c. 2, lett. h del D.lgs. n. 81/2008). Il lavoratore, infatti, è sempre tenuto a prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, secondo la formazione che ha ricevuto, le istruzioni e i mezzi forniti dal datore di lavoro.
Parallelamente all’obbligo del datore, anche per quello del lavoratore è prevista la sanzione penale in caso di mancata partecipazione, quindi di violazione dell’obbligo normativo. Inoltre l'assenza ingiustificata ai corsi di formazione costituisce, come dimostrato in sede giudiziale (vds. Sentenza della Cassazione civile, sez. lavoro, n. 138 del 07/01/2019), grave inadempimento del contratto di lavoro e lesione del vincolo fiduciario tale da giustificare il licenziamento per giusta causa.
È evidente che il datore di lavoro per poter legittimamente esigere dal lavoratore l'adempimento dei propri obblighi, dovrà porsi nelle condizioni di poter dimostrare di aver effettivamente offerto strumenti formativi idonei ed accessibili. L’obbligo fondamentale di formazione rimane, comunque, in capo al datore di lavoro che dovrà rispondere, in caso, per la mancata formazione di un reato cosiddetto “permanente”.
Infatti è una recentissima sentenza della Corte di Cassazione Penale (n. 26271 del 14/06/2019) che pone l’attenzione su quello che è il “reato di durata”. La Corte precisa che “gli obblighi inerenti l’informazione e la formazione del lavoratore sono da ritenersi di durata poiché il pericolo per l’incolumità del lavoratore permane nel tempo”. L’obbligo di formazione in capo al datore di lavoro, infatti, non è limitato al solo momento dell’assunzione, ma permane e si protrae per tutto il tempo in cui perdura il mancato adempimento. La permanenza del reato, che parte da quando inizia l’obbligo, cessa solo alla concreta formazione o all’interruzione del rapporto di lavoro. Il reato di durata, per un obbligo che persiste nel tempo e non cessa solo per il fatto che viene trascurato o ignorato in virtù di un’inerzia o di altre considerazioni, avrà pertanto effetti giuridici importanti in termini di responsabilità penale e civile. Investire sulla formazione è, quindi, importante e il datore di lavoro deve affidarsi a veri professionisti che offrano ai dipendenti: docenti preparati e competenti e un programma dettagliato per fare acquisire conoscenze e competenze che consentiranno loro di svolgere in sicurezza le proprie mansioni. Una formazione reale e concreta, mirata alla prevenzione infortuni, con riscontri positivi sui lavoratori formati e che non sia solo un adempimento di atti formali.
Sono tanti, ad oggi, i casi di esibizione all’organo di vigilanza di documenti falsi attestanti quindi la mancanza di una effettiva formazione per il lavoratore. Citiamo solo una interessante e recente sentenza (Cassazione Penale, Sez. VII, 17 aprile 2019 n. 16715) che ha gettato una luce sul problema della non veridicità della documentazione di salute e sicurezza e, in particolare, sulla questione relativa ai falsi attestati di formazione.
In questa pronuncia la Suprema Corte, oltre a dare conto delle modalità concrete con cui è stata accertata la falsità di tali attestazioni, sottolinea anche le conseguenze giuridiche che tali false attestazioni determinano. La sentenza precisa che “la falsità di tale attestato, in particolare, veniva desunta dal giudice non solo perché la data della supposta formazione era antecedente all’assunzione, ma soprattutto dal fatto che il progressivo dell’attestato corrispondeva ad un codice fiscale diverso rispetto a quello del lavoratore ...”.
È stata, poi, decisiva la verifica della documentazione in possesso della società erogatrice della formazione e la conseguente verifica in sede giudiziaria dei corsi realmente erogati dalla stessa e dei relativi destinatari. Per questo aspetto, la Cassazione sottolinea che “gli accertamenti eseguiti presso la società che effettuava i corsi di formazione avevano dato infatti esito positivo, risultando invero che il progressivo indicato nell’attestato riguardava in effetti un altro lavoratore ed un altro corso”.
In particolare, il responsabile dell’erogazione dei corsi, veniva ritenuto responsabile dei reati di falso per soppressione e falso in atto pubblico, e altri soggetti responsabili in concorso, del reato di falso in certificato”. Al datore di lavoro era stato contestato l’inadempimento dell’art. 73, commi 4 e 5 del D.Lgs. n. 81/2008 – informazione, formazione e addestramento in materia di attrezzature di lavoro, non avendo garantito al lavoratore “una formazione, informazione ed addestramento adeguati e specifici, tali da consentire l’utilizzo delle attrezzature in modo idoneo e sicuro anche in relazione ai rischi che potevano esser causati ad altre persone”.
Oggi più che mai è necessario agire nel rispetto della normativa garantendo un’adeguata formazione ai propri lavoratori. Tanto più, affinché un investimento nella formazione abbia dei riscontri positivi concreti, è necessario affidarsi a veri professionisti che offrano ai dipendenti: docenti-formatori preparati e competenti.
Per quanto detto, la formazione dei lavoratori rappresenta una delle principali misure di prevenzione e protezione volta sia a far acquisire loro la consapevolezza dei rischi lavorativi cui sono esposti quotidianamente nello svolgere la propria attività, sia a sensibilizzarli circa le problematiche in materia di sicurezza sul lavoro.
Negli anni il lavoratore ha assunto un ruolo di “parte attiva” all’interno dell’organizzazione aziendale e dunque è fondamentale che lui come il datore di lavoro, insieme agli altri soggetti responsabili della sicurezza nell’ambito dell’organizzazione, si impegnino costantemente per la corretta applicazione di tutte le procedure aziendali volte ad una riduzione dei rischi e, conseguentemente, degli infortuni sul lavoro, di cui molti mortali.
Nel nostro Paese permane, come confermano drammaticamente i dati statici, una incidenza dell’accadimento mortale ancora troppo alta. Incidenza che potrà col tempo diminuire solo tramite la diffusione di una “cultura” della sicurezza nei luoghi di lavoro, fondata su principi cardine, quali la valutazione dei rischi e la necessaria formazione dei lavoratori. Solo così si potrà arrivare ad un positivo sviluppo della società e ad una reale tutela del diritto al lavoro, sicuro, a cui tutti noi da sempre auspichiamo.
Memento pratico Francis Lefebvre – Salute e sicurezza sul lavoro;
Tutto81 – Il testo unico di salute e sicurezza sul lavoro;
Accordo del 21/12/2011 tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano per la formazione dei lavoratori, ai sensi dell’articolo 37, comma 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;
Decreto interministeriale 6 marzo 2013 - Criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro;
Decreto interministeriale 27 marzo 2013 - Semplificazione in materia di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali del settore agricolo;
Accordo del 07.07.2016 finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni;
Circolare N. 20 del 2011 del 29/07/2011 - Oggetto: attività di formazione in materia di salute e sicurezza svolta da enti bilaterali e organismi paritetici o realizzata in collaborazione con essi;
Circolare n. 13/2012 del 05/06/2012 Oggetto: Nozione organismi paritetici nel settore edile - soggetti legittimati all’attività formativa;
Nota del 27/11/2013 prot. 37/0020791/MA008.A001 - Oggetto: Nozione di “trasferimento” ex art. 37, comma 4, lett. b), D.Lgs. 81/2008 e ss.mm.ii.;
INTERPELLO N. 10/2013 del 24/10/2013 - Formazione addetti emergenze;
INTERPELLO N. 11/2013 del 24/10/2013 - Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011;
INTERPELLO N. 13/2013 del 24/10/2013 - Lavoro a domicilio;
INTERPELLO N. 18/2013 del 20/12/2013 – Obbligo di formazione, ai sensi dell’art. 37, dei lavoratori che svolgono funzioni di RSPP;
INTERPELLO N. 12/2014 del 11/07/2014 – Formazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, verifica finale dei corsi erogati in modalità e-learning;
INTERPELLO N. 4/2015 del 24/06/2015 - Formazione e valutazione dei rischi per singole mansioni ricomprese tra le attività di una medesima figura professionale;
INTERPELLO N. 13/2015 del 29/12/2015 - Esonero del Medico competente dalla partecipazione ai corsi di formazione per i lavoratori;
INTERPELLO N. 4/2016 del 21/03/2016 - Formazione specifica dei lavoratori;
INTERPELLO N. 19/2016 del 25/10/2016 - Obbligo di designazione e relativa informazione e formazione degli addetti al primo soccorso;
INTERPELLO N. 7/2018 del 21/09/2018 - Soggetti formatori per corsi per lavoratori in modalità e-learning.
[*] L’Ing. Manuela PRINCIPE, Ispettore tecnico, è di pendente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro in servizio presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Cosenza. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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