Con la fine del lockdown stiamo riassaporando il piacere di uscire dai nostri gusci, di incontrare nuovamente le persone anche a debita distanza e con tutte le cautele che la circostanza richiede. Il nemico, questo terribile ed invisibile nemico, non è affatto sparito tanto che in alcune aree dell’Italia e del mondo continua a mietere vittime. Il trend è cambiato come si evince dai report statistici pubblicati in Italia che mostrano un abbassamento dei contagi e dei decessi da coronavirus soprattutto in alcuni aree territoriali. Il virus sembra essersi rintanato probabilmente anche a causa dell'arrivo delle temperature primaverili. Barlumi di ripresa sono all’orizzonte e la vita ricomincia a scorrere come una volta e forse anche di più. ma come in tutte le battaglie gli effetti devastanti non sono mancati. Si pensi alle vite umane che sono venute a mancare e al dolore e al vuoto che queste perdite hanno portato nelle vite dei loro cari.
Gli effetti negativi, ma in parte recuperabili, si sono fatti sentire nel tessuto economico e sociale del Paese. È vero che alcune attività economiche non sono mai state sospese; ma molte altre hanno subito una forzata sospensione o un rallentamento ragguardevole; alcune fabbriche hanno resistito cambiando l'oggetto delle produzione. Altre ancora hanno subito perdite non facilmente e tempestivamente recuperabili come avvenuto in larga parte nel settore turistico e dei servizi come bar e ristoranti, palestre e non solo. Non sono mancati gli aiuti dello Stato a sostegno delle imprese e dei lavoratori ed anche in favore dei ceto meno abbienti (reddito di cittadinanza e reddito di emergenza) ma, per quanto cospicui a livello macro, questi aiuti sono stati insufficienti e in molti ne hanno lamentato la tardività come nel caso dei pagamenti della cassa Integrazione.
Ma cosa è avvenuto nei settori del pubblico impiego che, stando ad alcuni articoli recentemente pubblicati, non hanno subito danni? E quali sono state le ripercussioni sulle lavoratrici e sui lavoratori del pubblico impiego? Ebbene, a seconda delle amministrazioni di riferimento, le attività sono state sospese oppure rallentate; sono state privilegiate, laddove possibile, le modalità telematiche di comunicazione e di erogazione dei servizi all'utenza. Ovviamente vanno esclusi settori come quello sanitario la cui attività si è intensificata proprio per fronteggiare l'emergenza epidemiologica (ma con la sospensione di quasi tutte le prestazioni definite non urgenti ivi comprese quelle finalizzate alla prevenzione delle patologie oncologiche e cardiovascolari). Nel pubblico impiego, a seguito del cd Decreto salva Italia (art. 87 d.l. 18/20202) e in ottemperanza della Circolare n. 2/2020 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ministero della Funzione Pubblica – il lavoro agile (o smart working) "costituisce la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni" considerato che l'obiettivo principale è quello di ridurre la presenza in ufficio dei lavoratori pubblici e il loro spostamento. Pertanto, a prescindere dalla loro volontarietà ma anche in relazione a specifiche esigenze personali ed organizzative, i dipendenti pubblici lavorano a distanza fintanto che perdura l'emergenza sanitaria da COVID-19, fatto salve alcune eccezioni. Le Pubbliche Amministrazioni dovranno comunque garantire l'erogazione dei servizi anche a distanza e dovranno individuare le attività indifferibili, cioè quelle prestazioni lavorative che devono necessariamente essere erogate eventualmente anche in presenza sulla base della mission e della tipologia delle prestazioni erogate. Dovranno anche garantire la piena sicurezza della salute dei lavoratori che prestano servizio in sede anche sottoscrivendo protocolli di intesa con le rappresentanze sindacali ed in particolare con il rappresentante dei lavoratori della sicurezza (RLS) e con il pieno contributo delle figure professionali previste dal D.Lgs 81/2008 quali il medico competente e il Responsabile dell Prevenzione e Sicurezza (RSPP). Anche con le recenti disposizioni normative quali il D.L. 34/2020 (decreto Rilancio) che hanno consentito l'apertura di quasi tutti gli esercizi e il riattivarsi delle attività pubbliche sospese o limitate, il lavoro agile è confermato quale forma ordinaria di modalità prestazionale del dipendente pubblico e viene ribadita la necessità di rispettare le norme anti-COVID sui posti di lavoro e di adottare tutte le misure di sicurezza per i lavoratori e per gli utenti al fine di prevenire, contrastare e limitare l'eventuale propagarsi del virus sempre informando e coinvolgendo le rappresentanze dei lavoratori.
Il lavoro agile, al pari di altre modalità di lavoro a distanza, era un istituto già noto nelle amministrazioni pubbliche prima che venissero introdotte per legge misure di sicurezza anti-COVID, introdotto in Italia nel 2017 con la Legge n. 81. In molte amministrazioni si è provveduto, anche se solo recentemente, a recepire e regolamentare questa tipologia contrattuale previo accordo con le rappresentanze sindacali come stabilito per norma. A seguito dell'emanazione delle disposizioni volte a prevenire e a contrastare la diffusione del virus alcuni requisiti richiesti per l'attivazione del lavoro agile sono saltate ed alcuni elementi tipici del lavoro agile sono stati stravolti. Non più su base volontaria e su richiesta del singolo. Non più basata su un progetto di lavoro con la precisazione di limiti e confini, di diritti e di doveri sia per il dipendente che per l'amministrazione. Non più ad appannaggio di una limitata percentuale del personale di cui alla dotazione organica. Ma di vasta portata, cioè ad appannaggio della quasi totalità dei lavoratori ed indipendentemente dalla volontà dei soggetti. E non poteva essere altrimenti perché lo smart working è uno dei pochi strumenti utilizzabili a garanzia della salute dei lavoratori ed è lo strumento che ha permesso al dipendente pubblico di non restare a casa, magari in cassa integrazione, come avvenuto per molti lavoratori di aziende private. Si potrebbe sostenere che le disposizioni impartite per fronteggiare l'emergenza epidemiologica abbiano svolto la funzione di catalizzatore di un nuovo modo di vivere e concepire il lavoro con tutti i pro e i contro sia per le amministrazioni che per i lavoratori. L'emergenza sanitaria ha permesso di far conoscere il lavoro agile ed è stata l'occasione per le amministrazioni di migliorare il proprio apparato tecnologico.
Per le amministrazioni il principale vantaggio è rappresentato dal contenimento dei costi diretti ed indiretti per la gestione dei luoghi di lavoro. Ma alle lavoratrici ed ai lavoratori quale vantaggio apporta la modalità di lavoro agile o comunque a distanza? Ed è proprio vero come titola una nota testata giornalistica che i dipendenti pubblici hanno piacere a stare a casa? Tra i vantaggi dello smart working va annoverato il risparmio economico per le spese di viaggio e l'aumento del proprio tempo libero soprattutto se le distanze ed i tempi di percorrenza sono ampi. Ciò si traduce nella possibilità di avere più tempo e più energia da dedicare a se stessi e alla propria famiglia. Ma è anche un modo per evitare stress ed aver, quindi, più possibilità di aver cura della propria salute non solo in relazione al COVID e migliorare il proprio benessere. Ma come per tutte le medaglie che si rispettino c'è sempre un rovescio. innanzitutto, se non fornite dal datore di lavoro, le dotazioni informatiche, i servizi di connessione e le licenze d'uso dei pacchetti informatici costituiscono un costo a volte anche alto. In secondo luogo non sempre lavorare a casa (o in altro luogo) piuttosto che in ufficio riduce lo stress. Dipende da fattori soggettivi ed anche oggettivi. Ad esempio tra gli effetti che il lavoro agile imposto vi sono i disagi avvertiti dai genitori che dovevano e devono destreggiarsi nello stesso momento tra il lavoro e le esigenze familiari. Si pensi ad esempio ad un genitore che segue una videoconferenza o risponde a una telefonata di lavoro mentre i bambini richiedono le dovute attenzioni. Questo sul lungo periodo può essere fonte di stress. Inoltre il lavoro a distanza, se imposto, può anche essere percepito come lesivo della propria professionalità con ripercussioni anche sull'autostima. La sfida che si ha di fronte è quella di superare gli ostacoli al cambiamento, cioè essere in grado di padroneggiare strumenti nuovi e poco conosciuti e sforzarsi per avere una comunicazione efficace e diretta con i colleghi ed i referenti e, talora, con le utenze. Il lavoro svolto al PC o al telefono senza il contatto diretto il lavoratore e i suoi interlocutori rischia di far scomparire l'identità personale e professionale del soggetto. A distanza siamo tutti o quasi tutti interscambiabili. C'è un maggior rischio di "isolamento" e di "promiscuità" tra spazio/tempo lavoro e spazio/tempo vita privata e familiare (il cd Time Parasity). Un altro rischio paventato è la lesione del diritto alla riservatezza e alla privacy soprattutto con l'utilizzo dei dispositivi informatici di proprietà del lavoratore. Anche per l’organizzazione vi è il rischio di fughe di notizie. Lavorare sul posto favorisce ed accresce il senso di appartenenza all'amministrazione.
Ma oltre al dritto e al rovescio le medaglie presentano anche un bordo, più o meno sottile, spesso rigato e quasi sempre impercettibile. Ed è qui che si potrebbero celare alcuni pericoli sui quali è opportuno focalizzare l'attenzione soprattutto da parte di chi rappresenta i lavoratori del pubblico impiego. A mio avviso il pericolo principale è quello che, sul lungo periodo, l'attività del dipendente pubblico possa essere percepita dall'opinione pubblica come inutile e persino dannosa restituendo una immagine non corrispondente al vero: oltre a fannullone e furbetto, anche inutile e parassita. A ciò si aggiunga che alcune attività proprio per le loro peculiarità come nel caso della vigilanza, delle vertenze di lavoro, delle conciliazioni e dei processi telematici mal si conciliano con modalità a distanza o a remoto perché richiedono la messa in campo delle capacità relazionali del funzionario o del professionista.
Terminata la fase emergenziale, quindi, è auspicabile che venga ripristinato quanto previsto dalle norme e dai protocolli d’intesa sottoscritti. Il lavoro agile deve essere svolto su base volontaria e con la piena garanzia delle tutele previste come la possibilità, ad esempio, per il lavoratore di "disconnettersi".
Ma l'auspicio principale è quello di uscire quanto prima e definitivamente dall'emergenza epidemiologica in atto, ritornare a lavorare e soprattutto al periodo in cui il mondo non conosceva neanche solo nominalmente la pandemia chiamata COVID-19.
[*] Presidente della Fondazione Prof. Massimo D’Antona (Onlus)
Seguiteci su Facebook
>