Ho visto in televisione l’apertura e la chiusura del Campionato del mondo di calcio a Doha e sono rimasto stupefatto per la fantasmagoria dello spettacolo. Scenografie da Mille e una notte che fanno il paio con la bellezza degli impianti. Una bellezza offuscata, purtroppo, dal bagno di sangue di oltre seimila vittime.
Le autorità sedute nella tribuna d’onore poggiavano le loro terga su tale enorme cumulo di esseri umani, morti per infortuni nel corso dei decennali lavori per costruire le strutture necessarie allo svolgimento dei giochi. Apparivano affascinati come noi dallo spettacolo e i volti esprimevano soddisfazione per il buon esito dell’evento senza alcun pensiero o rimorso per l’insopportabile costo umano pagato per simile risultato. L’importante era raggiungere l’obiettivo senza perdere tempo in misure di sicurezza.
Il loro valore più alto sembra essere il denaro, mentre, al contrario hanno manifestato la più assoluta, cinica indifferenza per valori umani, sfruttando e facendo sfruttare l’estrema indigenza di migranti del terzo e quarto mondo. Questo duplice sentimento ha determinato nei responsabili della FIFA la scelta come sede per una manifestazione di grande rilevanza mondiale, di un paese che per i diritti civili è fermo al Medio Evo. Per le tutele del lavoro, poi, alla notte dei tempi. Così la costruzione di queste piramidi dei tempi moderni innalzate come quelle dell’antico Egitto, per soddisfare l’orgoglio e la presunzione dei vecchi e nuovi faraoni ha determinato un inaccettabile, mostruoso numero di vittime. La prevenzione è stata considerata solo un intralcio al tempo disponibile.
Anche da noi, purtroppo, esiste un problema di sicurezza del lavoro anche se, fortunatamente non nei termini del Qatar. I lavoratori continuano a morire come nei decenni passati e siamo come prima il fanalino di coda delle nazioni d’Europa più avanzate. La situazione, infatti, non è migliorata in modo tangibile nel corso dei decenni nonostante l’impegno a parole della nostra classe dirigente. E ciò perché non si è investito e non s’investe abbastanza nelle misure di sicurezza aziendale e per la condizioni disastrose in cui versano le strutture pubbliche addette alla prevenzione. Siamo in una situazione imbarazzante perché l’attenzione su tale tragica situazione è aumentata attraverso gli strumenti di comunicazione di massa, i convegni, le conferenze. Un fiume di scritti e parole cui puntualmente non seguono i fatti. Quello, poi, che non torna è che sono in prima fila nel denunciare tale situazione proprio coloro che avrebbero dovuto trovare gli opportuni rimedi per contrastare tale fenomeno.
Il nuovo ministro del Lavoro in uno dei suoi primi interventi ha riaffermato la necessità della lotta contro gli infortuni, così come avevano fatto tutti i suoi predecessori, senza, purtroppo, risultati sostanziali. Non mettiamo in dubbio la sua buona fede ma ci auguriamo che qualcuno dei vertici burocratici del ministero le illustri la situazione difficile in cui versa l’apparato pubblico addetto a tale compito in cui le contraddizioni e le complicazioni esistenti non sono state create dal fato ma dalla politica. Alle tradizionali carenze, infatti, ultimamente si è aggiunta la duplicazione dei soggetti per le stesse funzioni. La prevenzione, un tempo di competenza dell’Ispettorato del lavoro e trasferita nel 1978 alle regioni è tornata nuovamente nella casa naturale, lasciata, tuttavia, anche alle Asl.
A parere di chi scrive, tutto ciò sarà un elemento di confusione che farà aumentare l’inefficienza com’è già avvenuto e sta avvenendo per la vigilanza ordinaria. La moltiplicazione dei soggetti incaricati della stessa funzione, non produce affatto un’azione più efficace perché l’esperienza insegna che nel pubblico il coordinamento non funziona ma si formano compartimenti che non sanno o non vogliono comunicare tra loro.
L’unico risultato è la dispersione di uomini e mezzi. Come si vede non c’è alcuna bacchetta magica per migliorare realmente la situazione. Solo scelte radicali che richiedono un forte potere contrattuale potrebbero invertire la tendenza nel settore della prevenzione: un unico organismo responsabile, dotato delle risorse necessarie.
[*] Giornalista e scrittore. Consigliere della Fondazione Prof. Massimo D’Antona Onlus.
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