In questo articolo vengono illustrati i risultati principali emersi da uno studio realizzato da CGIL e ActionAID sul tema dei giovani[1], il cui obiettivo principale è stato approfondire il fenomeno dei NEET – giovani che non lavorano, né studiano e si formano in Italia, attraverso un’analisi mirata dei dati istituzionali disponibili[2]. Lo studio è corredato da alcune Raccomandazioni tese a influenzare le politiche nazionali e territoriali per i giovani, a partire anche dalle lezioni apprese dai principali programmi di intervento, tra cui Garanzia Giovani finanziata dai Fondi strutturali europei 2014-2020.
Si è scelto di analizzare il fenomeno NEET, di cui come noto l’Italia detiene il primato in negativo tra i Paesi europei, utilizzando come chiave di lettura il tema delle disuguaglianze. Disuguaglianze territoriali, di genere, di cittadinanza, di situazione socio economica disegnano ormai da decenni la geografia del nostro Paese, lungo l’asse nord-sud, ma non solo, anche nel rapporto tra aree interne e metropolitane e all’interno delle grandi città tra zone di periferia e quartieri centrali, differenziando condizioni di partenza, opportunità e stili di vita.
In che modo queste diseguaglianze strutturali incidono sul fenomeno dei giovani NEET?
I dati confermano innanzitutto una differenza tra Nord e Sud del Paese. Nel Mezzogiorno, c’è la più alta presenza di NEET: costituiscono il 45% rispetto al 17% del Centro Italia, al 23% del Nord-Ovest e al 15% del Nord-Est. Nel Sud, poi, più cresce l’età e più aumenta la quota dei NEET.
Le incidenze dei NEET rispetto alla popolazione giovanile complessiva sono in ogni caso molto alte per tutte le regioni italiane (figura 1): il minimo, infatti, è del 16%, un dato più alto della media europea che, nel 2020, si assesta intorno al 15%. Ai primi posti si confermano tutte le regioni del Sud, con quote molto alte per Sicilia (40,1%), Calabria (39,9%) e Campania (38,1%). Per il Centro Italia, il Lazio ha la più alta incidenza di questa zona geografica con circa il 25,1%. La prima regione del Nord è la Liguria (21,1%), a seguire il Piemonte (20,5%) e la Valle d’Aosta (19,6%).
Figura 1
Fonte: Elaborazioni su RCFL Istat
La distribuzione per provincia rispetto alla popolazione totale dei NEET italiani mostra una differenza significativa tra le province del Nord e quelle del Centro e Sud: mentre in queste ultime ritroviamo una concentrazione di NEET in specifiche province con grandi comuni al loro interno, nelle province del Nord la distribuzione dei NEET è maggiormente dispersa. Inoltre se i NEET con licenza media hanno percentuali più alte ma sono concentrati in poche province; al contrario i NEET laureati hanno percentuali più basse, al massimo raggiungono il 30%, ma sono distribuiti in più territori, soprattutto del Nord Italia.
L’inattività dei giovani NEET è trasversale a tutto il territorio. I disoccupati sono maggiormente residenti nelle province del Centro-Nord, mentre gli inattivi sono più distribuiti su tutto il territorio nazionale senza grandi distinzioni tra aree geografiche. La distanza dei Centri per l'’Impiego dai NEET è evidente: pochi si rivolgono a questi servizi pubblici per cercare lavoro o ne conoscono le opportunità. Quando ci sono precedenti esperienze di lavoro (per quasi 1 NEET su 2) , sono spesso legate a contratti a termine (figura 2), e quindi a un mercato del lavoro precario che non garantisce stabilità – soprattutto in alcuni settori come i servizi, in cui sono maggiormente coinvolti i giovani NEET.
Figura 2
Fonte: RCFL Istat
I dati mostrano poi che la disparità di genere è evidente anche se si analizza il fenomeno NEET.
I NEET dai 15 ai 34 anni sono per il 56% donne e per il 44% uomini. Dal 2007 al 2020 la quota di donne è rimasta sempre decisamente alta rispetto a quella degli uomini; inoltre nel tempo, il numero di NEET donne è variato molto di meno. Per una donna, quindi, è molto difficile uscire da questa condizione. Per le donne le percentuali di NEET residenti in ogni Regione partono da un minimo del 45% fino a un massimo del 71%, di molto superiori rispetto a quelle dei maschi, il cui minimo è pari al 29% e il massimo al 54%. Netto, quindi, appare lo svantaggio di genere anche nella dimensione territoriale. Inoltre ci sono più NEET laureati tra le donne (16%) che tra gli uomini (10%). Rispetto alla condizione professionale, le NEET sono principalmente inattive che non cercano lavoro e non sono disponibili (27% sul totale della popolazione NEET). Incrociando le informazioni sui ruoli in famiglia con la condizione professionale, il 20% delle NEET sul totale sono madri inattive, mentre soltanto il 3% sono madri disoccupate (figura 3).
Figura 3
Fonte: Istat
Un’ulteriore disuguaglianza attraversa il tema delle migrazioni. Gli stranieri sono in numero inferiore rispetto agli italiani (il 18% del totale), anche tra questi c’è una maggioranza di donne (57%). I NEET stranieri sono maggiormente residenti al Nord Italia, che presenta comunque la più alta concentrazione di stranieri del Paese. Interessante il dato sul titolo di studio: la maggioranza dei NEET con cittadinanza straniera (48,4%) ha la licenza media, mentre più della metà dei NEET italiani ha ottenuto un diploma (58,1%) e il 19,4% è laureato. In comparazione tra le e i NEET stranieri ci sono più inattivi (72,5%) che tra i NEET italiani (64,9%).
Infine, attraverso un approccio di analisi multi-variata, nello studio sono stati individuati quattro grandi cluster che sintetizzano la condizione di NEET nel 2020 (figura 4)[3] .
Il primo cluster raccoglie i Giovanissimi fuori dalla scuola: hanno dai 15 ai 19 anni, senza precedenti esperienze lavorative e inattivi. Non percepiscono un sussidio, hanno soltanto la licenza media e vivono in un nucleo familiare composto da coppia con figli. Si tratta di un gruppo abbastanza residuale, ma allo stesso tempo significativo rispetto alla popolazione. Questo cluster è piuttosto trasversale a tutta l’Italia.
Il secondo cluster racchiude i giovani dai 20 ai 24 anni, senza precedenti esperienze lavorative e Alla ricerca di una prima occupazione. Sono principalmente residenti nelle regioni del Mezzogiorno, hanno la cittadinanza italiana e il diploma di maturità. Incide in questo gruppo il nucleo familiare monogenitoriale, il genere maschile e la residenza in una città metropolitana o grande comune. Questo è il cluster più numeroso e mette ancora una volta in luce la fragilità del mercato del lavoro del Sud, dove nonostante le azioni di ricerca e l’immediata disponibilità al lavoro, i giovani hanno difficoltà a trovare una prima occupazione.
Il terzo gruppo descrive gli Ex occupati in cerca di un nuovo lavoro. Hanno tra i 25 e i 29 anni, hanno perso o abbandonato un lavoro e ora sono alla ricerca. Sono principalmente maschi, con un alto livello di istruzione, appartenenti ad un nucleo familiare single e percepiscono un sussidio di disoccupazione. Questo gruppo è maggiormente localizzato nell’area centrale del Paese.
Infine, ci sono gli Scoraggiati: giovani dai 30 ai 34 anni con precedenti esperienze lavorative e ora inattivi. Sono principalmente residenti nelle regioni del Nord Italia e in aree non metropolitane. Incidono in questo gruppo il genere femminile e il nucleo familiare composto da una coppia senza figli. Significativa inoltre è la presenza di bassi livelli di istruzione come nessun titolo, licenza elementare e diploma professionale. Incide molto anche la cittadinanza straniera.
Figura 4 - Piano fattoriale dell’ACM con CA di alcune variabili della RCFL dell’Istat 2020
Fonte: Elaborazioni su RCFL Istat
Come noto negli anni scorsi, attraverso Garanzia Giovani, si è investita una mole importante di risorse per contrastare il fenomeno dei NEET. In termini di lezioni apprese, lo studio ha messo in luce come la Garanzia Giovani negli anni della sua attuazione non sia riuscita a scalfire in modo significativo la quota dei NEET sulla popolazione giovanile italiana (in termini assoluti e di incidenza): negli ultimi 10 anni, al di là di non rilevanti oscillazioni annue, il numero dei NEET, pari a poco più di 3 milioni di giovani, è rimasto infatti inalterato. Inoltre, la scelta di privilegiare l’accesso al Programma attraverso una piattaforma di profilazione non sembra aver favorito i target più vulnerabili tra i NEET, in particolare le donne, i giovani con background migratorio e quelli con la sola licenza media. Non tutti i giovani registrati risultano poi presi in carico, così come non tutti i presi in carico risultano beneficiari di una misura di attivazione: ciò evidenzia un effetto dispersivo nel Programma per cui si tende a perdere quote potenziali di beneficiari. Un dato positivo, invece, è la capacità del programma di far completare le misure a chi ne usufruisce. Infine, la scarsa diversificazione nella somministrazione delle misure previste ha avuto tra gli effetti l’esclusione dei più vulnerabili.
È importante approfondire le cause alla base dello scarso impatto di Garanzia Giovani, soprattutto in questa fase storica che dovrà puntare a sfruttare appieno le risorse del PNRR, di cui le nuove generazioni sono un target trasversale, e del ciclo di programmazione 2021-2027, in cui l’investimento sulla disoccupazione giovanile dovrà rappresentare almeno il 12,5% del totale del FSE+ nel nostro Paese.
Quanto appreso fin qui evidenzia la necessità di andare verso una revisione dell’impianto di programmazione e attuazione di queste politiche pubbliche, puntando lungo due direttrici principali.
Fino a oggi le politiche giovanili, invece di essere considerate a «più dimensioni», sono state programmate e attuate tenendo conto di un mondo – «i giovani» – che viene considerato come una categoria omogenea, mentre è, al suo interno, articolato e composto da gruppi che differiscono tra loro, come si è visto anche dai principali risultati dello studio presentato. Occorre invece destrutturare la categoria, valorizzandone le specificità per finanziare tipologie di interventi che siano fondate su una presa in carico personalizzata e, quindi, differenziate in relazione alle diverse situazioni di partenza in cui si trovano: precarietà lavorativa e professionale, vulnerabilità sociale, condizioni di svantaggio legate a dispersione implicita e esplicita e a contesti di povertà, dimensione di genere e così via.
Proprio per la pluralità dei fabbisogni e dei target, occorre investire le risorse non in uno o due tipi di intervento, come si è fatto fino ad oggi con tirocini e incentivi. Gli stessi studi istituzionali hanno evidenziato, ad esempio, che il tirocinio non è strumento che funziona per tutti: non funziona per i giovani con bassi titoli di studio, maggiormente scoraggiati rispetto alla ricerca attiva di un lavoro e con minori strumenti per muoversi nel mercato del lavoro. Oppure che le agevolazioni sono inefficaci ai fini della stabilizzazione dei rapporti di lavoro, dal momento che soprattutto se riguardano i giovani che vivono in aree fragili tendono a concludersi con l’esaurirsi delle misure di decontribuzione, presentando un basso livello di resistenza sul mercato.
Occorre invece costruire percorsi integrati multi misura di media-lunga durata, che siano sostenibili nel tempo e strutturati, soprattutto se si vogliono avere effetti sulle popolazioni giovanili più fragili che ad oggi sono stati poco intercettati dagli interventi pubblici (figura 5). Percorsi che sappiano adeguatamente integrare misure di innalzamento delle competenze e eventualmente dei livelli di istruzione con interventi di accompagnamento e inserimento al lavoro, visti i livelli di dispersione implicita e esplicita presenti in Italia e tenendo conto dei pochissimi giovani che riusciamo a portare fino alla laurea.
Figura 5
In conclusione, è evidente che i temi relativi alle nuove generazioni non possono limitarsi solo a dati preoccupanti e di allarme sociale. Occorre modificare la narrativa sui giovani nel dibattito pubblico, per dar loro un’efficace centralità nelle politiche e negli interventi dei prossimi anni: non sono i giovani il problema del nostro Paese, quanto il fatto che le condizioni di contesto li releghino troppo spesso nella condizione di NEET e che le politiche pubbliche fino a oggi non siano riuscite a dare risposte adeguate per la prevenzione e il contrasto di questa condizione. In Italia, dove per effetto delle curve demografiche attuali e future i giovani sono e rimarranno pochi, serve utilizzare appieno le ingenti risorse che anche l’Europa sta mettendo a disposizione per sostenere le nuove generazioni nel loro ruolo di leva per la crescita sostenibile e inclusiva del Paese.
[1] Questo lavoro si inserisce nel quadro delle attività di partenariato stipulate tra CGIL e ActionAid per mettere in campo una serie di iniziative utili a promuovere politiche efficaci rivolte alle nuove generazioni. Tutti i dati sono disponibili nella seguente pubblicazione: ActionAid e CGIL (a cura di), 2022, NEET tra disuguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche per i giovanili, Futura Editrice, Roma.
[2] Sono state utilizzate come fonti principalmente i lavori dei centri di statistica ufficiali Istat e Eurostat, con particolare riguardo alla Rilevazione Continua delle Forze di Lavoro dell’Istat relativa all’anno 2020.
[3] La tecnica di analisi multivariata scelta è quella dell’Analisi delle Corrispondenze Multiple – ACM su cui è stata sovraimposta una Cluster Analysis – CA. I risultati vengono riprodotti graficamente su un piano fattoriale che sintetizza i dati in due dimensioni, rappresentate dai due assi che dividono il piano. Le due dimensioni emerse sono: sull’asse orizzontale, l’esperienza di lavoro delle e dei NEET che mostra un’opposizione tra chi ha avuto esperienze di lavoro e chi no; sull’asse verticale, la condizione professionale che va dalla disoccupazione all’inattività.
[*] Responsabile Politiche giovanili CGIL nazionale
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