L’esame dei dati sulle ispezioni fatte nell’ultimo quinquennio conferma il perdurare della crisi dell’organo di vigilanza, anzi il suo aggravarsi, nonostante le dichiarazioni dei politici di volerlo potenziare. Le cifre ufficiali rivelano che in cinque anni le aziende ispezionate sono diminuite di un terzo circa, passando da oltre 144.000 del 2018 a poco più di centomila dello scorso anno. Pur premettendo che il covid sicuramente ha rappresentato un freno e che non sempre la quantità coincide con la qualità, il trend negativo è evidente ed è stato costante anche nel periodo precedente la pandemia. Quello che ha dell’incredibile è che dati così preoccupanti sono passati sotto silenzio da parte di tutti; non solo dei responsabili del settore ma anche della stampa e, dispiace dirlo, del movimento sindacale. Meno ispezioni significano meno controlli e più spazio all’illegalità un elemento letale soprattutto per i fenomeni più pericolosi come il lavoro nero e gli infortuni.
Su tale quadro deficitario alcune riflessioni sono necessarie anche per cercare di individuare le cause che l'hanno determinato. La più evidente è rappresentata dall’assoluta carenza del personale. Circa due anni fa il governo Draghi, in linea con le richieste delle autorità europee, aveva ritenuto che tra le priorità del Paese ci dovesse essere il potenziamento dell’INL. Uno degli elementi era rappresentato dall’assunzione di personale ispettivo in modo da colmare le forti lacune da sempre esistenti nell’organico. A regime i posti vuoti sarebbero stati pari a zero. L’operazione doveva essere portata avanti con rapidità e in tal senso le procedure concorsuali erano state ridotte all’essenziale. Eppure a tutt’oggi, dopo quasi due anni, i presenti sono ancora circa la metà dell’organico; ancora più incredibile è che di 2.412 unità in forza, ben 916 (il 39%) sono state sottratte alla vigilanza per compiti amministrativi e di supporto interno.
Tra i motivi dei ritardi ci sono, come sempre, le pastoie burocratiche, ma la causa prima, questa volta, è stata la rinuncia in massa dei vincitori. Questo fenomeno nuovo e imprevisto, (le rinunce sono state pari al settantacinque per cento anche per sedi dislocate nel meridione e quindi vicino casa), ha destato, stranamente, poco interesse nei vertici politici e burocratici del Ministero del Lavoro e dell’INL. Sarebbero state necessarie indagini mirate per individuare le vere cause di tale rifiuto, anche per cercare di prevenire una simile situazione in futuro, ma nulla, per quel che so, è stato fatto. Intanto passa il tempo e ci si balocca con gli scorrimenti per trovare qualche giovane disponibile a prendere servizio.
Eppure anche nel caso in cui in un futuro dalla data incerta si dovesse colmare l’organico, le forze in campo risulterebbero sempre inadeguate perché l’attuale organico è fuori da ogni logica legata all’efficienza. Così l’Ispettorato sta diventando un organismo sempre più ininfluente in un settore, quello del lavoro, per il quale i politici si stracciano le vesti di fronte alle morti bianche o al fenomeno del lavoro nero, ma nulla fanno in concreto per contrastare queste tragedie.
Centomila aziende ispezionate, che rappresentano meno di un sedicesimo del totale esistente, non sono certo un risultato esaltante. Il primo a doversi preoccupare e a lanciare un grido di allarme dovrebbe essere il Direttore dell’agenzia e il primo a raccoglierlo il Ministro del lavoro per impegnare seriamente il governo su tale problema come avrebbe dovuto già fare invece di perdere tempo nel tentativo, fortunatamente fallito, di un assurdo ritorno al passato riportando le strutture ispettive all’interno del Ministero. Credo, tuttavia, che la mia sia una pia illusione perché in questo periodo da quelle parti c’è un diffuso, assordante silenzio. E a proposito di silenzio, ce n’è uno che grida vendetta ed è una chiara rappresentazione d'inefficienza. Mi riferisco al centralino della sede centrale dell’INL che è muto come un pesce alle chiamate in arrivo. Un brutto segnale che lascia interdetti utenti e dipendenti e va subito cancellato perché dà la sensazione di un ufficio dismesso. Altrimenti, come dice il motto popolare se tanto mi dà tanto, tutto si spiega, compresa la sua attuale inconsistenza.
[*] Giornalista e scrittore. Consigliere della Fondazione Prof. Massimo D’Antona E.T.S.
Seguiteci su Facebook
>