L’Italia, nonostante le difficoltà incontrate negli ultimi anni, causate da fattori interni, governi deboli o inadeguati, ed esterni, pandemia e guerra in Ucraina, resta sempre una grande potenza economica, tra le dieci economie più forti del pianeta per prodotto interno lordo. Una situazione ormai consolidatasi nell’ultimo quarantennio che ha determinato un livello medio di benessere, mai avuto in precedenza nella sua storia.
Oggi, per gran parte della popolazione, tranne frange marginali, da nord a sud o nelle isole il tenore di vita non può prescindere da alcuni beni di consumo come l’auto, il frigo, la lavatrice, gli strumenti mediatici, tv, computer e cellulare, tanto per fare alcuni esempi, per non parlare del cibo, il cui surplus spesso è buttato via tra i rifiuti. Inoltre, i depositi bancari dovuti ai risparmi sono tra i più consistenti del mondo, mentre i quattro quinti della popolazione sono proprietari di decorose abitazioni, magari dopo decenni di sacrifici; è il tasso più alto in Europa. Sembra il nostro, a leggere questi dati, il paese di Bengodi, ma, purtroppo, non è così.
E ciò perché la nostra società non è stata in grado di tenere il passo degli altri paesi europei nel settore del lavoro. Fino agli anni ottanta, grazie al potere contrattuale dei sindacati e a legislatori illuminati erano state create leggi di tutela per i lavoratori all’avanguardia nel nostro continente, anche se era già presente e diffuso il tarlo rappresentato dal lavoro nero.
Poi, nei decenni successivi il nostro mondo del lavoro è entrato in una crisi profonda soprattutto per due fattori. Una classe politica complessivamente inadeguata da cui sono usciti governi di basso profilo che utilizzavano un apparato burocratico inadeguato e autoreferente; la marginalizzazione del movimento sindacale, un fenomeno che, purtroppo, ha riguardato gran parte delle rappresentanze intermedie.
Così oggi abbiamo i salari più bassi d’Europa per i lavoratori contrattualizzati e retribuzioni da fame per quelli sotto occupati, fuori da ogni norma, o con contratti in cui i minimi tabellari previsti sono scandalosamente bassi e non fanno onore ai sindacati che li hanno sottoscritti. Il tasso di disoccupazione, poi, è difficile da quantificare a causa dell’estendersi del lavoro nero, diffuso soprattutto in centinaia di migliaia di micro aziende che spesso lavorano in subappalto. In queste condizioni domanda e offerta di lavoro sono sottratte a ogni controllo oppure il loro incontro è improbabile come quello di due rette parallele.
In tale situazione il Ministero del Lavoro, se fosse in grado di svolgere appieno il suo ruolo istituzionale com'è avvenuto qualche volta nel passato, avrebbe ampio e doveroso spazio d’intervento per creare le premesse di una migliore gestione del settore di sua competenza. Ma ha, purtroppo la pistola scarica perché gli strumenti a sua disposizione sono inefficienti e inefficaci. Eppure, per evitare che le metastasi già diffuse si estendano ancor più bisogna che il governo dia a tale struttura strumenti e risorse idonee per evitare il peggio e gettare le basi per una corretta regolamentazione del mercato del lavoro.
Abolendo tutto ciò che è inutile per quel che riguarda l’esistente, è necessario creare un efficiente osservatorio per monitorare l’andamento del settore e mettere i lavoratori disoccupati in grado di rispondere alle offerte di lavoro attraverso una vera e rapida formazione. Inoltre, andrebbe fatta una lotta senza quartiere, coinvolgendo e coordinando effettivamente tutte le forze disponibili per la vigilanza, contro il lavoro nero, mettendo a disposizione degli operatori quanto loro serve. Attraverso continue rilevazioni, il vertice politico dovrebbe essere in grado di vedere l’efficacia o meno di tale azione e apportare eventualmente gli opportuni correttivi. Uno strumento parallelo dovrebbe essere una costante informazione alla pubblica opinione sull’importanza del contrasto a queste patologie che minano la pace sociale e fanno aumentare la pericolosa indifferenza verso le istituzioni da parte di una notevole frangia di popolazione.
[*] Giornalista e scrittore. Consigliere della Fondazione Prof. Massimo D’Antona Onlus.
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