Partendo da alcune sollecitazioni, principi e insegnamenti, che vengono offerti dalla Chiesa Cattolica per mezzo della “Dottrina sociale della Chiesa”, ed in particolare dai seguenti incipit, è possibile osservare: il necessario predominio di elementi essenziali e basilari per la convivenza umana, come il primato della persona, il carattere di sacralità della vita, la subordinazione dell'azione politica ed economica alle esigenze della morale naturale dell’essere umano. Se vogliamo essere ancora più espliciti la rilevanza del “carattere umanistico” quale faro per le società cosiddette “occidentali” ad economia e quindi democrazia compiuta.
Si può conseguentemente prendere spunto per affermare quanto fondamentale risulta essere l’effettiva “centralità dell’uomo”, anche rispetto al valore della “democrazia sostanziale” nelle singole nazioni, lievito per un vero rinnovamento delle culture democratiche e del lavoro, poste a fondamento della salvaguardia e implementazione dei diritti insopprimibili di libertà della persona umana, così ben presidiati nella nostra Carta Costituzionale.
In questo gioca, altresì, un ruolo fondamentale la legislazione europea sulla responsabilità sociale dell'impresa, non completamente metabolizzata, però, nel nostro sistema economico. Quindi la basilare importanza del progetto europeo, che ha come priorità la lotta contro la povertà e la riduzione delle disuguaglianze, collocando al primo posto la dignità dell'uomo e la moralità delle scelte politiche, dialogando e convergendo attorno al bene primario della persona umana.
Ricerca di un’etica della persona, che vada oltre la semplice egoistica logica del profitto economico, perché nessuno resti indietro, evitando la “mercificazione del lavoro”. Consapevoli di uno scenario generale, prospettato, di deficit democratico, di insidia per la pace continentale (come gli ultimi conflitti bellici testimoniano), delle regole etiche necessarie al rispetto ambientale, all’attuale panorama tecnologico e non di meno dello sviluppo, consentibile, dell’intelligenza artificiale, quale intervenuto attore: etico, economico, sociale, lavoristico.
Molteplici aspetti, quindi, vanno applicati alla cosiddetta cultura del lavoro, affinché si possa riequilibrare il rapporto tra capitale-finanza e lavoro che ha implicato, evidentemente, la massimizzazione del profitto a discapito proprio della persona umana.
Bisogna credere e attuare politiche in grado di valorizzare il lavoro. Confidare e implementare “piani ambientali” che riescano a far convivere modernità, economia e natura. Evitare che le classi più povere paghino maggiormente le conseguenze dei cambiamenti climatici. Credere nel valore della solidarietà e nelle istituzioni come “volani di democrazia reale e solidale”.
Il concetto di nomade digitale viene introdotto nel 1997 dagli autori di un testo visionario realizzato, a quattro mani, da uno scienziato informatico Tsugio Makimoto e uno scrittore David Manners, dal titolo “Digital Nomad”. Si prospettava un futuro immaginario per il XXI secolo, quale epoca, dove la tecnologia e la comunicazione si fondevano in nuovi orizzonti economico, sociali, produttivi.
Per la nostra legislazione, in particolare la recente previsione normativa, riferibile all’ingresso di lavoratori stranieri nel nostro territorio, vale a dire la legge n. 25 del 28 marzo 2022, si definisce la figura di “nomade digitale” intercettando, appunto, quei lavoratori extra Ue autonomi o subordinati “altamente qualificati” ossia: “cittadini di un Paese terzo che svolgono attività lavorativa altamente qualificata attraverso l'utilizzo di strumenti tecnologici che consentono di lavorare da remoto, in via autonoma ovvero per un'impresa anche non residente nel territorio dello Stato italiano sfruttando la tecnologia”. Tali particolari lavoratori stranieri potranno avere accesso ad un permesso di soggiorno, rilasciato per un lasso di tempo della durata massima di un anno, con la condizione che il beneficiario sia in possesso di una assicurazione sanitaria e che rispetti le disposizioni fiscali e contributive dell’ordinamento nazionale.
Dopo questa doverosa introduzione concettual-terminologica, partiamo dal considerare e confrontarci sui cambiamenti che stanno avvenendo nel modo di vivere e di lavorare, delle persone, nell’era del digitale. Il punto di inizio potrebbe essere rappresentato da fattori oggettivi che uniscono sempre più il lavoro da remoto, il nomadismo digitale e la soddisfazione/gratificazione per quello che si è, e si fa, in un costante e necessario, giusto, equilibrio tra vita e lavoro.
La popolazione che compone le “coorti” dei cosiddetti “nomadi digitali” o anche “lavoratori da remoto”, quantificati oggi in oltre 35 milioni nel mondo, in questi ultimi tempi si sta particolarmente estendendo ed arricchendo di nuove componenti, e non mi riferisco soltanto ai cosiddetti millennial e generazione Z, che svolgono sempre più professioni/lavori in modalità “ibride”.
Mi riferisco a dipendenti di pubbliche amministrazioni, enti, aziende private, di ogni età, di qualsiasi livello: come dirigenti, funzionari, esecutivi, ma anche professionisti, imprenditori, creativi, freelancer che, grazie al lavoro da remoto e alla diffusione delle tecnologie digitali, sono riusciti a ritagliarsi ruoli e spazi per poter vivere e lavorare ovunque, ognuno seguendo e assecondando le proprie aspirazioni, come pure le esigenze personali di vita vissuta, oltre il lavoro.
Parliamo di un fenomeno in pieno sviluppo anche se, purtroppo, non sempre ben compreso ed anzi travisato. Non bisogna infatti confonderlo con stereotipi vagamente epicizzati o addirittura naif, che lo vedrebbero associato con la figura di giovani viaggiatori orientati all’avventura ovvero chi decide di mollare tutto pur dovendo sostenersi economicamente, magari usando le tecnologie e la rete, per poter viaggiare e vivere da cittadino del mondo.
Parliamo invece, principalmente, di “knowledge worker” ossia, di lavoratori della conoscenza.
Da qui si deve partire per offrire una visione più concreta e strutturata del nomadismo digitale. Necessita, quindi, dare una maggiore consapevolezza e tangibilità rispetto a questa rivoluzione, “remota”, che sta ridefinendo parametri e stili di vita, posizionati su sistemi e impieghi di lavoro aventi un nuovo impatto sociale.
Con una certa enfasi è semplice affermare che l’ambiente che ci circonda influisce e modifica il nostro modo di vivere, rapportandoci con gli altri e con la natura, ma anche vedendo le cose in maniera policroma, in un intreccio continuo, il tutto però mantenendo l’uomo sempre al centro; facendo sì che si attui, al contempo, una “decentralizzazione” del modo di lavorare e del modo di vivere.
D’altronde oggi il tema della “felicità” sta tornando prepotentemente alla ribalta, anche nello studio delle scienze dell’organizzazione. Laddove il lavoro occupa gran parte della nostra vita o almeno in una parte di essa. Non di meno l’uomo, per natura, è alla costante ricerca della felicità, serenità, appagamento, seguendo la nostra quotidianità, sia personale che professionale, e ciò risulta più che legittimo, oltre che necessario.
È indubbio che molte persone, che lavorano da remoto, hanno maturato la scelta di vivere e lavorare in luoghi che li rendono più felici, distanti dai centri urbani metropolitani, affollati e spersonalizzanti, dove è possibile riscoprire il fascino e la tranquillità dei Borghi Italiani, ma anche il valore del tempo vissuto più lentamente, respirando le bellezze naturali che li circondano, riscoprendo luoghi dove è incantevole vivere e lavorare, dove il naturale collante è certamente la ricchezza di cultura e tradizioni, in un rapporto più intimo con la natura che ci circonda.
Diverse ricerche accademiche, su stili di leadership e organizzazione, testimoniano come il miglioramento della serenità/felicità sul “posto” di lavoro garantisca incrementi di produttività e quindi di profitto, ma anche l’innovazione ne beneficia, oltre che garantire notevoli risparmi dei costi. Volendo semplificare, porre in giusto risalto un innovato “ecosistema organizzativo” adottando modelli organizzativi più aderenti ai bisogni e alle aspirazioni delle persone.
Essere appagati e felici ci rende più creativi, più empatici, più aperti alle innovazioni, lavoriamo meglio con gli altri e per gli altri, risolviamo più agevolmente i problemi, siamo anche più motivati e in salute, impariamo più velocemente.
Il nomade digitale, in questo contesto, diviene la nuova figura professionale che ottiene il massimo rendimento dalle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione, lavorando a distanza, avendo, al contempo, la possibilità di disporre del proprio tempo più liberamente.
Con l’adozione del “remote working”, quale possibile modalità maggioritaria per lo svolgimento del lavoro, aumenterà, nel pubblico come nel privato, l’attrattività verso le migliori figure professionali, indipendentemente dal luogo o dal Paese in cui essi si trovino.
Altro obiettivo sfidante, per la moderna economia, potrebbe essere quello di creare/modellare Amministrazioni e imprese sempre più “liquide”, più orizzontali e meno piramidali, fortemente strutturate e orientate sullo smart working e su valori condivisi. Questo diverso modello può diventare una soluzione per creare nuove opportunità in territori interni del nostro Paese che da sempre hanno visto una migrazione di massa, alla ricerca di migliori occasioni di lavoro verso le grandi aree industrializzate del nord, come anche verso l’estero. La desertificazione umana può, quindi, essere contrastata al pari della gravissima crisi demografica e di natalità che stiamo vivendo in questi ultimi decenni.
L’avvento massivo e multidisciplinare dello smart working non ha soltanto generato un diverso “archetipo”, ridisegnando nuovi equilibri tra: lavoro, vita, economia, e socialità, ma anche “disarticolato/destrutturato” la nostra cosiddetta quotidianità di vita vissuta. Questo, ha inevitabilmente inciso rispetto al ripensamento totale delle nostre vite, di tutti, ma principalmente da parte delle nuove generazioni, alla ricerca di una “smart living”.
Oggi assistiamo ad una sorta di “normalizzazione” dello smart working, dopo gli eventi tragici legati alla pandemia, successivamente al marzo 2020, e ad un uso “emergenziale” delle prestazioni lavorative di tipo agile.
Secondo studi recentemente svolti dall’Inapp - Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche, vi è stato un incremento di circa 10 milioni di lavoratori smart. Dagli studi dell’Inapp, appunto, emerge anche la disponibilità di circa 1/3 della popolazione italiana che vorrebbe o accetterebbe di spostarsi per vivere e lavorare in un piccolo Borgo, con una fetta non trascurabile, di questo terzo, disposta a stabilirsi in “luoghi isolati”. Con questa tendenza si potrebbe arginare, se non arrestare, comunque invertire, il fenomeno dello spopolamento dei piccoli borghi, soprattutto nelle aree interne e/o montane, comunque non facilmente raggiungibili.
Come è stato altresì rilevato vi è, al contempo, un incremento sostanziale di acquisti di seconde case, rilevamento proprio dalla Federazione Italiana Agenti Immobiliari Italiani, a fine 2021 risultano acquistate circa 180.000 unità abitative, con un incremento pari al 44% in più rispetto al 2020.
Al riguardo evidenziamo che risulta incardinato, presso la Commissione Permanente Affari Costituzionali, un disegno di legge per la promozione del lavoro agile nei piccoli borghi. Il ripopolamento dei nostri territori interni, non solo porterebbe benefici infrastrutturali con un aumento dei servizi per gli abitanti, ma seguendo un circolo virtuoso, verrebbero ad incrementarsi anche i posti di lavoro, con effetti positivi perfino per chi già vive nella variegata provincia minore italiana.
Queste iniziative legislative avrebbero la loro efficacia anche in ottica di valorizzazione e conservazione dell’immenso patrimonio materiale e immateriale dei nostri territori e di rigenerazione culturale ed economica delle aree a rischio abbandono, attivando conseguentemente, e accelerando, processi di cambiamento e innovazione sociale.
È un fatto innegabile che in Italia, oltre alle meravigliose città d’arte, siano presenti rilevanti fette di territorio suddivise in: borghi, piccoli comuni, villaggi, territori marginali e aree interne. In queste realtà minori, purtroppo, si concentrano i grandi disagi e le maggiori diseguaglianze, non soltanto sociali ed economiche.
Ecco, quindi, che diviene fondamentale un reale investimento, non solo destinato ai maggiori centri urbani, definibili poi “smart city”, ma rivolto anche ai piccoli borghi, per divenire, essi stessi, “smart village”, al fine, perlopiù, di migliorare lo “sviluppo rurale” del Paese, con luoghi di vita “intelligenti”, ovunque essi siano.
Questi luoghi immersi nella bellezza, rappresentano l’essenza delle nostre tradizioni, ma anche linfa vitale del nostro patrimonio culturale. Parliamo di territori ricchi di storia, cultura e tradizioni, dove esiste un rapporto più intimo con la natura, dove la qualità dell’aria è migliore, i costi di vita accettabili, con ritmi meno frenetici rispetto alle metropoli o ai maggiori centri urbani.
La redistribuzione di lavoratori e lavoratrici qualificati, in aree spopolate, che necessitano di strumenti tecnologici per svolgere i propri mestieri ed attività, aumenterebbe anche l’offerta di servizi infrastrutturali materiali e immateriali come, per esempio, connessioni internet più efficienti (es. il 5G), garantendo anche un maggiore e migliore accesso alla cultura e informazione, per tutti. Come pure risulta determinante il necessario “recupero” del notevole “patrimonio abitativo” esistente ma abbandonato, l’implementazione delle infrastrutture viarie e ferroviarie, l’intervento conservativo geologico, dei bacini d’acqua, dei corsi fluviali, dei boschi, delle montagne, ecc. garantire, al contempo, l’inestimabile patrimonio culturale locale, materiale e immateriale come gli usi, le tradizioni e la memoria, la valorizzazione del territorio con le sue attività locali minori, autoctone.
Non bisognerebbe poi dimenticare un crescente nostro desiderio di “ritorno alla natura” a sfondo di tutto, nel diverso modo di vivere. Ripartire da qui per ripensare una vita più sostenibile.
Menzioniamo ora il II° Rapporto sul Nomadismo Digitale realizzato nel 2022 dall’Associazione Italiana Nomadi Digitali, che si basa sui dati raccolti a livello internazionale, a cui hanno risposto oltre 2200 remote worker e nomadi digitali, sia italiani che stranieri.
L’obiettivo di questo studio era quello di indagare e comprendere quali siano le esigenze, le aspettative, le criticità, i servizi richiesti dai remote worker. Al contempo vengono approfonditi gli aspetti determinanti e strategici per fare dell’Italia una destinazione attraente per lavoratori da remoto e nomadi digitali.
Tra gli intervistati emerge che il 52% risulta essere dipendente ovvero collaboratore di società ed amministrazioni. Il 42% possiede un titolo di studio universitario e oltre il 30% anche un master o un dottorato. La maggior parte degli intervistati lavora in settori ad alto valore aggiunto, con competenze che spaziano dal mondo della comunicazione, all’insegnamento e all’information technology.
Oltre il 90% degli intervistati si dichiara disponibile a vivere l’esperienza di remote working soggiornando in piccoli comuni o borghi del nostro Paese ed in maggioranza collocati nel sud Italia ed Isole. Aspetti rilevanti evidenziati che influenzano tale scelta, sono: la qualità della infrastruttura di rete per connettersi a Internet, i costi di vita contenuti e sostenibili, le attrattività culturali, ambientali, architettoniche, e infine la possibilità di apprendere e vivere le tradizioni locali.
I lavoratori da remoto e nomadi digitali che vorrebbero sperimentare un’esperienza di vita e di lavoro, da remoto in Italia, non viaggerebbero da soli, ma al contrario, il 44% lo farebbe con il proprio partner, con la famiglia, con amici o colleghi.
Già nel 2000 il Prof. Zygmunt Bauman aveva introdotto il nomadismo digitale all’interno della sua primaria teorizzazione della cosiddetta “società liquida”, concetto cardine per molteplici suoi scritti, in cui gli individui sono costantemente "in movimento", e dove anche confini e riferimenti temporali e sociali si dissolvono.
Favorire l’aumento del lavoro da remoto, potrebbe essere lo scopo necessario, prossimo futuro, per gli studiosi di organizzazione e i responsabili delle HR.
Si dovrebbe partire dal “suddividere”, diligentemente, i cosiddetti nomadi digitali in sottogruppi, non più solamente rappresentati da figure eteree di viaggiatori impenitenti, connessi da remote isole tropicali, da Madeira, dalle Canarie, da Bali, dall’Australia, dal Madagascar, dalle Filippine, dalla Patagonia o dalla Thailandia, solo per fare degli esempi “romantici”, ma principalmente formati da gruppi di: professionisti, creativi, funzionari pubblici, “stanziali”, connessi magari da una baita di montagna, dal tinello di casa, dal proprio salotto, dal garage, dal portico o giardino, da una casa ubicata in Borghi montani remoti, o comunque piccole frazioni, della vasta provincia italica.
Digitali, comunque, nomadi a “diversa intensità”, ma tutti affrancati dal binomio casa-ufficio, così da equilibrare meglio lavoro, professione, famiglia e vita privata.
[*] Dirigente dell’INL, Direttore Ispettorato territoriale del lavoro di Prato e Pistoia. Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del Lavoro”. Il presente contributo è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegna l’Amministrazione di appartenenza.
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