È innegabile che i posti di lavoro li crea l’economia nella sua fase di sviluppo, ma una buona organizzazione pubblica per facilitare l’incontro tra le parti aiuta; anzi, come c’insegna l’esperienza, è indispensabile perché l’occupazione sia proporzionata all’espansione della produzione, rappresentando, inoltre, uno degli elementi di contrasto al lavoro nero. Per decenni, invece, le politiche attive del lavoro e il servizio pubblico per il collocamento della manodopera sono stati completamente inadeguati; tale sistema è addirittura peggiorato dopo il trasferimento alle autonomie locali.
La maggior parte delle assunzioni, infatti, si è svolta al di fuori degli uffici pubblici e la formazione per la qualificazione o riqualificazione della manodopera si è talmente degradata che mi pare di non esagerare nel dire che ha assolto principalmente il compito di far guadagnare qualche lira o euro a sindacalisti marginali e a pubblici dipendenti per arrotondare i loro magri stipendi. Tale gestione inefficiente ha raggiunto il massimo grado di stupidità con l’inutile assunzione di migliaia di giovani mandati allo sbaraglio senza alcuna idea effettiva su come impiegarli e tenuti a bagnomaria per lungo tempo. Mi riferisco ai cosiddetti navigator.
Il risultato di tali inefficienze è che oggi, per quello che ci dicono le parti sociali e gli istituti di ricerca, ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro disponibili ma non si trovano i lavoratori necessari, nonostante il notevole tasso di disoccupazione.
L’attuale governo e in particolare il Ministro del lavoro Calderone, nel tentativo di superare tale situazione, hanno messo in atto un progetto innovativo previsto dal decreto interministeriale dello scorso agosto. Si tratta del Sistema informatico per l’inclusione sociale e lavorativa, una piattaforma che ha il compito di individuare gli aventi diritto alle misure di sostegno e definire i percorsi di formazione necessari per l’avviamento al lavoro.
In questo sistema sono coinvolti diversi soggetti pubblici: il Ministero del lavoro, naturalmente, che coordina il tutto sotto l’aspetto politico, l’Inps con la sua banca dati sui percettori di indennità, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, l’Anpal, i centri per l’impiego, gli uffici di collocamento, il Ministero della pubblica istruzione e quello dell’università oltre a soggetti privati come le agenzie accreditate per il lavoro e la formazione. Il percorso che ha lo scopo di favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro si sviluppa in varie fasi: orientamento, valutazione dei requisiti lavorativi del soggetto, colloqui di base per definire la compatibilità tra la professione desiderata e le richieste del mercato, accompagnamento al lavoro, tirocinio, formazione per qualificazione e riqualificazione, sostegno alla mobilità territoriale, lavori socialmente utili e servizio civile universale. In sostanza chi è in cerca di lavoro deve iscriversi alla piattaforma, chiedere l’attivazione della formazione, compilare il curriculum, sottoscrivere il patto di attivazione digitale indicando tre agenzie private oltre il centro per l’impiego.
Con l’inizio del corso l’Inps farà partire il bonifico mensile di 350 euro al lavoratore per tutta la sua durata del percorso.
Tale complesso meccanismo è entrato in azione agli inizi di settembre e per l’anno corrente riguarda solo coloro cui è stato tolto il reddito di cittadinanza. In seguito, dal 2024, la platea sarà allargata a tutti i soggetti in cerca di lavoro. Al momento, dato il breve periodo di attività, non ci sono ancora dati rilevanti e credibili per una prima valutazione. Occorrerà del tempo, quando il sistema sarà andato a regime, per dare un giudizio di una certa attendibilità.
Sulla carta il progetto sembra credibile e dotato di una sua possibile efficacia. Questo in teoria perché la realtà può essere molto diversa. Di tali progetti ne ho visti diversi belli in teoria ma falliti nella pratica. Quello attuale potrebbe avere diverse criticità capaci di ostacolare un’attuazione efficiente. Intanto la pluralità di diversi soggetti che necessitano di un coordinamento e l’esperienza ci ha insegnato che non è facile realizzarlo nel pubblico impiego perché interessi veri o presunti dei vari soggetti possono ostacolare la sua realizzazione. Ne abbiamo avuto un esempio con l’Agenzia ispettiva dove il previsto raccordo operativo con gli istituti previdenziali è miseramente fallito. Un altro pericolo deriva dalla complessità del progetto ed è rappresentato dalla possibile, esorbitante burocrazia. L’eccesso di pratiche e modelli da riempire può ostacolare la rapidità necessaria per l’incontro tra azienda e lavoratore e farlo abortire. Infine, per la formazione il rischio che si torni al passato non è da escludere. Qualificazione e riqualificazione hanno bisogno di mezzi idonei ed efficienti e soggetti qualificati e responsabili. Se mai dovessi essere smentito, farò ammenda di buon grado per queste mie previsioni non ottimistiche.
[*] Giornalista e scrittore. Consigliere della Fondazione Prof. Massimo D’Antona ETS
Seguiteci su Facebook
>