Anno XI - n° 60

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Novembre/Dicembre 2023

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Anno XI - n° 60

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Un Paese più povero e il ruolo dello Stato


di Matteo Ariano [*]

Matteo Ariano 46

Un recente studio dell’INAPP, l’Istituto di analisi delle politiche del lavoro, ha evidenziato come gli stipendi dei lavoratori italiani siano fermi a trent’anni fa, a differenza di quanto accaduto negli altri Paesi dell’area Ocse, in cui l’aumento è stato di oltre il trentadue percento.

In sostanza, questo vuol dire che se in Italia l’aumento degli stipendi è stato dell’1%, nel resto dei Paesi europei l’aumento è stato del 32,5%. I numeri – si dice – sono obiettivi, parlano da soli e sono impietosi, in questo caso.

Ariano 60 1Accanto a questo dato, ve n’è un altro, anch’esso molto rilevante: secondo il CNEL, ben il 57% dei CCNL pubblici e privati è scaduto e in attesa di rinnovo. Certo, nel frattempo i lavoratori non sono privi di tutele in quanto – nelle more del rinnovo contrattuale – ricevono l’indennità di vacanza contrattuale, con l’eccezione dei dipendenti pubblici, per i quali il Governo ha unilateralmente deciso un anticipo degli aumenti senza alcun accordo con le organizzazioni sindacali del settore.

Ulteriore elemento da considerare – frutto avvelenato dell’invasione russa in Ucraina e della guerra scatenata – è l’aumento dell’inflazione e la conseguente riduzione del potere di acquisto delle famiglie italiane.

Dulcis in fundo – si fa per dire – il dato numerico dei contratti precari, ossia non stabili: resta sempre molto alto. Questo impedisce a molte persone di poter pianificare la propria vita, ad esempio ipotizzando l’acquisto di una casa o di “metter su famiglia”, facendo figli.

Negli anni passati si è molto discusso di impoverimento o proletarizzazione del ceto medio; sembra, ora, che questo tema sia passato in sordina, eppure i dati continuano a descrivere una realtà di quel tipo, senza che siano state intraprese politiche tese a invertire il trend.

Cosa potrebbe essere utile, oggi, per invertire il trend? Andare nella direzione opposta a quella sopra descritta. Occorrerebbe, quindi, rinnovare al più presto le decine di contratti collettivi scaduti, concordando su sostanziosi aumenti delle retribuzioni per far recuperare il potere di acquisto perduto. Sarebbe utile, in parallelo, l’inserimento di una legge che regolamenti la rappresentatività sindacale, così da dar peso alle organizzazioni sindacali realmente rappresentative degli interessi dei lavoratori.

In queste settimane, torna ad agitarsi lo spettro di una soluzione che parrebbe peggiore del male: la previsione di una retribuzione differenziata in base al costo della vita. Si tratta del sistema più comunemente conosciuto come “gabbie salariali”, fondato su una considerazione apparentemente di buon senso: laddove il costo della vita è più alto, anche la retribuzione dev’essere più alta, per consentire di poter vivere in maniera adeguata. La suddetta considerazione è solo in apparenza sensata, a parere di chi scrive, in quanto non considera il “perché” il costo della vita è più alto: perché c’è più ricchezza che circola e ci sono più servizi efficienti.

Pensiamo, ad esempio, a come funzioni il trasporto pubblico locale in una cittadina del Mezzogiorno e in una del Nord ovvero a come funzioni la sanità in una città del Sud Italia o in una del Nord. Al netto della crisi che colpisce indistintamente tutti i cittadini e tutti i servizi, da Nord a Sud, restano comunque differenze molto importanti. Cosa potrebbe comportare, quindi, un sistema di differenziazione dei salari in base al costo della vita? Un lavoratore del Sud oltre ad avere uno stipendio più basso di un omologo del Nord Italia, continuerebbe ad avere scarsi servizi, cui rimedierebbe di tasca propria: il trasporto pubblico locale non funziona? Uso la mia auto privata. Gli ospedali non garantiscono cure in tempi brevi? Vado altrove (è il cosiddetto turismo sanitario, il cui flusso è normalmente sempre dal Sud verso il Centro-Nord). E così via. Ulteriori effetti potrebbero essere una massiccia ripresa dell’emigrazione dalle zone più povere del Paese verso quelle più ricche e l’aumento di forme di illegalità del mercato del lavoro nelle zone più povere per ovviare al salario basso. Illuminante, a proposito di migrazioni, è l’articolo che potrete leggere in questo numero, relativo alle migrazioni di giovani non più da Nord a Sud ma dall’Italia verso l’estero.

Se uniamo questo meccanismo di differenziazione dei salari con la cosiddetta autonomia differenziata, sempre in agguato, il rischio di una secessione mascherata delle aree più ricche del Paese è molto alto, con una spaccatura in più parti. Tutto questo dovrebbe far riflettere chi al Governo ritiene di riportare in auge l’idea di “Patria” e di “Nazione”, per le evidenti contraddizioni.

Ciò che, invece, sarebbe utile fare dovrebbe essere riprendere il senso e il valore della comunità e dell’appartenenza a quella comunità, con meccanismi di solidarietà verso i più svantaggiati. In questo caso, la comunità che dovrebbe farsi carico di tutelare i più deboli dovrebbe essere quella statale, attraverso massicci investimenti nel pubblico, ad esempio riprendendo piani di edilizia residenziale pubblica, per calmierare l’impennata del costo degli affitti, in particolare nelle città più care; migliorando il trasporto pubblico locale, anche mediante fusione di piccole società pubbliche locali, spesso non in grado di sopportare da sole i costi; investendo nella sanità pubblica, così da migliorarne l’efficienza su tutto il territorio; garantendo servizi di assistenza alle famiglie, ad esempio con asili nido; ripensare forme di sostegno al reddito per situazioni che ne rimarrebbero, altrimenti, escluse; e molto altro.

Speriamo che il 2024, nonostante sia un anno bisesto, non sia anche un anno funesto, come recita il vecchio adagio.

Auguri di buone festività. Quadrato Rosso

Auguri Natale 2023

[*] Presidente della Fondazione Prof. Massimo D’Antona ETS

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