Iniziamo questo redazionale trattando del recente ennesimo processo di riorganizzazione voluto per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Concretamente vengono riportate le funzioni di progettazione e pianificazione delle politiche del lavoro, con la conseguente gestione dei pertinenti fondi comunitari, in passato assegnati ad ANPAL, (agenzia sorta insieme all’INL nel 2015 con la legge denominata jobs act) quindi riconfluiti al Dicastero, in un’ottica efficientista, nel contesto del mercato del lavoro italiano.
In tale quadro nasce dallo scorso 1° marzo 2024 Sviluppo Lavoro Italia SpA, nuovo “braccio operativo” del Ministero, avente come primaria missione lo sviluppo e l’attuazione delle politiche attive nazionali, ma anche, soprattutto, quelle regionali, stante il vigente contesto normativo.
Si tratta, concretamente, di una società in house operante sulle politiche attive del lavoro, subentrando ad ANPAL, che ha cessato la propria operatività in concomitanza, sempre dal 1° marzo; essa mira ad una “semplificazione delle procedure” e al rafforzamento della governance per rendere più efficace l’azione ministeriale nel mondo del lavoro.
Il fine della neo-società in house del Ministero è quello di essere, al contempo, facilitatore e acceleratore di processi, anche grazie alla capillare presenza di sedi operative sui territori regionali, come affermato dal vertice dell’Agenzia. Altresì sarebbe presente un efficace collegamento regionale quale vera novità del nuovo ente, che vedrà anche la cooptazione di un rappresentante delle regioni nel suo Consiglio di amministrazione, per promuovere e facilitare il costante confronto e l’azione condivisa.
Sviluppo Lavoro Italia si prefigge quindi di favorire ed incrementare, uniformemente, lo sviluppo delle politiche attive del lavoro sia a livello nazionale che territoriale attraverso azioni ben mirate. Queste includono:
Uno dei punti qualificanti dell’azione della società nonché obiettivo primario, sarà quello di ridurre il divario esistente tra le competenze richieste dalle imprese e quelle possedute dai lavoratori. Sviluppo Italia Lavoro dovrà essere tesa alla creazione di un “ecosistema” del lavoro sempre più efficiente e inclusivo. Ma ancora di più svolgere il delicato ruolo di cerniera tra Stato e Regioni in una materia così cruciale per lo sviluppo e la “tenuta sociale” del Paese.
Non dobbiamo quindi dimenticare il bisogno di valorizzare le competenze e la crescita del sistema produttivo attraverso proprio un “sistema” di servizi per il lavoro, come opportunamente la formazione degli operatori e l’implementazione di reti di collaborazione con l’universo scolastico e universitario. Ma in sostanza il tema della formazione permanente e il ruolo attivo delle imprese devono essere viste come elementi qualificanti per edificare un mercato del lavoro nettamente più inclusivo e competitivo.
La creazione di questa nuova società rappresenta, quindi, un importante viatico per le politiche del lavoro da riformare. Il successo dipenderà dalla capacità di “mettere a sistema” le varie competenze e risorse assegnate, ma anche dalla collaborazione tra istituzioni coinvolte, centrali e periferiche, pubbliche e private, nel costante e fondamentale dialogo tra mondo imprenditoriale e classi lavoratrici, superando il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, con una parola d’ordine: semplificazione della governance delle politiche attive.
Lo stesso Ministro del lavoro Calderone, legittimamente e proattivamente, punta al “rafforzamento qualitativo dei servizi pubblici e privati insieme allo sviluppo di reti partenariali con il sistema di istruzione e formazione oltre che con le imprese rappresentano gli snodi cardine per diminuire la distanza tra chi cerca e chi offre lavoro”.
È un fatto che assistiamo in questi anni ad una rapida evoluzione del mercato del lavoro. Questo richiede interventi coordinati per promuovere l’inclusione sociale e lavorativa, contrastare i divari e ridurre, come si dice, il mismatching, guidando l’incontro tra imprese e persone con il parallelo sviluppo di competenze adeguate alle variegate transizioni tecnologiche in corso. Tutto ciò attraverso la collaborazione tra istituzioni, operatori del mercato del lavoro, mondo universitario, della formazione e dell’impresa, enti e realtà del terzo settore e della cooperazione.
Parole d’ordine dovrebbero quindi essere: crescita di un’occupazione di qualità, sviluppo delle competenze, innovazione dei servizi per il lavoro, inclusione sociale e lavorativa delle persone vulnerabili, incontro tra fabbisogni delle imprese e aspirazioni professionali delle persone, collaborazione tra istituzioni, imprese, scuole e mondo della formazione professionale, sviluppo dell’apprendistato professionalizzante, migliorare i servizi pubblici e privati per il lavoro, dialogo costante tra enti/associazioni e altri attori, reingegnerizzazione della rete dei servizi per il lavoro, condivisione di conoscenze.
La nascita di Sviluppo lavoro Italia dovrebbe poter rappresentare il giusto viatico per l’introduzione di un sistema efficacemente “misto” pubblico-privato, costruendo le basi per una nuova stagione di solide e concrete politiche attive per il lavoro. fondamentali per accompagnare i cambiamenti nel mondo del lavoro parallelamente agli indispensabili aggiornamenti delle competenze possedute, sia per entrare nel mondo del lavoro, sia per rientrarvi a seguito magari della perdita di occupazione per non rischiare la permanente marginalizzazione. Il Ministero del lavoro tornerebbe quindi ad essere l’unico vero interlocutore e gestore delle risorse finanziarie, nazionali ed europee, per architettare le politiche del lavoro nazionali come pure regionali.
Comprendere il mercato del lavoro sia italiano che globale è fondamentale per affrontare, con successo, le sfide economiche e sociali future, per meglio comprendere i principali trend che caratterizzano lo scenario attuale e gli strumenti necessari per affrontare le sfide legate a offerta e domanda di lavoro. Assistiamo infatti ad una crescente complessità e competitività.
Fenomeni come la carenza di lavoratori e competenze qualificate, lo smart working, il quiet quitting e il sempre minor legame tra lavoratori e datore di lavoro rendono sempre più complesso trovare, assumere, e trattenere in azienda fidelizzando i migliori talenti. Come anche saper rispondere alle aspettative dei lavoratori, sempre più attenti a elementi come il benessere e l'equilibrio tra vita professionale e privata nel work life balance.
Inoltre, fondamentale risulterà colmare il gap di competenze qualificate che è da tempo una sfida per le organizzazioni governative a livello globale come altrettanto lo sono l'acquisizione e la riqualificazione delle competenze da parte della forza lavoro.
Il mercato del lavoro, è un fatto, risulta in costante evoluzione. Caratterizzato, come è, da nuove tendenze che portano i lavoratori ad una maggiore selettività e da dinamiche che stanno contribuendo a cambiare il rapporto che si instaura tra lavoratore e aziende.
Esistono nell’attuale mercato del lavoro nuovi paradigmi: dall’abbandono volontario di lavoratori con posto fisso, a quello del quiet quitting, ovvero la scelta di lavorare esclusivamente nei tempi e nei modi stabiliti dal contratto declinando gli straordinari o responsabilità supplementari.
Tra le tendenze contemporanee c’è anche quella dello skill mismatch, gap tra le competenze richieste dalle aziende e quelle effettivamente in possesso da parte dei lavoratori e/o dei candidati, cosa questa che rischia di compromettere la competitività delle aziende.
Cambiamenti senza precedenti sono causati dalla irreversibile rincorsa alla perdurante innovazione tecnologica. L’ascesa della “Intelligenza artificiale” e della digitalizzazione avrà un indubitabile impatto sui processi di lavoro, sulla nascita di nuove professioni e sull’affermarsi di nuove competenze, rendendo la capacità di rimanere costantemente aggiornati sulle skill digitali, una necessità che riguarderà tutti i lavoratori e le aziende.
Il canale dell’intermediazione lavorativa andrebbe letto come “meccanica della ricerca” (searching e matching) posto che in Italia il ruolo predominante lo svolge il canale informale (amicale e professionale) residuando, al margine, lo spazio dell’intermediazione formale.
Da un certo punto di vista il confine tra occupazione e disoccupazione risulta essere sottilissimo, tanto che molti occupati, ancorché precari, risultano economicamente fragili, (o meglio, si direbbe lavoratori poveri). Essi potrebbero quindi richiedere servizi non totalmente difformi da quelli di cui beneficiano i disoccupati. Ma, spesso nel mondo del lavoro, procedendo dal particolare al generale, si perde fatalisticamente la lettura d’insieme.
Tenere alta la propria occupabilità è un’esigenza costante nel tempo ma anche multidimensionale, perché oggi ci si può riscontrare vulnerabili per un aspetto (magari sul versante del livello stipendiale o anche rispetto la stessa formazione) e domani su un altro aspetto (il welfare, la pensione, l’accompagnamento alla vita non attiva).
Una vera riforma delle Politiche attive del lavoro, così come conseguenza del recente rientro dell’ANPAL sotto l’egida del Ministero del Lavoro e la contestuale nascita dell’Ente strumentale Sviluppo Lavoro Italia, deve comprendere, a parere di chi scrive, due diversi punti di osservazione, uno istituzionale e l’altro funzionale.
I Cpi, nuovamente coordinati, auspicabilmente, a livello centrale, nella sostanza, pur rimanendo uffici territoriali delle Regioni, assurgono ad uffici attraverso cui si erogano appunto i servizi per l’impiego, “comparabili territorialmente” stante però l’esistenza di una potestà legislativa concorrente, in materia, proprio delle Regioni.
Andando però a ritroso è anche un fatto che con l’ormai remota cd. Riforma Bassanini, il federalismo, a distanza di decenni da quell’intervento legislativo, si è totalmente appannato o, meglio, offuscato, si può osservare conseguentemente, che quel disegno organizzativo ha dato luogo ad una Rete di erogazione delle Politiche attive per il lavoro, a macchia di leopardo, quanto a livelli di efficienza.
Ciò non tanto perché si prevedeva un decentramento meramente gestionale, quanto poiché quella rete era oggettivamente acefala: la richiamata Riforma Bassanini aveva, in sostanza, tralasciato di chiarire nel dettaglio poteri e competenze del livello centrale. Quanto alla mission affidata al Ministero del lavoro, in particolare, osserviamo che il Legislatore nazionale si è troppo spesso disinteressato nel costruire strumenti di livello nazionale atti a monitorare e misurare, nel concreto, quali e quanti interventi di politica attiva fossero stati erogati dalla Rete regionale dei servizi pubblici per l’impiego e quindi svolgere gli opportuni approfondimenti sulle caratteristiche dell’utenza destinataria di quei servizi.
L’assenza di solide informazioni, di livello nazionale, sulle misure in concreto erogate dagli uffici territoriali ha giustificato, in parte, le principali innovazioni a suo tempo contenute ad esempio nel D.Lgs. n. 150/2015 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive)
La mancanza di una regia centrale continua ad essere il vero punto di caduta dell’intero sistema del lavoro presente nel nostro Paese.
Necessiteremmo, quindi, di un cogente “Piano annuale” per andare a fissare obiettivi, di medio-lungo periodo, relativi ad esempio alla “riduzione della durata media della disoccupazione, ai tempi standard di erogazione dei servizi per il lavoro, alla quota da realizzarsi di intermediazione assolta, tra domanda e offerta di lavoro”.
Si dovrebbe ridisegnare, con un nuovo assetto istituzionale composto da Ministero del Lavoro, neo-agenzia Sviluppo Lavoro Italia, conferenza delle Regioni e rete CpI collegata con un coordinamento delle Agenzie per il Lavoro, un «Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro», composto appunto da un nodo di coordinamento nazionale e da nodi regionali, nonché dal «portale unico per la registrazione alla Rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro»
In effetti, sempre i servizi per l’impiego sono stati al centro del programma europeo “Garanzia Giovani”, quale nuova politica attiva direttamente finanziata proprio tramite il Bilancio europeo, a favore degli under 25. La Commissione ha deciso di rafforzare la cooperazione tra i partner comunitari in materia, proponendo anche la costituzione di una “Rete europea di Servizi pubblici per l’impiego”.
Anche il dibattito sulla scelta di affidare, o meno, le politiche di contrasto alla disoccupazione, in particolare le politiche attive, ai Servizi pubblici per l’impiego, in via esclusiva o concorrente, costituisce una sorta di corso e ricorso storico nel dibattito scientifico e politico non solo Italiano ma anche europeo.
Tra coloro che sono alla ricerca di lavoro vi è un’ampia platea di potenziali beneficiari tout court, dei servizi offerti da uffici pubblici. In primo luogo, vi è una platea, pur minoritaria, di disoccupati formalmente registrati non in cerca fattuale di lavoro; secondariamente è presente una fetta più rilevante di coloro che cercano invece attivamente lavoro.
Tra questi ultimi vi sono i disoccupati che non beneficiano di prestazioni di disoccupazione, nonché chi rientra sul mercato del lavoro dopo un periodo di inattività, o chi sta beneficiando di altre misure di politica attiva (come, ad esempio, programmi formativi). Infine, in questo universo tra i potenziali utenti è opportuno anche considerare gli occupati in cerca di un nuovo lavoro, perché a rischio di entrare nel girone della disoccupazione.
Questa pur parziale ricostruzione, delle varie categorie di utenti “potenziali” aiuta a comprendere quanto l’utilizzo di indicatori di stock o di flusso, ma anche analisi empiriche, per la valutazione dei risultati del funzionamento dei Centri per l’impiego, non necessariamente rifletta la loro reale efficienza osservata.
La possibilità di accedere alle informazioni di natura “qualitativa” può essere utile anche ai fini di concedere indicazioni circa la tipologia contrattuale da offrire (temporanea o permanente, part time o full time), l’orario di lavoro o anche la categoria professionale (high skill o low skill con cui il datore di lavoro intende occupare proprio personale).
In conclusione, ragionare sulla capacità di matching dei servizi per l’impiego impone di osservare due aspetti congiuntamente: da una parte, si tratta di considerare in quanto tempo, come e quanto si riescano a collocare le persone in cerca di occupazione, ovvero rioccupazione, dall’altra, come detto, va anche osservata la capacità di copertura dei posti vacanti, presenti nel mercato.
Anche la stessa IA può essere positivamente al servizio della corretta ed efficace somministrazione di forza lavoro. Più precisamente si stanno scorgendo nuove frontiere dove l’ideazione di appositi “algoritmi” vengono sfruttati per rendere più agevole e tempestivo l'incontro tra domanda-offerta di lavoro.
Vediamo quindi operare le agenzie per il lavoro private usando nuovi strumenti digitali (es. la società multinazionale francese “Proman” specializzata nel mercato del lavoro e HR). In sintesi, tecnologie ed intelligenza artificiale stanno avendo un impatto decisivo sul comparto e gestione delle risorse umane.
Su tale solco si muove l’azienda, “Iziwork” fondata nel 2018, come agenzia per il lavoro digitale, che sta concretamente rivoluzionando il mercato del lavoro somministrato nonché il reclutamento, sfruttando il supporto della tecnologia. Tramite una piattaforma, completamente digitalizzata, offre ai lavoratori e alle aziende un accesso semplice e immediato, grazie proprio ad un’App, funzionante h24, per un bacino di migliaia di offerte di lavoro. Conseguentemente aziende e persone, in cerca di lavoro, hanno un alleato in più nel far incrociare rapidamente e funzionalmente domanda e offerta di lavoro; quindi, tempi rapidi e risposte il più possibile personalizzate grazie alle nuove tecnologie emergenti.
[*] Dirigente INL, Direzione Centrale Risorse - Uff. III° - Bilancio e Patrimonio. Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del Lavoro”. Il presente contributo è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegna l’Amministrazione di appartenenza.
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