Ricordo ancora perfettamente dove mi trovavo il 20 maggio 1999. Ero a Perugia, a Villa Umbra, impegnato in un corso di formazione sulla contrattazione collettiva. Proprio su quella contrattazione collettiva a cui il professor Massimo D’Antona aveva dedicato gran parte della sua vita professionale e numerosi scritti. Seppi del suo assassinio durante la pausa caffè: c’era un televisore acceso con una edizione straordinaria e il mio sguardo fu catturato dall’inquadratura della sua borsa per terra, in via Salaria. Quella borsa che conoscevo benissimo. Vista quasi quotidianamente per anni quando lui era il mio direttore al Dipartimento della Funzione Pubblica, nel ruolo di Direttore delle relazioni sindacali, un ruolo che ho ricoperto anch’io qualche anno dopo.
Massimo D’Antona è stato senza dubbio una delle persone che più hanno influenzato la mia formazione, lasciando un’impronta indelebile sulla mia vita professionale. Non mi riferisco solo alla sua competenza giuridica, al diritto del lavoro, di cui era un esperto indiscusso. Mi riferisco soprattutto alla sua straordinaria capacità di negoziare. Aveva una dote unica di ascolto con i sindacati e una capacità di mediazione straordinaria.
La fortuna di incontrare un maestro nella vita professionale è un valore inestimabile. Vivere il quotidiano lavorativo con una persona come lui ti permette di apprezzarne la qualità dell’uomo, lo spessore professionale e, nonostante l’autorevolezza, una simpatia difficile da definire. Entrai molto in sintonia con lui. Mi apprezzava molto per le mie conoscenze contabili che mi portavo dietro dalla Ragioneria Generale dello Stato: un economista in un mondo di giuristi mi diceva. Era anche un gran confusionario, quella confusione organizzativa tipica delle persone geniali.
D’Antona era un riformatore, nel vero senso della parola, e come riformatore, ha avuto un ruolo fondamentale nella trasformazione del settore del pubblico impiego. La sua opera di riforma, concretizzata nell’emanazione dei decreti attuativi della legge delega 59/1997 di Bassanini, tra cui i decreti legislativi 396/1997, 80/1998 e 387/1998, ha definito, in particolare, le procedure e i soggetti della contrattazione collettiva nel pubblico impiego ed ha completato la privatizzazione del pubblico impiego, iniziata nel 1993. Questo processo ha rivoluzionato il diritto del lavoro pubblico, ponendo i soggetti contraenti sullo stesso piano di diritto e garantendo la compatibilità dei costi con gli equilibri della finanza pubblica.
Il prof. D’Antona aveva una grande capacità di visione. Una visione rivolta al futuro, alla contrattazione e in particolare alla contrattazione integrativa. Forse una visione troppo avanzata per il suo tempo, poiché coloro che avrebbero dovuto interpretare quella riforma – datori di lavoro pubblici e sindacati – non sono riusciti a coglierne appieno il valore.
Di seguito voglio riportare con le sue parole il significato della contrattazione collettiva e la sua connessione con il potere organizzativo delle amministrazioni.
Scrive D’Antona:
“È agevole cogliere la strumentalità «virtuosa» che si può realizzare tra contrattazione collettiva e autonomia organizzativa delle pubbliche amministrazioni, una volta che la prima sia intesa correttamente come libertà negoziale e non come potere normativo. La si coglie chiaramente sotto due profili legati all’innovazione organizzativa: quello dell’adeguamento delle normative di lavoro e quello della composizione dei conflitti generati dall’innovazione.
Attraverso i contratti collettivi si possono introdurre nell’assetto normativo dei rapporti di lavoro quelle modificazioni, richieste dall’innovazione organizzativa, che non possono essere determinate senza il consenso dell’altra parte perché formano il contenuto obbligatorio dei contratti individuali (ad esempio, modificazioni della composizione della retribuzione o dell’inquadramento professionale). In questo primo senso, i contratti collettivi sono uno strumento insostituibile di adattamento dinamico delle normative”
Le parole di Massimo D’Antona risuonano ancora oggi con una forza straordinaria, ricordandoci l’importanza della contrattazione collettiva e dell’autonomia organizzativa. La sua visione rivoluzionaria e il suo impegno instancabile per migliorare il mondo del lavoro sono stati, e continueranno ad essere, una guida per tutti noi.
In quel tragico 20 maggio 1999, non abbiamo perso solo un grande giurista e riformatore, ma anche un uomo capace di ascoltare e mediare, di coniugare il rigore della legge con la comprensione umana. La sua capacità di negoziazione, la sua dote unica di ascolto e la sua simpatia, hanno lasciato un’impronta indelebile non solo nelle istituzioni che ha servito, ma anche in coloro che hanno avuto la fortuna di lavorare al suo fianco.
Ricordare Massimo D’Antona significa rendere omaggio a un uomo che ha dedicato la sua vita a rendere migliore il mondo del lavoro, che ha saputo vedere oltre il proprio tempo e che, con il suo spirito riformatore, ha tracciato un percorso che ancora oggi seguiamo. La sua eredità è una testimonianza di come la passione, la competenza e l’umanità possano trasformare le istituzioni e la società.
Concludo con un pensiero di gratitudine per tutto ciò che Massimo D’Antona ha rappresentato e continuerà a rappresentare per tutti noi. La sua memoria non è solo un tributo al passato, ma un faro che illumina il nostro cammino verso un futuro di giustizia e equità nel mondo del lavoro.
Per me lui è stato un maestro e pur essendo il mio capo, non dirigeva, ma insegnava…
[*] Presidente dell’ARAN. L’articolo è tratto dal blog antonionaddeo.blog. Il presente discorso è stato pronunciato nel corso della cerimonia commemorativa in memoria del prof. Massimo D’Antona, tenutasi presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il 20 maggio 2024.
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