Il lavoro cambia e si modifica repentinamente, nei contenuti, nelle declinazioni, nei contesti. Partendo da questa considerazione si può verificare che non sempre si riesce ad interpretarne, tempestivamente, l’evoluzione in prospettiva antropocentrica o, meglio, “umanocentrica”, ma con connotati tecnologici sempre più definiti, da una algoritmica dominante, spersonalizzata e non di rado “amorale”.
Ecco, quindi, che dovrebbe prendere spazio la cosiddetta “Algoretica”, nel pubblico come nel privato, da pensarsi per creare un futuro maggiormente a misura d’uomo, per costruire quel ponte tra tecnologia e valori umani, come più volte auspicato anche da Papa Francesco come da altri Player appartenenti alla “superclass” internazionale ossia, la nuova “élite” che governa, materialmente, il mondo in cui viviamo.
Opportuno sarebbe concepire un “modello economico” a prevalente vocazione collettiva, che metta in risalto il benessere delle persone, rendendo l'innovazione tecnologica un'opportunità per rafforzare, altresì, il ruolo di responsabilità sociale di imprese e Amministrazioni pubbliche, incrementando e ottimizzando la digitalizzazione dei servizi promuovendo, al contempo, uno sviluppo sostenibile.
D’altro canto, un maggior equilibrio, (ma meglio dire bilanciamento) tra vita e lavoro, è la cifra che sempre più contraddistingue l’agire delle nuove generazioni sociali, nel trovare una collocazione “sostenibile” in queste nostre società globali e globalizzate, sempre troppo condizionate da “trojan” comportamentali dei nuovi “vati” che percorrono, indisturbati/e, le praterie dei “social” alla ricerca frenetica di follower e quindi denari, celebrità, successo, prestigio, primazia, ecc.
Stiamo tutti assistendo ad una trasformazione profonda quanto latente. È possibile anche osservare come le nuove generazioni non si accontentano più solamente di guadagnarsi uno stipendio, ma ricercano affannosamente il maggior rispetto per i desideri e la propria dimensione privata, abbinata ad una opportunità di sviluppo personale, e un canone di appartenenza.
Questo mutare di prospettiva e “sentiment” crescente, mette in risalto come il benessere psicologico e qualità della vita assurgano a ruolo centrale, L’equilibrio e bilanciamento tra attività lavorativa e vita personale sta divenendo una condizione essenziale per concepire un futuro più modellato e a misura d’uomo.
Soprattutto nel pubblico impiego, come anche però nel privato, stiamo osservando, con maggior frequenza, l’incremento delle dimissioni volontarie di giovani dal posto di lavoro. Evidentemente si stanno ricercando occasioni e collocazioni lavorative più appaganti da un punto di vista umano, professionale e personale, senza tralasciare quello che viene definito dagli studiosi del settore “work life balance”, per favorire il miglior equilibrio vita-lavoro.
È quindi evidente che bisogna dotarsi di un’analisi lucida che sappia enucleare gli aspetti critici che stanno profondamente influenzano il nuovo mercato del lavoro soprattutto per la scelta delle giovani generazioni.
Passando a citazioni pertinenti sul tema, ricordiamo: …“Non di solo pane vive l'uomo”. Questa frase contenuta nelle Sacre Scritture ci permette di addentrarci e fare molteplici riflessioni: lavorare è importante quanto fondamentale, ma non di meno è necessario disporre di tempi e spazi per i propri affetti, passioni, interessi e conduzione di vita sociale.
Ciò deve poter convivere con le sempre più mutevoli dinamiche del mondo del lavoro che si è progressivamente adattato e modellato, se non anche stravolto, dalla immanente modalità smisuratamente “flessibile”, che non di rado ci vede costretti a crescenti, parziali o totali, rinunce personali.
Questa nuova piattaforma integrata on line, voluta e istituita dal Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, realizzata e gestita con il determinante apporto dell’INPS (che sarà fruibile a partire dal 18 dicembre 2024, previo ricorso all’identità digitale SPID e/o CNS) ha l’intento di coniugare la multiforme platea di cercatori di prima occupazione ad altre “coorti”, ossia i disoccupati ma percettori di Naspi e Dis-coll. Specificamente il DM del MLPS n. 174/2024 ne sancisce le regole di entrata a regime tra le quali, da non dimenticare, le cosiddette misure di “condizionalità” a carico dei destinatari delle misure di sostegno sociale (Adi assegno di inclusione e assistenziale (indennità varie di disoccupazione), per l’applicazione delle eventuali sanzioni (riduzioni – revoche dei trattamenti). Chiariamo, inoltre, che l’iscrizione alla menzionata piattaforma, da parte dei privati cittadini, contempla dei necessari adempimenti come la sottoscrizione di un “patto di attivazione digitale” che introduce un “patto di servizio” personalizzato. È prevista, ad ogni modo, comunque, la “supervisione” da parte dei Centri per l’impiego pubblici CPI.
Concretamente i privati cittadini (italiani e stranieri) avranno la possibilità di compilare/collocare il proprio CV sulla piattaforma SIISL, come pure manifestare il proprio interesse allo svolgimento di una attività lavorativa ovvero anche formativa. Le imprese, d’altro canto, avranno la possibilità di pubblicare i loro posti di lavoro disponibili, siano essi a tempo determinato che indeterminato, ma anche esigenze di contratti di collaborazione o altra natura non subordinata, con finalità esplicita di ricerca del personale. L’eventuale uso improprio della piattaforma, per scopi diversi, rispetto alla mera “ricerca di personale” potrà essere oggetto di eventuale “segnalazione” all’INL-Ispettorato Nazionale del Lavoro, per i provvedimenti del caso.
La vecchia idea, quindi, di convogliare in un unico “bacino” gli operatori del mercato lavorativo pubblici (CPI Centri per l’impiego) e privati (Agenzie per l’impiego, ma anche semplici privati cittadini), con il nuovo strumento SIISL, prende finalmente vita. L’interconnessione, costante e dinamica, sarà la parola d’ordine. A ben vedere, quindi, la stessa trae origine concettuale dallo strumento pensato oltre venti anni or sono dal compianto giurista, il prof. Marco Biagi, ucciso barbaramente da terroristi, che ha appunto concepito l’archetipo della “piazza virtuale” lavorativa denominata: “Borsa del lavoro” quale segmento del più complessivo d.lgs. n. 273/2006 ossia la riforma che prende il suo nome, Biagi.
Tale piattaforma ha inteso dare corso ad un impiego attivo delle potenzialità della stessa Intelligenza Artificiale, con lo scopo di permettere un incrocio, quanto più efficace, tra domanda e offerta di lavoro agendo, in particolare, proprio sulla migliore “personalizzazione” dei processi formativi da attuare, che implica, al contempo, una valutazione quanto più accurata delle competenze detenute. Più specificamente si intenderebbe agire su algoritmi dell’AI pensati per produrre teorici abbinamenti ottimali tra domande e offerte di impiego, declinando degli “indici valoriali” in grado di misurare affinità/compatibilità tra curriculum presenti e posizioni lavorative richieste.
Per questo serve una stretta correlazione e interdialogo tra Istituzioni, sistema produttivo, mondo accademico/didattico, enti formativi, professionisti consulenti, tutti possibilmente orientati al miglioramento del cosiddetto mismatch, nell’ottica di una maggior coesione, al fine di disporre di un capitale umano massimamente competitivo a livello di sfide globali, di natura sia economica che sociale.
Ora come non possiamo considerare fondamentale il “bisogno di formarsi” consapevolmente e, se mi è concesso il termine, “predittivamente”, da parte della multiforme platea di giovani generazioni di lavoratori, come anche della altrettanto variegata massa di lavoratori alla ricerca di una nuova occupazione o, semplicemente, rioccupazione per chi perde involontariamente o volontariamente il proprio impiego? Questo, è lampante, opera all’or quando vi è una piena consapevolezza, da parte dei diretti interessati, come anche delle istituzioni, concordando con una parola d’ordine: “aggiornare/integrare le competenze possedute”.
Un nuovo “mercato del lavoro”, che si evolve anche in virtù della presenza di nuove tecnologie, e per questo si “alimenta”, indiscutibilmente, di “nuove competenze”, indubbiamente, deve anche scontare il ruolo che sempre più invasivamente assume la cosiddetta “Intelligenza Artificiale”, con i suoi connotati e il suo portato di modernizzazione e innovazione che si stanno osservando a livello di modelli produttivi ed organizzativi, nel nuovo millennio.
Nella comune accezione lavoristica si parla di “Lavoro digitale” come sintesi per significare, tra l’altro, l’opportunità di abbattere i costi della manodopera fornendo al contempo servizi sempre più rapidi e dinamici.
Nello specifico il cosiddetto “caporalato digitale” che concretamente ben si configura nel caso dei fattorini o riders in bici o ciclomotori che consegnano pasti o beni di altra natura individuati per mezzo di App governate da algoritmi.
Parliamo, quindi, di lavori estremamente precarizzati e senza tutele. Consapevolmente aggiungiamo, pertanto, come il lavoro oggi sia in continua trasformazione annoverando lo sfruttamento di persone che vengono pagate a consegna (similarmente al conosciuto metodo del cottimo).
Si dovrebbe quindi poter concepire un meccanismo che porti al lavoro stabile e ben regolato, anche in ambito digitale, e questo dovrebbe essere compito della politica in una sfida comune e trasversale che sappia tutelare i diritti dei lavoratori anche al tempo del cosiddetto “capitalismo digitale”.
Al contempo, si aprono scenari che fanno emergere nuove problematiche per il diritto del lavoro, in cui la dottrina deve al contempo approcciarsi, fra essi il tema della potenziale “disumanizzazione” dei ritmi di lavoro, organizzati e controllati da algoritmi…. la difficoltà di individuare e gestire i tempi di recupero delle energie psico-fisiche, dei riposi, delle ferie, in un contesto di evidente “de-strutturazione” del lavoro.
Aggiungiamo, inoltre, la difficoltà di individuare, in maniera chiara e inequivocabile, il soggetto titolare della costituzione del rapporto di lavoro, ma anche chi esercita il potere direttivo e quello organizzativo in una relativa facilità di delocalizzazione.
In dottrina è emerso come l’asserita libertà dei riders di dare o meno la propria disponibilità lavorativa (elemento principale sul quale è stata ipotizzata l’esclusione dall’ambito della subordinazione), nei fatti non lo è. Si tratta nel caso di libertà esclusivamente formale, ma non sostanziale.
Laddove il lavoratore decidesse di non svolgere la prestazione che gli viene assegnata dalla specifica app potrebbe incorrere in una sorta di sospensione disciplinare dal rapporto, o addirittura di recesso, senza seguire però il procedimento disciplinare individuato e garantito dall’art. 2106 c.c. e dall’art. 7 Statuto dei lavoratori. Si esplicherebbe, pertanto, direttamente, con la disconnessione del profilo del lavoratore dalla piattaforma, in modo che questi non possa più accedervi ed eseguire prestazioni lavorative.
Si assiste, quindi, all’esplicarsi di un nuovo tipo di caporalato che si struttura online. Lo stesso si basa, frequentemente, sulle figure di “rider” sempre più lavoratori stranieri irregolari, succubi di un sistema illecito di compravendita di account finti o contraffatti.
Questa nuova forma illegale di reclutamento e organizzazione delle consegne a domicilio si è ulteriormente incrementata durante il periodo pandemico, arrivando ad oggi con una vasta platea di rider che lavora sotto un falso profilo virtuale, spesso con mezzi di trasporto posticci e insicuri, senza tutele alcune.
In breve, dietro alle app di delivery si nasconde, non di rado, un vero e proprio sistema di cessione fittizia, e a pagamento, di account per ciclofattorini. Stabilire con esattezza l’estensione del caporalato digitale, a questo punto, è davvero difficile.
Anche mantenere attivo il rapporto con la piattaforma ed evitare penalizzazioni nel “ranking prestazionale” risulta essere una sfida costante per questa categoria svantaggiata di lavoratori. Insomma, dal momento che l’algoritmo dell’app privilegia chi accetta di fare tante consegne in poco tempo, anche in giornate festive e con meteo avverso, l’eventuale mancato “ok” alla notifica dell’ordine, significherebbe l’indebolimento del legame algoritmico del rider con la piattaforma stessa.
Va detto inoltre che il fenomeno del caporalato digitale non si limita solo a rider e fattorini, La restante parte dei “platform worker” si dedica a mansioni online: traduzioni, scrittura di testi, programmazione di software, creazione di siti web e molto altro.
Contratti a breve termine, orari flessibili e assenza di ammortizzatori sociali, mancata copertura previdenziale e assicurativa, sono diventati tratti distintivi delle nuove forme di lavoro interinale legate al mondo virtuale. L’economia digitale ha assecondato un fenomeno senza volto che risponde a logiche algoritmiche e spesso discriminatorie. Il mercato del lavoro risulta pertanto polarizzato.
In Italia nel settore privato come in quello “pubblico” stiamo assistendo al cosiddetto “trade off” di forza lavoro, tra vecchie e nuove generazioni di lavoratori. L’andamento demografico in atto ci offre, appunto, uno spaccato per il quale le generazioni comunemente denominate, appartenenti al baby boomer, con il loro transito al momento della quiescenza, stanno progressivamente lasciando la vita lavorativa attiva.
La stessa OCSE raccomanda di agire con politiche di maggiore attrattività rispetto alle offerte di lavoro nel pubblico impiego, con idonee strategie di selezione e comunicazione. La motivazione dei giovani non è impresa facile ovviamente, ma convincerli alla scelta del pubblico risulta vitale per il nostro futuro di nazione. Per questo sarebbe auspicabile un maggiore sforzo per comunicare al meglio le progettualità e le valenze del lavoro pubblico presente nei diversi settori, come pure gli innumerevoli cambiamenti in atto.
Al riguardo determinante dovrà essere il saper intercettare, da parte dei molteplici organismi di HR operanti nella molteplicità di PP.AA., le aspettative e le necessità delle nuove generazioni di lavoratori pubblici.
Nel pubblico impiego (per il vero anche nel settore privato) è ormai acclarato come siano sostanzialmente carenti le cosiddette competenze “STEM” acronimo di Science (scienza), Technology (tecnologia), Engineering (ingegneria) e Mathematics (matematica); ossia le quattro discipline che rappresentano i settori fondamentali che si intersecano tra loro, favorendo una maggiore comprensione del mondo e stimolando l'innovazione tecnologica. Il concetto, infatti, è stato creato per comprendere il gruppo di discipline necessarie per l'innovazione e lo sviluppo di un Paese.
Le competenze STEM sono, fuor di dubbio, alla base delle innovazioni tecnologiche che guidano il progresso nelle società. Certamente alla base dello sviluppo di tutte le nuove tecnologie, e molto altro ancora. La formazione nelle materie STEM promuove, invero, una mentalità basata sulla risoluzione di problemi inducendo ad analizzare analiticamente e criticamente i variegati contesti, cercare soluzioni basate su dati e prove scientifiche.
Ciò che le rende fondamentali, e sempre più richieste nel mercato del lavoro globalizzato, si sintetizza con il fatto che queste discipline servono anche per guidare l'innovazione, la ricerca e lo sviluppo tecnologico.
In un recente Rapporto Censis-Formez, pubblicato lo scorso ottobre 2024 dal titolo: “IL LAVORO ALLE DIPENDENZE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI - L’impiego pubblico raccontato da chi ci lavora e da chi ci vorrebbe lavorare”, si viene ad appalesare che le aspettative dei giovani, in ambito lavorativo pubblico (e aggiungo non solo), si stanno evolvendo assumendo una nuova concezione di cultura del lavoro. La certezza di reddito è sicuramente una componente molto importante, ma non la sola. Di contro si assommano una varietà di esigenze, come flessibilità, conciliazione vita lavoro, impulso del welfare, riconoscimento del merito e conseguenti prospettive di carriera dinamiche, partecipazione allo sviluppo/ammodernamento della società, ambiente di lavoro sereno e gratificante. Tutto, ovviamente, contornato da una maggiore dimestichezza con le nuove tecnologie e l’adozione di strumentazioni telematiche ormai irrinunciabili nei processi lavorativi e più in generale di organizzazione, anche ai fini della semplificazione burocratica sapendo innovare.
Ora, come non riconoscere che l’AI-Intelligenza artificiale rappresenta la sfida più ardimentosa per questo inizio del nuovo millennio? E quanto impatta sui contesti economici, sociali, tecnologici, incidendo profondamente sugli aspetti e dinamiche lavorative come sui diritti e la giustizia sociale? Si stanno modificando conseguentemente i modelli organizzativi e produttivi.
Una attenzione massima, ad ogni modo, dovrebbe essere rivolta al possibile rischio di perdita della centralità del lavoro umano a favore del lavoro inumano o, meglio, dire robotico, nell’ottica di una involontaria e dirompente competizione uomo-macchina.
Una riflessione finale merita farla sul fatto che sempre più le nuove generazioni, ma non soltanto, risultano essere connesse, spasmodicamente, al “web” e ai “social” ma troppo spesso tragicamente disconnessi da se stessi e dalle proprie coscienze. La pervasività dell’immagine “perfetta” detta le regole anche su cosa fare, come fare, come essere e come voler rappresentare se stessi al mondo che ci circonda e tragicamente sovente ci “giudica”.
Comunque assistiamo al permanere del costante disallineamento tra il fare, l’essere e il pensare, anche nell’ambito fondamentale del lavoro e nei contesti in cui si vive.
In questo, intravedo il grande tema dello sfruttamento consapevole ma anche inconsapevole con un connotato che ci interroga permanentemente, anche in epoca odierna e di estrema modernizzazione. Vediamo, quindi, appalesarsi in maniera crescente e che sintetizzo in una frase: Lavoro sfruttato che sfrutta… con una costante che ne offre uno spaccato conseguente e diretto sui fattori legati da un lato, alla necessaria ricerca di una maggiore sicurezza sul lavoro e dall’altro, alla irrinunciabile dignità del lavoro, che debbono rappresentare la “cifra” della riattualizzazione di un Umanesimo rivolto al terzo millennio. Difendere, pertanto, da un verso le persone e dall’altro il lavoro, risulta elemento irrinunciabile.
Mappare quindi le professioni emergenti, e le conseguenti competenze trasversali e interdisciplinari diventa elemento cardine in un mercato del lavoro così fluido e imponderabile. Al contempo guidare le nuove generazioni di lavoratori orientandoli su percorsi aderenti alle esigenze di un mercato del lavoro tanto innovato, senza tralasciare la necessità di sapersi adattare, riproporsi e magari rispondere con creatività e flessibilità a future sfide, se si appalesassero.
In un mondo che si modifica a ritmi vorticosi, il nostro sistema educativo fatica ad imporsi accompagnando le persone ad affrontare la complessità della vita lavorativa, sociale, economica, culturale, con consapevolezza e creatività. Conseguentemente, lo stesso mercato del lavoro si mostra spesso troppo statico, e inerte nel valorizzare le competenze disponibili e sapendo anticipare quelle future. Forse sarebbe bene pensare al lavoro come parte integrante di un progetto più ampio, di senso comune e condiviso.
Abbiamo bisogno, ritengo, di una diversa visione che metta al centro certamente la produttività economica e un benessere diffuso, ma senza dimenticare la realizzazione personale e il bene sociale. Riconosciamo pertanto che il lavoro è certamente un mezzo di sostentamento fondamentale ma al contempo un luogo dove le persone inseguono la giusta dignità, e concetti di appartenenza.
Al tempo stesso, il mercato del lavoro deve necessariamente evolversi. Le imprese e le istituzioni devono assumersi l’onere di contribuire alla formazione continua, di valorizzare delle persone senza discriminazioni alcune, creare ambienti sociali “sostenibili”. La formazione professionale accompagnata da quella umana deve essere un investimento costante e strategico per ogni nazione. Superare l’attuale gap significa quindi costruire collegamenti diretti: tra istruzione e lavoro, tra sapere e fare, tra individuo e società.
Creare un sistema in cui educazione e lavoro non siano più mondi separati, ma componenti di un unico progetto di sviluppo umano e sociale, per una storia condivisa. Costruire un mondo più egualitario, inclusivo, amico, in una parola più umano, ma sempre al passo coi tempi che viviamo.
[*] Dirigente INL, Direzione Centrale Risorse - Uff. III° - Bilancio e Patrimonio. Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro” nonché della cattedra di “Diritto del Lavoro”. Il presente contributo è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegna l’Amministrazione di appartenenza.
Seguiteci su Facebook
>