A ogni infortunio grave sul lavoro i media condannano, i sindacati protestano, le autorità promettono un rafforzamento delle attività ispettive. Ma nessuno dice che il primo passo per questo rafforzamento sarebbe costituito dalla riorganizzazione unitaria degli ispettori del lavoro, attualmente ripartiti in quattro organici distinti e tra loro scollegati: quello del ministero, quello dell’Inps, quello dell’Inail e quello delle ASL L’unificazione e la riorganizzazione almeno dei primi tre in una struttura unica erano previste da uno dei decreti delegati attuativi del Jobs Act e sarebbero state indispensabili per ridare autorevolezza all’attività ispettiva, recuperando efficacia concentrando la presenza degli ispettori dov’è necessaria. Sennonché quella norma di legge non è stata mai attuata; hanno prevalso le resistenze interne degli apparati a ogni cambiamento organizzativo. Un'ulteriore beffa è arrivata con la legge 19 dell’anno corrente in cui all’ultimo comma, ben nascosto, dell’articolo 31 per “L’efficientamento dell’Ispettorato del Lavoro” è previsto il ripristino dei ruoli ispettivi dell’Inps e dell’Inail. La norma sancisce il successo finale della resistenza sorda degli apparati. Con buona pace dei morti, dei loro familiari e dell’opinione pubblica.
Questi concetti sono contenuti nei brani più importanti dell’articolo di Pietro Ichino apparso sul Corriere della Sera del 25 ottobre scorso. I lettori che mi seguono sanno, dai tanti articoli di denuncia scritti ormai da un decennio, come la penso sulla scellerata, mancata unificazione del personale ispettivo. E tuttavia non mi appassiona tanto costatare l’identità di vedute di un esimio studioso di diritto del lavoro con quanto da me scritto sulle disfunzioni legate all’attuale organizzazione delle ispezioni, quanto il fatto che questo aspetto così evidente sia stato e tuttora venga contrastato o quanto meno ignorato ai piani alti della politica, del sindacato e dei mass media.
L’unico punto su cui non sono d’accordo con Ichino è sull’attualità del colpo di mano. Per la verità, esso è stato attuato già nel 2015 non trasferendo il personale ispettivo all’Agenzia con le dovute risorse, grazie all’astuta introduzione dei ruoli a esaurimento. L’articolo 31 citato sopra rappresenta solo il colpo finale. Si è trattato della vittoria degli apparati in cui il ruolo del sindacato confederale del settore pubblico non è stato secondario. Mi dispiace dir questo perché gli ho dedicato i migliori anni della mia vita.
La verità amara è che grandi settori della politica e del sindacato sono incomprensibilmente contrari alla riunificazione degli ispettori. Uso questo termine per ricordare o far conoscere ai giovani che fino alla fine degli anni settanta del secolo scorso l’Ispettorato del lavoro era l’unico organismo deputato alla vigilanza in materia di lavoro. Va detto a onore del vero che non era stata certo l’età dell’oro, ma un’efficienza superiore a quella attuale sicuramente; c’era per di più, la certezza dell’interlocutore per degli utenti, lavoratori o aziende.
È evidente che il mantenimento della divisione si deve alla difesa d'interessi particolari dell’alta burocrazia degli enti interessati per mantenere e rafforzare il proprio potere. Ciò dimostra lo stato patologico di alcuni settori del pubblico impiego in cui i funzionari dovrebbero tendere all’esclusivo interesse pubblico e non di parte o personale. Ciò vale ancor più per la politica che deve agire a tutela dell’intera comunità e per il sindacato a difesa della salute e sicurezza dei lavoratori. Quando sento dibattiti anche aspri o leggo articoli sul modo di migliorare i risultati delle ispezioni non appare mai la questione dell’unità, ma solo fumosi e già falliti coordinamenti. Ho letto ultimamente le dichiarazioni dell’ex capo dell’Agenzia, Bruno Giordano. La sua analisi sulla situazione è lucida e condivisibile quando parla di anarchia ispettiva, ma anziché proporre la cura più semplice e naturale, parla di procura nazionale come toccasana di ogni male, prevalendo in lui la sua cultura di magistrato. Una soluzione del genere, a mio parere complicherebbe ancor più il sistema ispettivo. Lo stesso vale per altre pseudo medicine proposte ogni tanto nel corso del tempo. Sono convinto che la classe dirigente del nostro Paese a tutti i livelli sa che la causa prima delle inefficienze è la dispersione delle forze e finchè non agirà per ripristinarne l’unità è responsabile di ciò che non va in questo delicato settore e di fatto corresponsabile degli infortuni mortali e non dei lavoratori.
[*] Giornalista e scrittore. Consigliere della Fondazione Prof. Massimo D’Antona ETS
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