Lavorerai con il sudore della tua fronte

di Stefano Olivieri Pennesi [*]

Olivieri Pennesi 2Riformare il lavoro appare essere uno degli elementi maggiormente qualificanti per l’azione del Governo in carica. Il Jobs Act, fin dal suo esordio, nel dibattito politico e socio-culturale, ha rappresentato il campo di battaglia che ha visto contrapporsi visioni diametralmente opposte dell’elemento fondante del concetto lavoro, in un alveo che per intrinseca natura è dispensatore di “dignità” umana, in un contesto condiviso di regole.


È proprio questa visione che non esiterei a definire “lavorocentrica” che ci conduce ragionevolmente fuori da concezioni utopistiche nonché elemento del vissuto umano, di valore inestimabile, per la crescita equilibrata della società complessivamente intesa.


Il lavoro e i suoi interpreti devono necessariamente essere governati con pragmatismo, dignità e libertà non devono rappresentare concetti contrapposti, ma bensì fondersi in un ambito di diritti e doveri non scalfibili da cicli economici, emergenze sociali, sistemi di governo o quanto altro mutevole nei sistemi sociali.


Eminenti studiosi della materia lavoristica si sono confrontati e spesso scontrati su cosa era necessario fare per “favorire l’occupazione” e al contempo sterilizzare situazioni di ingiustizia sociale legate alla presenza o assenza di “tutela” del lavoro sia dal punto di vista della stabilità, sia per quanto riguarda la sua normazione legata alle varie tipologie e fattispecie.


È giusto immaginare che la classe politica, odierna e futura, debba agire non esclusivamente aspirando al mero ed effimero consenso popolare, ma coscientemente orientare decisioni ed azioni offrendo risposte ai bisogni fondamentali dell’essere umano e al reale beneficio di esso.


Tutela del lavoro e welfare diffuso possono essere elementi distintivi di una società evoluta e moderna, dove il bene primario della dignità del lavoro umano, non rappresenta un ostacolo alla volontà/necessità e libertà di fare impresa, muovendo capitali, realizzando profitti, distribuendo benessere economico a crescenti fasce sociali.


Obiettivo ineludibile, per i governanti, dovrebbe anche essere la riduzione della povertà quale fattore che aggredisce la dignità umana, alle sue fondamenta, come d'altronde colpisce l’economia complessiva, e che si lega inevitabilmente all’assenza di lavoro. Non esistendo diritti per i senza lavoro, anche rispetto alla possibilità di potersi occupare o rioccupare come parte della popolazione attiva, uno dei valori fondamentali della società viene ad annullarsi.


Ma alla base di tutto si pone la necessità di una visione completa dei mutamenti che l’economia nazionale e mondiale, nell’attuale contesto di crisi, sta producendo con particolari ricadute nell’ambito del lavoro odierno. Le forme di lavoro, l’elemento umano, la conciliazione con i tempi di vita, le modalità d’esplicazione, le tutele fondamentali, tutto contribuisce a costruire un insieme di diritti e regole “sostenibili” per i valori umani imprescindibili, dove libertà di impresa e dignità del lavoro coesistono in un unicum di sviluppo ed emancipazione dell’uomo nel contesto di umanità.


Nel Jobs act uno degli aspetti più rilevanti, con il suo portato di problematiche, è sicuramente ciò che attiene al rapporto tra le politiche attive e quelle passive. Specificamente, con la perdita del lavoro, fino ad oggi il nostro sistema di welfare ha previsto il sostegno economico dei lavoratori con il ricorso alle varie tipologie di ammortizzatore sociale, con i relativi paradossi rispetto alla durata di concessione che, in alcune casistiche, ha superato la decina di anni, senza però collegare tale status alla indispensabile azione e relative procedure di ricollocazione.

Tale problema viene acuito, altresì, dal fatto che nel sistema italiano le cosiddette “politiche passive” sono governate da una parte dall’Inps, che si occupa di erogare materialmente le diverse indennità economiche e invece, per quanto riguarda gli aspetti amministrativo-gestionali nonché, gli iter procedurali-autorizzativi, intervengono sia le Regioni che l’Amministrazione centrale del Ministero del Lavoro. Ciò rappresenta, ovviamente, una evidente criticità rispetto alle indispensabili modalità di raccordo e coordinamento tra strutture interessate, anche e soprattutto per quanto attiene la responsabilità diretta sulla gestione delle risorse finanziarie impegnate.

Di contro, nell’osservazione di altri sistemi gestiti in vari paesi europei spesso emerge come lo strumento di ammortizzatore sociale pubblico funzioni diversamente, vale a dire che la politica passiva ed attiva sul lavoro trova modalità di fattivo concorso ed interconnessione nella sua azione, complessivamente gestita.


Concretamente, nel momento in cui i lavoratori perdono o stanno perdendo il proprio posto di lavoro e per tale ragione ricevono un sostegno economico, quale ammortizzatore sociale, automaticamente vengono presi in carico dai Centri per l’Impiego pubblici, in quanto anche erogatori diretti dei sussidi, al fine di definire un percorso virtuoso e misure attinenti per la necessaria ricollocazione lavorativa.


Ecco quindi riproporsi, inesorabilmente, la necessità di avviare un valido processo di riforma complessivo del mercato del lavoro italiano che deve ineludibilmente passare anche attraverso la riorganizzazione dei Cpi – centri per l’impiego, anello fondamentale della intermediazione tra domanda e offerta di lavoro. Si è ripetutamente parlato, ed ha preso quindi forma nello schema di decreto legislativo proposta da ultimo dal Governo, dei cosiddetti “sistemi premianti” per i Cpi virtuosi che proficuamente e a risultato ottenuto, realizzano l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.


Ciò detto è altresì necessario implementare l’interscambio tra Cpi, agenzie private per il lavoro, organizzazioni datoriali e sindacali, imprese e istituzioni scolastiche e universitarie, agevolando la diffusione e distribuzione sul territorio e nei distretti lavorativi di specifici punti di informazione che in modo più capillare possono raggiungere giovani inoccupati, disoccupati e sottoccupati.


Altro tassello fondamentale, in un’ottica di riforma complessiva, è rappresentato dalla indispensabile “offerta formativa professionalizzante”, elemento determinante per permettere ai giovani, ma non solo, di acquisire abilità e conoscenze ben spendibili nell’attuale mercato del lavoro.


Non bisogna però dimenticarsi che, allo stato, il regolare funzionamento dei “servizi per l’impiego” garantiti dalla rete dei Cpi deve fare i conti con la cosiddetta norma Delrio, ossia la legge n.56/2014 che ha previsto il progressivo superamento degli enti Provincia, in Enti di area vasta (in attesa della riforma del titolo V della Costituzione) che a partire dal 1° gennaio 2015 assumono, in parte, la denominazione di città metropolitane, con il conseguente transito delle funzioni svolte e del relativo personale, verso altri enti e nel nostro caso appunto i “servizi per l’impiego e le politiche attive per il lavoro”, nell’ottica del riordino complessivo delle funzioni previste dalla riforma Delrio. È chiaro lo scopo di garantire continuità all’azione amministrativa dei centri pubblici per l’impiego, ciò si scontra però con l’azione e l’esercizio delle competenze da parte delle Regioni (competenti costituzionalmente) e quindi primarie titolari di attribuzioni in ambito dei servizi all’impiego, politiche attive e formazione professionale.


Olivieri Pennesi 7 4Da queste lunghe premesse passiamo ora ad enunciare parte degli aspetti innovativi del Jobs act, così come normato dalla legge n. 183/2014 e dai recentissimi iniziali decreti attuativi predisposti e deliberati dal Governo alla vigilia del Natale 2014. In primo luogo la riforma ha inteso incidere revisionando la cosiddetta Aspi per quanto attiene la durata nonché la platea teorica dei beneficiari (includendo ad esempio categorie di lavoratori quali i collaboratori, consulenti ed altre). Punto qualificante della riforma, nonché particolarmente dibattuto è certamente l’introduzione del cosiddetto “contratto a tutele crescenti” a tempo indeterminato con tutto il relativo portato di disputa e contrapposizione legato alla applicazione, ovvero mancata applicazione, per i nuovi assunti, del fatidico articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, comunemente indicato come “reintegra” del posto di lavoro, nei casi di licenziamenti illegittimi.

Mi soffermerei però ora ad esaminare specificamente l’art.11 dello schema di d.lgs. predisposto, come detto, dal Governo, riguardante le disposizioni in materia di contratto di lavoro a tutele crescenti, dove si tratta appunto del “contratto di ricollocazione”.

Ebbene, il suddetto articolo dello schema di d.lgs. approvato dal Governo, individua appunto lo strumento innovativo, per il nostro Paese, del contratto di ricollocazione. In buona sostanza viene prevista, per il lavoratore che abbia perso la sua occupazione e sia quindi nella condizione di usufruitore di tipologia di ammortizzatore sociale, la possibilità/obbligatorietà, di stipulare un vero e proprio contratto, previa l’individuazione, da parte sua, di una Agenzia di lavoro, con la quale si impegna a svolgere un ruolo protagonista al fine di addivenire ad una “ricerca attiva” di una occupazione e/o a non rifiutare offerte lavorative “idonee” dal punto di vista mansionale, retributivo, e ubicativo, a pena di possibile revoca della prestazioni di sostegno al reddito che si godono sottoforma di ammortizzatori sociali.


È sicuramente identificabile, questa tipologia nuova di contratto, come una concreta ipotesi di “collegamento” tra le “politiche passive” del lavoro, rappresentate dalle varie formule di assistenza e di sostegno al reddito/ammortizzatore sociale, e le “politiche attive” quali le iniziative/azioni per la ricerca e la ricollocazione sul mercato del lavoro.


In questo ambito si devono intersecare le iniziative di riforma per migliorare e modernizzare il sistema dei Centri per l’impiego pubblici, perseguendo un nuovo modello organizzativo, fluidificando, in primis, i rapporti con le istituzioni territoriali e regionali, nonché avviando finalmente il necessario raccordo ed interscambio di conoscenze, riguardanti il mercato del lavoro, anche con il necessario ausilio di “risorse dedicate” migliorando la qualità ed entità della spesa maggiormente orientata al raggiungimento di risultati concreti in termini di occupazione procacciata.


Olivieri Pennesi 7 2Tornando quindi all’art.11, del più volte citato schema di decreto legislativo, nello stesso vengono previsti stanziamenti di fondi da erogarsi attraverso vaucher finalizzati alla copertura dei costi del servizio sostenuti dalle Agenzie, coinvolte nei programmi di reinserimento lavorativo, ad obiettivo raggiunto.


È bene anche menzionare il fatto che la norma non prevede vincoli di sorta per il soggetto interessato, rispetto alla possibilità discrezionale di rivolgersi ad una qualsiasi Agenzia del lavoro pubblica, ovvero privata, ancorché accreditata nel sistema regionale. Il sistema così congeniato metterebbe quindi in virtuosa competizione, non solo le Agenzie accreditate ma al contempo i “riconfigurati” Cpi pubblici. Viene con se il fatto che si renderà necessario un “accorto monitoraggio” al fine di non limitare gli interventi alla casistica più agevole, riguardante collocazioni o ricollocazioni lavorative di facile gestibilità e migliore prospettiva; risulteranno quindi fondamentali, la gestione oculata degli incentivi assegnati ovviamente in base alla effettiva difficoltà di reinserimento al lavoro, ma anche alla fattività dei sistemi di “outplacement”, nonché al ricorso al canale dei corsi di riqualificazione professionale e promozione/sostegno dell’autoimpiego.


Non da meno è anche la questione del grado/livello di formazione del personale delle Agenzie, dell’indispensabile turn over, nonché la contestuale capacità di svolgere ruoli di operoso ed indispensabile “tutoraggio” a favore dei soggetti che vengono presi in carico.


Ritengo a questo punto utile rappresentare meglio il ruolo che debbono e possono svolgere, alla luce di rinnovate funzioni e attribuzioni, i Centri per l’impiego pubblici. In primo luogo i Centri dovranno strutturarsi e creare i presupposti per stipulare i nascenti contratti di ricollocazione con i soggetti interessati, a tal fine i centri stessi, tra l’altro, avranno l’onere di prendere in carico i lavoratori interessati “profilandone” le caratteristiche peculiari. Dovranno essere anche forniti elementi conoscitivi sugli operatori/agenzie accreditate al sistema regionale per l’impiego, al fine di poter fare una libera scelta di contratto e affido.

La cosiddetta “profilatura”, fatta dai Cpi, permetterebbe al contempo la definizione di una sorta di “indice di svantaggio” direttamente funzionale al grado di occupabilità al quale poter collegare l’attribuzione dei vaucher, monetariamente differente quindi tra soggetti e soggetti, e destinato come già detto a remunerare gli operatori accreditati.


Il Cpi deve quindi vigilare e garantire sull’imparzialità dell’azione degli operatori, sulla effettiva discrezionalità di scelta dei soggetti destinatari e sul rispetto, da parte di questi ultimi, degli impegni contrattuali sottoscritti quali le offerte congrue di impego lavorativo, lo svolgimento di percorsi formativi e di riqualificazione, ecc.


Riprendendo il discorso sullo strumento vaucher, come individuato dal più volte menzionato art. 11 dello schema di d.lgs., esso si sostanzia come “rappresentativo della dote individuale di ricollocazione…” lo stesso voucher presentandolo ad una agenzia pubblica o privata per il lavoro, da diritto, come già detto, alla sottoscrizione di un contratto che prevede:

  • Il diritto del lavoratore ad una assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata , strutturata e gestita al meglio, da parte dell’Agenzia;
  • Il diritto del lavoratore alla realizzazione, da parte sempre dell’agenzia, di iniziative di ricerca, addestramento, formazione, riqualificazione professionale, che mirano a sbocchi occupazionali fattivamente esistenti, appropriati alle capacità del lavoratore e condizioni del mercato del lavoro nel distretto dove il lavoratore è stato preso in carico;
  • Il dovere del lavoratore è cooperare attivamente con l’agenzia per la riuscita delle iniziative intraprese;
  • L’importo del vaucher è quindi proporzionale alle difficoltà di occupabilità parametrata sul soggetto e diventa esigibile solamente a risultato ottenuto.


Altra riflessione meritevole di approfondimento, riguardo appunto le concrete ricadute del Jobs act, quale riforma del lavoro in itinere, deve svolgersi rispetto alla interconnessione con il programma “garanzia giovani” avviato oramai da otto mesi e precisamente dallo scorso 1° maggio 2014. Degno di menzione risulta essere, appunto, l’aspetto agevolativo del programma, laddove, il Governo ha introdotto nella legge di stabilità 2015 la possibilità, per chi assume giovani a tempo indeterminato, di una decontribuzione degli oneri sociali per i primi tre anni di contratto, fino alla somma massima di 8.060 euro annui. Di contro, il programma “garanzia giovani”, permette si degli sconti/agevolazioni, sui contributi dovuti per contratti a tempo indeterminato, ovvero quelli a tempo determinato che superano il periodo di sei mesi, nonché per i contratti di apprendistato, ma tali benefici non possono essere cumulabili con altri tipi di agevolazioni. Questo, ovviamente, pone un problema di “convenienza” da parte dei datori di lavoro circa il percorso e le scelte assunzionali da farsi in base ai diversi sistemi, canali ed incentivi esistenti.


Infine, ma come mero accenno rispetto alla riforma complessiva del mercato del lavoro, merita essere ricordata la tematica riguardante la “governance” ovvero la possibile creazione di due Agenzie strumentali che verrebbero ad affiancare l’opera del Dicastero del Lavoro.

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Una Agenzia, per l’Attività ispettiva, che avrebbe lo scopo principale di unificare, in un unico contesto, le competenze ed il corpo ispettivo attualmente suddivise/o tra Ministero del Lavoro, Inps ed Inail. Un’altra, quale Agenzia nazionale per il Lavoro, sulla scia del modello tedesco, che si baserebbe sulla massificazione dello strumento dei Minijobs, quale primo passo, per i giovani, di immettersi ufficialmente nel mercato del lavoro, anche se con lavori instabili; sulla gestione e diffusione dei sussidi di disoccupazione universale. Più in generale si tratterebbe di una Agenzia del lavoro concepita come strumento per superare sovrapposizioni e frammentazioni di competenze e quindi operare un necessario coordinamento, tra i vari soggetti interessati, partendo da un concreto raccordo tra e con le Regioni che, attualmente, nell’assetto istituzionale, hanno competenza diretta in materia di formazione e politiche attive. Ciò, ovviamente, apre un dibattito circa il rischio di “centralizzare competenze” più che governare e omogeneizzare: modalità di interventi, procedure, attribuzioni, fenomeni, obiettivi, risultati attesi. Questo, nel contesto generale delle politiche attive sul lavoro, deve prevedere una particolare attenzione a non declinare tale scelta, di governance del lavoro, magari immaginando una derivazione di Agenzie, di secondo livello, su base regionale, che inevitabilmente graverebbero, con ulteriori costi, sulla fiscalità generale, riproducendo, al contempo, rischi di scelte e politiche autarchiche, lontane da una necessaria visione di insieme in tema di politiche per il lavoro. Quadrato Arancione

[*] Professore a contratto c/o Università Tor Vergata, Roma – titolare della cattedra di “Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro”. Il Prof. Stefano Olivieri Pennesi è anche Dirigente del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ogni considerazione è frutto esclusivo del proprio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza


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