Il disagio giovanile
di Elia Annunziata [*]
Il disagio giovanile è un fenomeno molto più diffuso di quanto se ne abbia la percezione dal punto di vista della pubblica opinione e dell'istituzione politica.
È difficile individuare quali siano i sintomi del disagio negli adolescenti e ciò aggrava la difficoltà nel ricercare le ragioni del disagio, le sue origini e la conseguente difficile “soluzione” al problema.
Il disagio vissuto dai giovani è un disagio che nasce e che cresce nel periodo dell’adolescenza e della preadolescenza in quanto è un meccanismo dinamico che può diminuire ma allo stesso tempo crescere in base alle risposte che i giovani ricevono dall'esterno. È proprio su questo ambiente esterno che dobbiamo porre particolare attenzione a quelli che sono i fattori di "rischio" spesso la causa delle difficoltà. Tali fattori di rischio li ritroviamo in quelli che sono i normali ambienti di vita dei ragazzi, come la famiglia, gli amici, la scuola, il tempo libero, il lavoro. Attualmente nel mondo giovanile e adolescenziale emerge una forte perdita di identità, di valori, in quanto i modelli di riferimento (genitori, scuola, mondo degli adulti), proiettano sui giovani stessi uno stato di disagio. Si registra in sostanza l'esistenza di un profondo malessere nella vita quotidiana dei giovani. Partendo quindi da un'analisi dei bisogni e dalle risposte che i servizi pubblici offrono, nasce l'esigenza di ampliare e diversificare gli interventi per e con i giovani stessi.
Negli ultimi anni si è resa evidente l’esistenza di una specificità del tema “giovani e lavoro” e il disagio che essi vivono, che ha portato al centro dei dibattiti e delle politiche governative la formazione e le politiche per l’occupazione come strumenti per la transizione giovanile. Le analisi mostrano tuttavia che siamo ancora lontani dall’avere a disposizione strumenti adeguati per affrontare l’entità del problema.
In questa difficile fase di passaggio da una economia industriale a una economia basata sulle attività terziarie, dall’economia nazionale all’economia globalizzata caratterizzata da profondi mutamenti nei metodi di produzione ed organizzazione del lavoro, con conseguenti stravolgimenti demografici, sono le giovani generazioni a subire la maggior parte degli oneri dovuti ai cambiamenti.
I giovani si trovano di fronte a tali e tante incertezze e difficoltà da rappresentare oggi una categoria sociale a rischio. La mancanza di lavoro stabile e quindi di autonomia economica fa registrare un ritardo sempre maggiore dell’uscita dei giovani dalla famiglia di origine e allontana sempre più la prospettiva di formazione di un proprio nucleo familiare e di mettere al mondo dei figli. Infatti il fenomeno della denatalità ha raggiunto livelli senza precedenti e rappresenta un segnale di forte disagio sociale e di disgregazione.
Disoccupazione e precarietà
I giovani e il mercato del lavoro
I ricorrenti e costanti mutamenti sociali hanno modificato la nostra percezione del concetto di “giovani” che, negli ultimi anni, risulta essere molto dilatato a causa dei mutamenti comportamentali imposti dagli andamenti sociali ed economici.
Oggi quando si parla di giovani, in qualsiasi ambito, si fa riferimento ad una fascia di età che oramai sfiora, e frequentemente supera, i 30 anni. È del tutto evidente che individuare il target della fascia cui ci si riferisce è fondamentale per poter fare una programmazione di interventi mirati.
L’attuale crisi economica sta caratterizzando quest’ultimo periodo con una forte recessione economica senza precedenti che scarica gran parte del suo peso sulle fasce più deboli ed in partìcolar modo sui giovani.
Le aziende in difficoltà hanno reagito con l’espulsione di lavoratori adulti e la riduzione del turn over, azioni di fatto che non hanno permesso il ricambio generazionale sui posti di lavoro con un conseguente aumento del tasso di disoccupazione giovanile. A bloccare tale ricambio occupazionale contribuiscono anche le difficoltà del sistema pensionistico (Riforma Fornero).
Con l’entrata in vigore del cosiddetto “pacchetto Treu” contenente misure per l’occupazione giovanile è stato introdotto nel panorama del lavoro il concetto di flessibilità, ritenendo che la differenziazione delle tipologie di inserimento lavorativo potesse garantire un livello maggiore di occupati, invece l’applicazione di tali istituti ha fatto registrare una sempre maggiore condizione di diffusa precarietà e flessione dell’occupazione.
Tale condizione ha generato una diffusa sfiducia che ha di fatto ritardato l’inizio della ricerca del lavoro e alimentato una minore disponibilità ad accettare lavori non adeguati alle proprie aspettative, che di fatto si è tradotto in un periodo di prolungata formazione e permanenza nelle ormai denominate “aree di parcheggio formativo” che, benché utili, non rappresentano una prospettiva di inserimento lavorativo nonostante l’alta specificità e professionalità raggiunta.
La situazione è particolarmente difficile ma in particolar modo critica nel Mezzogiorno dove sempre più flessibilità è uguale a precarietà. Non si può non riconoscere che l’utilizzo delle tipologie contrattuali flessibili, pur avendo sostenuto l’occupazione per diversi anni, in particolare quella giovanile e femminile, ha portato con sé una dose di crescente insicurezza, soprattutto tra i giovani. Quando i periodi di lavoro flessibile si susseguono e si prolungano oltremodo nella vita di uno stesso soggetto scatta la trappola della precarietà. L’ingresso del concetto di flessibilità nel mercato del lavoro italiano avvenuta dal 1997 in poi ha evidenziato un crescente numero di transizioni da un posto di lavoro all’altro ed il rischio della permanenza in lavori non stabili, che condiziona i progetti di vita creando instabilità e ritardando le scelte di emancipazione dalla famiglia di origine e di procreazione.
La crisi economica attuale ha prodotto una disoccupazione senza precedenti. Il tasso di disoccupazione giovanile sfiora ormai il 40% della popolazione attiva in età da lavoro. C’è disomogeneità nei dati relativi alla distribuzione dei disoccupati nelle diverse aree geografiche del nostro paese, concentrati per lo più ovviamente al sud.
Alla luce di questo quadro allarmante e preoccupante, che non riguarda solo i giovani, sono state introdotte ulteriori norme in materia per promuovere l’occupazione e favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, prevedendo, da un lato, incentivi all’occupazione, oltre a quelli già introdotti dalla Legge 92/2012 e dall’altro modificando la flessibilità in entrata, come il contratto a termine, il contratto intermittente, il part-time, ecc…, inoltre il Decreto Legge n.76 del 28 giugno 2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99), prevede incentivi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato di giovani lavoratori che saranno riconosciuti per le assunzioni avvenute a partire dal 7 agosto 2013, e fino al 30 giugno 2015, subordinatamente alla verifica da parte dell'Inps della capienza delle risorse finanziarie.
L’incentivo, è riconosciuto per le assunzioni di lavoratori di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, che siano privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi ovvero siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale.
Le modalità di intervento sono essenzialmente tre:
- l’assunzione di giovani con meno di trent’anni
- la stabilizzazione di coloro che già lavorano ma con contratti precari
- la possibilità di assumere con contratti “atipici” cioè precari accorciando i tempi di inattività tra un contratto ed un altro portandoli da 10-20 giorni rispetto ai 60-90 attuali
Questo strumento normativo, non certamente risolutivo, è un’azione positiva nella strategia di contrasto alla disoccupazione a cui si dovranno accompagnare altre misure di incentivo alle aziende per investire nelle nuove tecnologie, onde poter garantire gli attuali livelli occupazionali e creare nuovi posti di lavoro, facilitando l’accesso alla ripartizione delle risorse dei Fondi strutturali tra i territori nazionali, stanziate dall'articolo 1, comma 12, del citato DL n. 76, nonché ai fondi europei stanziati e non sempre utilizzati dall’Italia.
Si può pensare così di mettere in piedi una serie di strumenti per poter affrontare questa emergenza economica e sociale, ripartendo dal lavoro e dalla sua centralità , considerando per esempio la flessibilità, una condizione d’ingresso, che ha come tappa successiva la trasformazione del lavoro flessibile in un rapporto stabile.
La certezza del lavoro è certamente una condizione che incide positivamente nella vita delle persone e a maggior ragione nella vita di un giovane che deve guardare al suo futuro con fiducia sapendo che l’impegno e il lavoro sono la cura per allontanare il disagio.
Ormai il nucleo forte del diritto del lavoro protegge i pochi ed esclude i molti. I pochi sono le generazioni mature e i gruppi già forti, mentre i molti sono le generazioni giovani, i lavoratori marginali, gli immigrati, i deboli – Prof. Massimo D'Antona, Rivista Critica di Diritto del Lavoro, 1996
[*] Consigliere d’Amministrazione della Fondazione Prof. Massimo D’Antona.
La Dr.ssa Annunziata Elia è anche Funzionario della Direzione Territoriale del Lavoro di Salerno. Ogni considerazione è frutto esclusivo del proprio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’amministrazione di appartenenza ai sensi della circolare del Ministero del Lavoro del 18 marzo 2004.
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