L’addio al lavoro a progetto
Disciplina della collaborazione a progetto dalla legge Biagi al Jobs Act
di Adele Martorello [*]
L’istituto del lavoro a progetto, inteso quale collaborazione coordinata e continuativa collegata ad un progetto, ad un programma o fase di esso determinato dal committente e gestito autonomamente dal collaboratore, è stato introdotto dal D.Lgs. n. 276/2003 con gli articoli 61 e ss. Prima della riorganizzazione delle forme contrattuali, attuata con il D.Lgs. n. 81 del 2015, era una delle forme principali di lavoro autonomo. La finalità perseguita dal legislatore con l’introduzione della fattispecie era quella di impedire che lo strumento della collaborazione coordinata e continuativa venisse utilizzato per eludere le tutele previste per il lavoro subordinato ritenendo di dover vincolare la genuinità della collaborazione alla configurazione di un progetto, di un programma o di una fase di programma. All’uopo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è intervenuto con la circolare n.1 dell’8 gennaio 2004, ove dettava le prime modalità operative dell’istituto stabilendo che le collaborazioni coordinate e continuative, che si realizzavano attraverso il contratto a progetto, oltre al requisito principale (il progetto, il programma o una fase di esso) che rappresentava un modo organizzativo della prestazione, dovevano essere caratterizzate da autonomia rispetto al committente, dalla coordinazione con lo stesso (anche in termini temporali, nel senso che l’esecuzione deve intervenire all’interno di quanto pattuito) e dalla irrilevanza del tempo impiegato rispetto alla esecuzione della prestazione. Venivano così fissati gli elementi che distinguono tale tipologia rispetto al rapporto di lavoro subordinato ed al contratto d’opera.
Ma nella prassi l’istituto del lavoro a progetto, così come concepito dalla legge Biagi, si prestava a diventare uno strumento elusivo delle tutele del lavoratore, dissimulando rapporti di lavoro che, per le modalità di esecuzione, erano riconducibili a prestazioni con vincolo di subordinazione. Alla luce delle esperienze applicative la legge n. 92/2012 aveva introdotto sostanziali novità e, con l’intento di contrastare l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità che sono stati progressivamente introdotti nell’ordinamento, aveva posto maggiori vincoli sul progetto rendendolo meno appetibile. Così aveva previsto disincentivi normativi e contributivi, nonché una definizione più stringente del progetto o dei progetti che costituiscono l'oggetto della collaborazione coordinata e continuativa assimilando sempre più la co.co.pro al lavoro subordinato. La disciplina di dettaglio aveva abolito dal concetto di progetto il riferimento al programma di lavoro o alla fase di esso; il progetto doveva essere funzionalmente connesso al conseguimento di un risultato finale e non poteva più consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale dell’impresa committente.
In ordine alla quantificazione del compenso, rispetto all’art. 63 D.Lgs. n. 276/2003, in base al quale il compenso doveva essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto, la legge n. 92/2012 aveva mantenuto fermo il principio di proporzione fra qualità e quantità del lavoro prestato e compenso, modificando però i parametri a cui bisognava fare riferimento per verificare la sussistenza della proporzionalità ed affidando alla contrattazione collettiva l’individuazione dei minimi di compensi dei collaboratori a progetto per ciascun settore di attività, precisando però che, in mancanza di tale contrattazione, le parti non potessero indicare nel contratto individuale un compenso inferiore (a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione) alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali applicati a figure affini a quelle del collaboratore.
Tale previsione, evidentemente antifraudolenta, da un lato obbligava il committente a non corrispondere un compenso assolutamente inadeguato, dal momento che la remunerazione di un collaboratore a progetto non poteva essere, almeno di regola, inferiore a quanto percepito da un lavoratore subordinato che svolgesse mansioni analoghe, dall’altro rendeva reso il contratto a progetto certamente meno appetibile rispetto al passato, imponendo al datore di lavoro di non decidere liberamente il compenso, ma di attenersi ai minimi contrattuali.
Nell’ottica di salvaguardare e tutelare la posizione dei lavoratori in maniera più stringente, in particolare in ordine alla conversione del contratto a progetto in lavoro subordinato, la legge Fornero era intervenuta sulla disciplina precedente sotto due profili, in primo luogo chiarendo che l’esistenza del progetto e la sua indicazione costituiva un elemento di validità del contratto e che la sua mancanza comportava la costituzione automatica di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il committente, quindi, convenuto in giudizio per difetto di deduzione del progetto, non poteva eccepire ulteriori indici volti a configurare l’esistenza dello stesso, atteso che la mancanza di un elemento essenziale del contratto non poteva essere compensata dalle modalità di svolgimento della prestazione. In secondo luogo, stabilendo la sanzione della conversione del contratto di lavoro a progetto in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto, laddove l’attività del collaboratore si svolgesse con modalità analoghe a quella prestata dai lavoratori dipendenti dall’impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni più rappresentative sul piano nazionale.
Nell’intento di limitare ulteriormente l’impiego del contratto a progetto il Decreto Occupazione ha introdotto specifiche modifiche alla regolamentazione dello stesso ed ha sancito l’incompatibilità dell’istituto con attività caratterizzate dalla mera attuazione di quanto impartito dal committente (“compiti meramente esecutivi”) e con attività elementari tali da non richiedere specifiche indicazioni di carattere operativo (compiti meramente ripetitivi”). Ha inserito la forma scritta del contratto non più “ai fini della prova,” ma ad substantiam, con la conseguenza che l’indicazione in forma scritta diviene tassativa ai fini della validità dello stesso. Ha esteso ai lavoratori a progetto la disciplina della convalida delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro e delle dimissioni, già prevista dalla Riforma Fornero per i lavoratori subordinati. Collegato a tali aspetti e deterrente all’utilizzo del detto tipo contrattuale è stato l’incremento, stabilito a partire dal 2013, dell’aliquota contributiva, in modo da allinearla, gradualmente, a quella applicata ai lavoratori subordinati.
La nuova normativa
Il 25 giugno 2015, in attuazione della delega contenuta nella legge n. 183/2014, il Governo ha varato il D.Lgs. n. 81/2015 abrogando gli articoli da 61 a 69 bis del D.Lgs. n. 276/2003; conseguentemente a partire dalla data di entrata in vigore del decreto, non possono più essere attivate le collaborazioni coordinate e continuative a progetto. È stato abrogato anche l’art.69-bis, introdotto con la Riforma del 2012, che prevedeva alcune ipotesi al ricorrere delle quali un lavoratore autonomo titolare di partita Iva, si presumeva essere, fino a prova contraria, un collaboratore coordinato e continuativo, e quindi, stante l’assenza di un progetto, un lavoratore subordinato. La disciplina del contratto a progetto continuerà a trovare applicazione solamente ai contratti già in essere al 25 giugno 2015, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2015. Infatti, in linea col principio contenuto nell’art.1 del D.Lgs. n. 81/2015, secondo cui il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune del rapporto di lavoro, l’art. 2 del decreto stesso afferma che dal prossimo 1° Gennaio 2016 si applicherà la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che risulteranno carenti di autonomia operativa in quanto “si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e luoghi di lavoro”.
La norma introduce una presunzione di subordinazione con nuovi indicatori che sostituiscono quelli precedentemente previsti per sanzionare gli abusi.
- Prestazione svolta in modo esclusivamente personale: resa, cioè, dal collaboratore senza una minima organizzazione e/o senza avvalersi dell’apporto sia pure minimo di altri (il lavoratore non ha collaboratori e non può farsi sostituire);
- Prestazione svolta in via continuativa quando la prestazione perdura nel tempo e comporta un impegno costante e abbastanza lungo del prestatore a favore del committente;
- Modalità di svolgimento della prestazione etero organizzata dal committente: al collaboratore deve essere lasciata piena ed assoluta autonomia operativa con facoltà di decidere tempi e luogo di lavoro. Al contrario se dovesse risultare inserito nell’organizzazione del proprio committente, al collaboratore verranno estese le specifiche tutele previste dall’art. 2094c.c., ancorchè lo stesso non sia sottoposto al potere direttivo, disciplinare e di controllo del proprio committente.
Ciò significa che, nel caso in cui le modalità di esecuzione della prestazione, a prescindere da quanto pattuito dalle parti (quindi anche se qualificate da un progetto), siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, nel senso che è l’azienda a decidere il “quando” e “dove” lavorare, allora non c’è alcuna presunzione relativa da verificare, si applicherà la disciplina del lavoro subordinato con tutti gli istituti normativi, retributivi e contributivi. Viceversa, se il collaboratore avrà di fatto la libertà di decidere il “se”, il “quando” e il “dove” lavorare, allora si sarà in presenza di un reale rapporto di lavoro autonomo che potrà avere come oggetto anche un’attività continuativa e a tempo indeterminato, senza la necessità di predeterminare uno specifico risultato. Ciò che prima, invece, non era possibile. È da evidenziare che, a differenza di altre norme che in passato hanno dato automatismi analoghi, il legislatore ha posto l’attenzione anche sul profilo organizzativo, inquadrando la fattispecie nell’ambito del lavoro subordinato, non solo nel caso in cui il lavoro sia diretto dal datore di lavoro, ma anche con riferimento ai tempi e al luogo di prestazione, aprendo quindi a un maggior rischio nella sottoscrizione di tali rapporti.
L’Esecutivo ha sottratto alla suindicata disciplina alcune collaborazioni:
- quelle per le quali gli accordi collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedano discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del settore. Trattasi del contratto collettivo dei lavoratori dei call-center, ma la disposizione non esclude altre forme di intervento in settori del tutto particolari;
- quelle prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali si rende necessaria l’iscrizione in albi professionali;
- quelle prestate dai componenti degli organi di amministrazione e di controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
- quelle rese, a fini istituzionali, in favore delle società sportive dilettantistiche e delle associazioni affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal CONI, come individuati e disciplinati ex art. 90 della legge n. 289/2002.
Si tratta delle stesse ipotesi derogatorie già escluse dalla disciplina dei contratti a progetto, a eccezione dei percettori di pensione di vecchiaia che, pertanto, dal 1°gennaio 2016, non potranno più svolgere collaborazioni coordinate e continuative in cui le relative modalità di svolgimento siano determinate dal committente anche con riferimento ai tempi e luoghi di lavoro. Tali deroghe permettono di sottoscrivere contratti di collaborazione in questi ambiti senza timore di conversione degli stessi.
Disciplina dei contratti a progetto
in corso
Visto che il prefato regime si applicherà a partire dal 1 gennaio 2016, quid iuris per i contratti a progetto in corso. Quelli che rispondono, in pieno, ai criteri fissati dagli articoli 1 e seguenti del D.Lgs. n. 276/2003 e che non sono caratterizzati da etero direzione ed etero organizzazione, ad avviso di chi scrive, possono, se le parti non procedono ad una risoluzione consensuale, continuare fino alla realizzazione del progetto. Per gli altri, per i quali c’è più di un dubbio legato alla sussistenza dei requisiti (la prestazione dedotta implica un coordinamento spazio temporale da parte del committente), il legislatore delegato offre più soluzioni:
- La prima è quella di procedere entro il 31 dicembre 2015 alla sostituzione con contratti di lavoro subordinato. In questo caso il datore di lavoro potrà beneficiare dello sgravio contributivo previsto dalla dall’art. 1, comma 118, della legge n. 190/2014 senza avere l’effetto previsto dall’art. 54, cioè l’estinzione degli illeciti contributivi, amministrativi e fiscali, ma sarà libero di recedere dal rapporto di lavoro subordinato quando vuole.
- La seconda possibilità è di continuare il contratto a progetto fino al 31 dicembre 2015, e successivamente al 1° gennaio 2016 procedere alla stipulazione di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. In questo caso il datore di lavoro non usufruisce dei vantaggi economici derivanti dall’esonero contributivo disciplinato dall’art. 1, comma 118, della legge n. 190/2014 (sconto contributivo fino a 8.060 euro per i prossimi tre anni), attualmente limitato alle assunzioni effettuate entro il 31 dicembre 2015, ma ottiene l’effetto di sanare gli illeciti amministrativi, contributivi (che comprendono sia quelli previdenziali che quelli assicurativi) e fiscali connessi ad una eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro, a meno che gli stessi siano stati già accertati a seguito di ispezioni effettuate in data antecedente l’assunzione dagli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro, degli Istituti, della Guardia di Finanza o dell’Agenzia delle Entrate.
Tale sanatoria è sottoposta a due condizioni:
1) sottoscrizione di un verbale di conciliazione davanti alle commissioni di conciliazione delle Direzioni Territoriali del Lavoro, o sindacali, alle commissioni di certificazione o davanti al Giudice, avente ad oggetto la rinuncia da parte del lavoratore a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del precedente rapporto di lavoro;
2) l’impegno assunto dal datore di lavoro, nei dodici mesi successivi alle assunzioni, a non risolvere i rapporti instaurati, se non per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. - La terza opzione è di conservare il rapporto di lavoro a progetto anche dopo il 31 dicembre 2015. In questo caso il rapporto sarà disciplinato fino al 31 dicembre dagli articoli da 61 a 69 bis D.Lgs. n. 276/2003 (che contiene all’art.69 una presunzione assoluta di subordinazione in mancanza di progetto). Dal 1° gennaio 2016 dovrebbe essere disciplinato dalla nuova norma dell’art.2 per la quale, ai rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e luogo di lavoro, “si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato”. Quindi il rapporto pur instaurato prima se nella modalità si svolgimento si realizzerà con le caratteristiche stabilite dalla norma (cioè l’organizzazione da parte del committente del tempo e del luogo di lavoro) non sarà sottoposto alla disciplina del lavoro autonomo ma a quella del lavoro subordinato.
Resta da chiedersi come sia regolato un rapporto di collaborazione continuativa e coordinata stipulato tra il 25 giugno 2015 e il 31 dicembre 2015. Si ritiene che non sia applicabile né la vecchia disciplina (quella che imponeva il progetto) né la nuova normativa che entrerà in vigore soltanto dal 1° gennaio 2016. Una sorta di zona grigia dove le regole tornano ad essere quelle del codice civile, ove soltanto le collaborazioni che rientrano nei requisiti di cui all’art. 2094 saranno ricondotte nell’alveo del lavoro subordinato.
Conclusioni
Alla luce di quanto sopra evidenziato il Decreto legislativo in commento non si è limitato ad abrogare le disposizioni inerenti il contratto a progetto, che non può essere stipulato, ma è intervenuto drasticamente anche sulle collaborazioni. A questo proposito vale la pena rammentare che proprio nel 2001 “il Libro Bianco sul Mercato del Lavoro in Italia”, ancorché in una logica di incremento di flessibilità in ingresso, prospettava l’introduzione del lavoro a progetto con la specifica finalità di bonificare il mercato del lavoro dalle collaborazioni coordinate e continuative, spesso fonti di abusi frodatori della legislazione posta a tutela del lavoro subordinato”.
L’attuale riforma, in controtendenza con l’orientamento precedente, ha allargato la platea dei collaboratori. Infatti l’art. 409 c.p.c., pur espunto dall’art. 52, è una disposizione presente nel nostro ordinamento ed è, in primis, una norma di diritto processuale, in quanto individua la competenza del Giudice del lavoro per la cognizione di una serie di rapporti. Esso afferma che oltre ai rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale rientrano nella giurisdizione di quest’ultimo “altri rapporti di collaborazione che si concretano in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.
A tutto questo va aggiunta la permanenza nell’ordinamento dell’art. 2222 c.c. Pertanto, ad avviso di chi scrive, sono finiti i contratti di collaborazione a progetto e ciò che ad essi è strettamente correlato con le norme successive all’art. 61 del D.Lgs. n. 276/2003 (le co.co.co. fino a 30 giorni, le collaborazioni rese nell’ambito dei servizi di cura alla persona per un massimo di 240 ore annue, le collaborazioni dei pensionati di vecchiaia) ed è anche venuto meno quel sistema di tutele minimo legato alla disciplina dei contratti a progetto in caso di gravidanza, malattia o infortunio che offrivano al lavoratore maggiori garanzie rispetto alla disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative.
V’è da dire parimenti che, alla luce della previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 1, la riforma è intervenuta riconducendo nell’alveo della “subordinazione” una serie di collaborazioni, anche a progetto, nelle quali risulta fortemente condizionante la etero direzione ed organizzazione da parte del committente e rispetto alle quali la legislazione ha recepito gli orientamenti pressochè unanimi consolidati della magistratura nell’ultimo decennio.
Non v’è certezza che tale impianto legislativo sarà sufficiente a prevenire controversie sull’esatto inquadramento delle collaborazioni nell’ambito del lavoro autonomo o subordinato. In tal caso si svilupperà una nuova giurisprudenza che, comunque, dovrà tener conto dei nuovi indicatori previsti dalla legge per sanzionare gli abusi.
[*] Avvocato. Funzionario ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in servizio presso la DTL di Cosenza. Le considerazioni qui contenute sono frutto esclusivo del libero pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l`Amministrazione di appartenenza.
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