Le pari opportunità e il ruolo della donna nel mercato del lavoro

di Erminia Diana [*]

Oppedisano Diana 2 2Diverse e molto complesse sono le norme che disciplinano le “pari opportunità” in tutti gli ambiti della vita sociale, ma per quanto riguarda le pari opportunità nel lavoro si ritiene fondamentale il contenuto del D.Lgs. 25 gennaio 2010, n. 5. Il decreto ha recepito la “Direttiva 2006/54/CE riguardante il principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego”. La norma, che ha integrato il Codice delle pari opportunità, raggruppa, coordina e uniforma tutte le direttive previgenti, su parità U/D; pari opportunità U/D e si contrappone alla discriminazione di genere. Obiettivo del provvedimento è evitare disparità di trattamento tra uomini e donne nel mondo dell’occupazione e combattere ogni forma di disparità e discriminazione che, com’è noto, ancora persiste negli ambienti di lavoro.

Il decreto prevede il divieto di discriminazione per ragioni connesse al sesso, allo stato di gravidanza, di maternità o paternità, anche adottive. Vengono garantiti l’accesso al lavoro, la parità di trattamento economico per la medesima mansione, la mobilità verticale nella carriera.

Vengono inclusi, tra i fattori discriminanti, i trattamenti di sfavore subiti da chi ha rifiutato comportamenti indesiderati o molestie sessuali, espresse a livello fisico, verbale o non verbale, che violano la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e creano un clima intimidatorio e offensivo. Sanzionabili anche le discriminazioni cosiddette “indirette”, ossia quelle provocate da disposizioni, prassi, atteggiamenti in apparenza neutri che mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro sesso.

Si interviene, inoltre, sul cosiddetto “gender pay gap” ossia sul divario salariale di genere vietando qualsiasi discriminazione, diretta o indiretta, relativa alle retribuzioni, sanzionando i datori di lavoro che operano discriminazioni.

Per quanto riguarda l’accesso alle prestazioni previdenziali, viene riconosciuto alle lavoratrici il diritto di proseguire il rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini. È inoltre prevista la possibilità che associazioni e organizzazioni sindacali rappresentative del diritto o dell’interesse leso possano costituirsi in giudizio, ed è riconosciuta la tutela giudiziaria non solo alle vittime, ma anche a coloro che pagano per aver difeso una persona discriminata.

La norma, inoltre, potenzia gli organismi di parità.

Trai diversi organismi particolare rilievo assume l’azione svolta dai consiglieri di parità che hanno il compito di intraprendere qualsiasi iniziativa volta al rispetto del principio di non discriminazione nonché alla promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici (art. 15 D.Lgs. n. 198 del 11/4/2006).

Le consigliere di parità hanno altresì il compito di collaborare con le Direzioni Territoriali del Lavoro per l’individuazione di procedure atte a rimuovere le discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro.

Particolarmente rilevante è il ruolo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che nel rispetto di quanto previsto dall’art.1 del D.Lgs. n.124/2004:

  • assume e coordina, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni ed alle province autonome;
  • assume le iniziative di contrasto del lavoro sommerso e irregolare, di vigilanza in materia di rapporti di lavoro e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento allo svolgimento delle attività di vigilanza mirate alla prevenzione e alla promozione dell’osservanza delle norme di legislazione sociale e del lavoro, ivi compresa l’applicazione dei contratti collettivi di lavoro e della disciplina previdenziale.


Per la parte che compete più specificatamente l’argomento, svolge attività di vigilanza, tutela e promozione delle pari opportunità secondo l’art.4, comma 17 della Legge n. 92/2012, che disciplina le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro che sono sottoposte ad una condizione sospensiva legata alla convalida delle stesse. Al riguardo, è richiesta una seconda manifestazione di volontà del lavoratore: la prima non produce effetti se non è seguita dalla seconda.

Ruolo fondamentale ed esclusivo delle DTL nella convalida delle dimissioni/risoluzioni consensuali di lavoratori o lavoratrici genitori di minori di età inferiore ai 3 anni.


Le consigliere di parità hanno il compito di intraprendere qualsiasi iniziativa volta al rispetto del principio di non discriminazione ed alla promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici (art. 15 D. Lgs. n. 198 del 11 aprile 2006). Spetta ad esse promuovere progetti di azioni positive, rilevare situazioni di squilibrio svolgendo funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni nell’accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, ivi compresa la progressione professionale e di carriera.

Competenza fondamentale è, altresì, promuovere la connessioni tra la programmazione delle politiche di sviluppo territoriale e gli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunità.

Numerose sono le direttive della Comunità Europea in materia di pari opportunità, ma grande valore assumono le sentenze della Corte di Giustizia Europea che al riguardo ha svolto un ruolo importante nella promozione della parità tra uomini e donne. Particolarmente importante è la sentenza Defrenne II dell’8 aprile 1976 (causa 43/75) con la quale la Corte ha riconosciuto l’effetto diretto del principio della parità della retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile, stabilendo che tale principio riguarda non solo le pubbliche autorità, ma vale del pari per tutte le convenzioni che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato.


Diana 12 1Altra sentenza fondamentale è la sentenza Bilka del 13 maggio 1986 (causa 170/84) con la quale la Corte ha stabilito che una misura volta a escludere i dipendenti a orario ridotto da un regime di pensioni aziendali costituisce una «discriminazione indiretta» ed è pertanto in contrasto con l’ex articolo 119 qualora colpisca un numero molto più elevato di donne che di uomini. La sentenza fa salva la situazione di detta esclusione qualora la stessa si basi su fattori obiettivamente giustificati ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso.

Incide profondamente sulle pari opportunità di genere la sentenza Barber del 17 maggio 1990 (causa 262/88) con la quale la Corte ha riconosciuto che tutte le forme di pensione professionale costituiscono un elemento della retribuzione a norma dell’articolo 119, e che pertanto ad esse si applica il principio di pari trattamento, stabilendo che i lavoratori di sesso maschile devono poter accedere ai diritti di pensione o di pensione di reversibilità alla stessa età delle colleghe di sesso femminile.

Con la sentenza Marshall dell’11 novembre 1997 (causa C-409/95) la Corte ha dichiarato che una norma nazionale che imponga di dare la precedenza nella promozione ai candidati di sesso femminile («discriminazione positiva») nei settori in cui la presenza maschile è maggiore rispetto a quella femminile non è vietata dalla legislazione comunitaria, a condizione che tale vantaggio non venga applicato automaticamente e che i candidati di sesso maschile siano comunque presi in considerazione, senza essere esclusi a priori dalla possibilità di presentare domanda.

Con la sentenza Test-Achats del 1° marzo 2011 (causa C-236/09) la Corte ha dichiarato l’invalidità dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2004/113/CE, stabilendo che esso è contrario al principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura. Pertanto, ai fini della determinazione dei premi e delle prestazioni assicurative, agli uomini e alle donne deve essere applicato lo stesso sistema di calcolo attuariale.

Da tanto emerge come da più tempo la Corte abbia risolto concretamente problematiche attualmente disciplinate dalle norme. Buona parte delle sentenze sono state pronunciate in un periodo nel quale erano notevoli le capacità del mercato del lavoro di assorbire personale di ambo i sessi.

Ciò necessita la descrizione di un quadro generale delle pari opportunità inteso in forma allargata e riferito alle opportunità di genere nell’attuale stato di crisi, ha come maggiore riferimento il ruolo della donna nel mondo del lavoro soprattutto in relazione alla profonda crisi economica che attraversa il nostro paese e che ha in parte vanificato i progressi in precedenza ottenuti per quanto riguarda le pari opportunità. La necessità di rafforzare garanzie in materia di parità di genere si è dimostrato essere una necessità. Al riguardo, Michelle Bachelet, dirigente di UN Woman, ha sostenuto che garantire le pari opportunità diventa una strategia economica vantaggiosa e ciò può avvenire solo se si valorizzano le diversità.

Con particolare riferimento al ruolo della donna, se esaminiamo il fenomeno dell’occupazione a livello globale prima della crisi economica, dai dati risulta che le disuguaglianza tra uomini e donne si erano ridotte, ma dal 2007 si è registrato un incremento delle disuguaglianze. È quanto emerge dai diversi rapporti dell’ILO prodotti in collaborazione con UnWomen e lo scenario cambia in maniera significativa tra le varie regioni.


Nei paesi industrializzati la crisi ha colpito maggiormente gli uomini che lavorano nel settore del commercio rispetto alle donne che lavorano nel settore sanitario, dell’istruzione, della cura degli anziani. Grazie a quest’ultimo settore spesso la donna apporta l’unica fonte di reddito in famiglia a causa del dilagare della disoccupazione negli altri settori e della perdita di chance da parte dell’uomo. Nel contempo parliamo di segregazione femminile, ossia del basso tasso di femminilizzazione dell’occupazione, poiché le donne che lavorano non sono distribuite in modo uniforme tra le diverse attività economiche, ma si concentrano prevalentemente in occupazioni scarsamente remunerative e compatibili con la gestione delle responsabilità domestiche. Ciò denota come sia necessario investire sul capitale umano femminile per incentivare le politiche di desegregazione.

La segregazione per settori professionali si manifesta con la maggiore rappresentatività delle donne nel settore dei servizi e del terziario ed in particolare nel ramo dell’istruzione, della sanità e dei servizi sociali, mentre le donne sono scarsamente rappresentate nell’artigianato, nell’industria e nelle professioni tecniche intermedie.

L’analisi sulla segregazione per titoli di studio dimostra come le donne in Italia hanno ormai raggiunto la maggioranza assoluta dei laureati (52%). È marcata la concentrazione per ambiti disciplinari: è massima nel settore linguistico e letterario, mentre è minima nel settore medico, agrario e soprattutto dell’ingegneria. Di contro, dal punto di vista scolastico emerge negli ultimi anni un maggiore inserimento della componente femminile, anche in ambiti di prevalenza maschile.

Diana 12 2Dal punto di vista dell’offerta di lavoro molta influenza nelle scelte è data dalla natura biologica ossia dalla predisposizione e dalla necessità di far fronte alle esigenze familiari che comportano divisioni di ruoli nella coppia. La prima causa è la maternità ed i tempi destinati alla cura della famiglia.

Le misure necessarie devono combattere gli stereotipi di genere perché da un lato hanno effetti negativi per le donne in relazione alle loro aspettative, per i datori di lavoro perché distorcono l’investimento in capitale umano e per l’economia perché riducono l’efficienza del sistema e le sue prospettive di sviluppo.

In Italia parliamo di carenza di politiche e di servizi alle famiglie e all’infanzia in contrapposizione al sistema del welfare dei paesi scandinavi dove è diversa la struttura del sistema del welfare che offre migliore assistenza per la cura dei bambini, degli anziani e delle persone non autosufficienti e agevola la conciliazione tra impegni familiari e impegno del lavoro.

Il nostro è uno strano paese nel quale grande importanza si attribuisce al ruolo della famiglia nella società e poi si trascurano i modi e gli strumenti con i quali questo ruolo può essere sostenuto. In Italia il 22% delle donne occupate in gravidanza non lavorano più a due anni dal parto, nel mezzogiorno addirittura il 29%, il 43% delle donne con figli piccoli lamenta la difficoltà di conciliare carriera e maternità. La maggior parte ricorre ai nonni e in secondo luogo ai nidi pubblici e soprattutto privati.


Tra le tante e doverose misure che si possono adottare, una è contenuta nella legge n. 92 del 2012 e prevede per la madre lavoratrice che al termine della maternità obbligatoria rientra al lavoro, in alternativa al congedo parentale, un voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting o di un contributo, click day, per la retta di asili pubblici o privati accreditati, dell’importo di 300 euro mensili per sei mesi.

Poiché la norma non ha ottenuto il successo sperato, si è pensato di promuovere una novità da attuare in tempi brevi: la madre che rientra al lavoro può richiedere, senza più dover rincorrere al click day, un contributo da utilizzare per pagare la baby sitter o per l’asilo nido pubblico o privato accreditato. L’importo da erogare passa da 300 euro mensili a 600; il beneficio verrà esteso anche alle lavoratrici del pubblico impiego, prima escluse. Ciò permetterà l’utilizzo dei fondi non utilizzati negli anni precedenti evitando che siano impiegati per scopi diversi.


Se ne deduce che è estremamente necessario informare le donne su questi strumenti di sostegno, che uniti alle tutele tradizionali contribuiscono a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del paese secondo i principi sanciti nell’art. 3 della nostra costituzione. Quadrato Arancione

[*] Funzionario area amministrativa e giuridico contenzioso, responsabile dell’Area pianificazione e controllo direzionale della Direzione Territoriale del Lavoro di Cosenza. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.


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