Dai CO.CO.CO alle attività eterorganizzate

di Armando Fiorito [*]

Armando FioritoL’art. 2 comma 1 D.Lgs. n. 81/2015, rubricato “collaborazioni ‘organizzate’ dal committente”, estende la disciplina del lavoro subordinato, a far data dal 1° gennaio 2016, non già a tutte le collaborazioni coordinate e continuative di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c., bensì soltanto ad una parte di queste e, segnatamente, ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Tutte le collaborazioni che siano semplicemente “coordinate”, ma non già organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, nonché tutte le collaborazioni che siano “prevalentemente” e non già “esclusivamente” personali, sembrano pertanto escluse dalla riconduzione alla disciplina del lavoro subordinato.

Il criterio della “coordinazione”, infatti, non sembra coincidere pienamente con quello, di nuova introduzione, della “etero-organizzazione” dello spazio e dei tempi della prestazione. Del pari, il carattere “prevalentemente personale” non pare coincidere perfettamente con quello della “esclusiva” personalità della prestazione.

Pertanto, più che superare le collaborazioni parasubordinate l’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015 sembra delimitare all’interno di queste una categoria più ristretta di rapporti di collaborazione, quelli organizzati (o, meglio, etero-organizzati) dal committente, cui si applicherà appunto, a far data dal 1° gennaio 2016, la disciplina del lavoro subordinato.

L’universo della parasubordinazione viene in tal modo diviso in due aree:
a) da una parte, l’area delle (ormai tradizionali) collaborazioni coordinate, ma non organizzate dal committente, che non vengono ricondotte al lavoro subordinato e che, al tempo stesso, vengono private anche delle scarne tutele previste dalla abrogata disciplina del lavoro a progetto;
b) dall’altra, l’area delle collaborazioni eteroorganizzate dal committente, attratte dalla disciplina e dalle tutele del lavoro subordinato.

La prima area, quella delle collaborazioni coordinate ma non organizzate dal committente, continua ad avere piena cittadinanza nel nostro ordinamento. E ciò non solo e non tanto perché l’art. 52 comma 2 fa salvo espressamente l’intero art. 409 c.p.c., ma anche, e soprattutto, perché nessuna norma ne sancisce l’eliminazione o il divieto (similmente a quanto era avvenuto con il combinato disposto ex artt. 61 e 69 comma 1 D.Lgs. n. 276/2003).

In mancanza di un divieto, l’autonomina privata individuale potrà (ricominciare a) servirsi sia di schemi contrattuali tipici (ad esempio il contratto di agenzia) sia di schemi contrattuali atipici ai sensi dell’art. 1322 comma 2 c.c. per regolare rapporti di collaborazione autonoma che si concretino in una prestazione d’opera coordinata, continuativa ed a carattere prevalentemente personale[1].

Anzi, le collaborazioni coordinate, purché solo prevalentemente personali ovvero non “etero-organizzate”, sono oggi in un certo senso legittimate dalla disposizione che riconduce alcune di queste, dotate di tutti i caratteri della norma, al lavoro subordinato (o quantomeno applica quella disciplina tipica).

È forse in quest’ottica che potrebbe essere letta la possibilità delle parti, prevista dall’art. 2 comma 3, D.Lgs. n. 81/2015, di certificare “l’assenza dei previsti dal comma 1”: certificare che una collaborazione continuativa non presenta i requisiti previsti dal comma 1 (e, tra questi, il requisito della etero-organizzazione spazio-temporale della prestazione) equivale a certificare che la collaborazione è coordinata ma non anche esclusivamente personale ed etero-organizzata.

Il mancato superamento delle collaborazioni coordinate e continuative è accompagnato peraltro da esiti del tutto inaspettati, poiché si restituiscono al mondo della parasubordinazione gli orizzonti che gli erano propri prima della riforma ex D.Lgs. n. 276/2003. Venuta meno, infatti, la disciplina del lavoro a progetto (e quindi l’obbligo di specificazione del progetto e di un termine alla durata della collaborazione), potranno essere posti in essere rapporti di collaborazione parasubordinata senza l’individuazione di un progetto e, per di più, a tempo indeterminato.

La seconda area, quella delle collaborazioni etero-organizzate dal committente, viene delimitata attraverso il riferimento a tre requisiti, uno tradizionale, la continuità, e due di nuova introduzione, l’esclusiva personalità della prestazione e l’etero-organizzazione da parte del committente dei tempi e del luogo della prestazione. In presenza di (tutti) questi tre requisiti la collaborazione viene assoggetta, a far data dal 1° gennaio 2016, alla disciplina del lavoro subordinato, salvo le eccezioni previste dall’art. 2 commi 2 e 4. La tecnica definitoria fatta propria dall’art. 2 comma 1 (rapporti di collaborazione che “si concretano”) evoca quella dell’art. 409 n. 3 c.p.c. e permette di affermare che, ai fini dell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, non è necessaria un'esatta qualificazione della natura del rapporto instaurato dalle parti, ma è sufficiente accertare che esso si traduca in una prestazione di lavoro a) esclusivamente personale, b) continuativa e c) organizzata dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.


Fiorito 14 1L’esclusiva personalità della prestazione di lavoro caratterizza i rapporti di collaborazione etero organizzati dal committente e li distingue dai rapporti di collaborazione coordinata, nei quali la prestazione non è esclusivamente ma solo “prevalentemente” personale.

La prevalente personalità della prestazione delle collaborazioni coordinate postula che il collaboratore sia privo di una organizzazione di tipo imprenditoriale[2], la quale si configura, secondo la dottrina, in presenza della organizzazione di lavoro altrui e di capitale[3]. In assenza di una struttura di tipo imprenditoriale, la giurisprudenza ha tuttavia ritenuto sussistente il requisito della prevalente personalità sia quando il collaboratore coordinato si avvalga dell’apporto lavorativo altrui[4], purché tale apporto sia suvvalente rispetto alla propria attività personale, sia quando il collaboratore utilizzi, nell’espletamento della propria prestazione lavorativa, beni strumentali (Cass. 19/4/2002, n. 5698), anche di valore ingente[5].

L’uso di beni strumentali allo svolgimento di un’attività, infatti, non integra necessariamente una struttura di tipo imprenditoriale e può caratterizzare la figura del lavoratore autonomo che è colui che auto-organizza i beni strumentali strettamente necessari all’esplicazione delle proprie energie lavorative[6].

L’esclusiva personalità dei rapporti di collaborazione organizzati dal committente, giustapposta alla prevalente personalità dei rapporti di collaborazione coordinata, irrigidisce il carattere personale della prestazione e potrebbe indurre ad escludere qualsiasi forma di auto-organizzazione, anche minima, del lavoro altrui e/o di beni strumentali da parte del lavoratore. In quest’ottica potrebbe forse essere letto addirittura l’inciso dell’art. 2 comma 1, ove si stabilisce che la prestazione di lavoro deve essere (etero) organizzata dal committente “anche” con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Come a dire che a fini dell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato è necessario che la prestazione di lavoro sia interamente etero-organizzata, con conseguente esclusione, in radice, non solo della possibilità che il collaboratore si avvalga dell’apporto lavorativo altrui ma anche della possibilità che il collaboratore (auto) organizzi beni strumentali di qualsiasi valore[7].

Del resto, se è vero che la ratio legis della riforma va ricercata nell’estensione della disciplina del lavoro subordinato a forme di collaborazione morfologicamente contigue alla subordinazione (cfr. relazione illustrativa allo schema di decreto delegato), non è strano che si escludano da tale estensione quei lavoratori autonomi che, auto organizzando beni strumentali, appaiono (morfologicamente) poco contigui ai lavoratori subordinati.

Il requisito della continuità, pur se riferito alla prestazione di lavoro e non già all’opera, consente di annoverare i rapporti di collaborazione organizzata dal committente fra i rapporti di durata in senso tecnico[8]. Questo consente di ritenere integrato il requisito in questione non solo quando oggetto della prestazione di lavoro sia la realizzazione di più opera o la ripetizione, nel tempo, dello stesso opus ma anche quando la prestazione si sostanzi nella ripetizione di un servizio o nella realizzazione di più servizi che si sostanzino in un facere a carattere continuativo in senso tecnico.

L’ultimo requisito, quello della (etero) organizzazione da parte del committente delle modalità di esecuzione spazio-temporali della prestazione, è certamente quello più importante e innovativo.

Si tratta, non vi è dubbio, di un potere ambiguo e difficilmente riconducibile alle categorie esistenti.

L’ambiguità deriva dal fatto che ogni attività, per poter essere qualificata come impresa, deve essere, ai sensi dell’art. 2082 c.c., oltre che professionale ed economica, anche organizzata.

L’imprenditore, dunque, è, per definizione, colui che organizza, coordinandoli fra loro, i fattori produttivi capitale e lavoro proprio e/o altrui[9]. Un dato peraltro da tempo acquisito da una parte della dottrina è che il lavoro altrui organizzato dall’imprenditore può essere, indistintamente, sia subordinato sia coordinato[10].

In quest’ottica, come non è possibile immaginare attività di impresa senza organizzazione di fattori produttivi, così non è possibile immaginare una prestazione di lavoro (subordinata o coordinata) funzionalmente collegata all’impresa che non sia, al tempo stesso, organizzata dall’imprenditore attraverso l’esercizio di un potere di organizzazione che, secondo l’opinione prevalente, è sempre e per intero riconducibile alla volontà delle parti[11] e si traduce, a sua volta, nell’esercizio di poteri il cui contenuto varia in funzione del tipo di contratto con cui viene regolata la prestazione lavorativa immessa nell’impresa[12].

Da qui ha tratto l’ambiguità del nuovo criterio: sia il potere direttivo sia il potere di coordinamento sono poteri di organizzazione della prestazione lavorativa immessa nel ciclo produttivo. Nel primo caso il potere si traduce in ordini specifici che determinano in modo vincolante le modalità per l’esecuzione e la disciplina del lavoro.

Nel secondo caso si traduce nel potere di conformazione della prestazione dovuta, le cui modalità di esecuzione vengono definite consensualmente nel contratto oppure concordate di volta in volta dalle parti nell’esecuzione del rapporto[13].

Non è peraltro estraneo al potere di coordinamento del committente la possibilità di impartire al lavoratore autonomo istruzioni vincolanti. Ed infatti nel rapporto di agenzia e in quello di rappresentanza commerciale, assimilati dalla legge al lavoro coordinato, il creditore della prestazione lavorativa (rispettivamente, committente e mandante) impartisce istruzioni vincolanti per l’agente (cfr. art. 1746 c.c.) e per il mandatario (cfr. art. 1711 c.c.).

Da ciò, come noto, si è dedotto che il potere del committente di impartire istruzioni vincolanti al lavoratore autonomo differisce da quello direttivo poiché solo quest’ultimo ha l’attitudine ad incidere sulle modalità per l’esecuzione e la disciplina del lavoro[14]. Alla luce di ciò ben si comprende che il potere di organizzazione del committente richiamato nell’art. 2 comma 1 costituisce un’assoluta novità. Questo requisito, infatti, evoca l’esistenza in capo al committente di un potere unilaterale di impartire al lavoratore istruzioni vincolanti che incidono sulle modalità di esecuzione spazio-temporali della prestazione[15].

Come a dire che la disciplina del lavoro subordinato si applica soltanto nell’ipotesi in cui il committente ha un potere unilaterale di imporre, al momento dell’instaurazione del rapporto o durante il suo svolgimento, le modalità di esecuzione sia con riferimento al tempo sia con riferimento al luogo della prestazione.

La novità di un simile potere, ben inteso, non è rappresentata dal potere di dare istruzioni vincolanti al prestatore d’opera, potere, come prima osservato, già riconosciuto dalla legge e dalla dottrina. La novità dirompente, e difficile da ricondurre a sistema[16], è l’attitudine (estranea alla tradizionale nozione di coordinamento) di questo potere organizzativo del committente di incidere unilateralmente sulle modalità di esecuzione spazio-temporali della prestazione.

In tal modo, infatti, il potere di organizzazione del committente travalica i confini del mero coordinamento e sembra risolversi in un potere assai prossimo al potere direttivo, che non a caso, almeno una parte della giurisprudenza[17], ha ritenuto sussistere anche in presenza di istruzioni di carattere generale. Nell’affermare ciò non si vuole ridurre la novità normativa alla qualificazione in termini di lavoro subordinato di rapporti che, almeno secondo una parte della giurisprudenza, subordinati già lo erano.

La novità normativa, viceversa, potrebbe consistere nella considerazione che il legislatore, a ben vedere, si disinteressa della qualificazione del rapporto (l’importante è che il rapporto si concreti) per stabilire un principio semplice: se il lavoratore è privato della possibilità effettiva di auto organizzare il tempo e il luogo della prestazione, a prescindere dalla corretta qualificazione della natura del rapporto, esso ha diritto a vedersi riconoscere le tutele del lavoro subordinato.

In altri termini, per applicare lo statuto protettivo del lavoro subordinato, non è necessario procedere alla esatta qualificazione del rapporto e alla sua sussunzione nell’art. 2094 c.c.[18], magari attraverso il faticoso e incerto ricorso ai tradizionali indici sintomatici.

Viceversa, è sufficiente che il lavoratore, quand’anche in ipotesi autonomo, sia chiamato ad eseguire una prestazione lavorativa con vincoli spazio-temporali eteroimposti che comprimono il suo potere di auto organizzazione.

In conclusione, le collaborazioni (etero) organizzate dal committente sono rapporti di lavoro di incerta natura che il legislatore assoggetta allo statuto protettivo del lavoro subordinato in ragione delle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, la quale, quand’anche in ipotesi autonoma, è resa in un contesto di soggezione all’organizzazione altrui e, quindi, di privazione della auto organizzazione. Quadrato Azzurro

Fiorito 14 3Note

[1] G. Santoro Passarelli, Diritto dei lavori e dell’occupazione, Giappichelli, 2015, pag. 442.

[2] Cass., ord., 19.4.2011, n. 8940.

[3] G. Campobasso, Manuale di Diritto Commerciale, Utet, 2013, pag. 15.

[4] Cass. 19.4.2002, n. 5698.

[5] Cass. 26.11.1988, n. 6398.

[6] G. Campobasso, cit., pag. 15.

[7] cfr. D. Mezzacapo, L’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato alle collaborazioni organizzate dal committente, in Giustizia Civile.com, n. 9/2015, pag. 10.

[8] G. Oppo, I contratti di durata, RDComm, 1943, I, 144 ss. e, Id., I contratti di durata, RDComm, 1943, II, 17 ss.

[9] G. Campobasso, cit., 14.

[10] fra tanti v. M. Marazza, Saggio sull’organizzazione del lavoro, Cedam, 2001, pag. 165.

[11] M. Marazza, cit., pag. 233.

[12] G. Santoro-Passarelli, cit., pag. 447.

[13] G. Santoro-Passarelli, Il lavoro parasubordinato, cit., pag. 166 e ss.; M. V. Ballestrero, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, cit., pag. 41.

[14] G. Santoro-Passarelli, Il lavoro parasubordinato, cit., pag. 166 e ss.

[15] D. Mezzacapo, cit., pag. 11 e ss.

[16] A. Perulli, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 272/2015, pag. 33.

[17] Cass. 8/7/2013, n. 16935; Cass. 4/10/2011, n. 20265; Cass. 5/8/2010, n. 18271.

[18] ma vedi L. Nogler, La subordinazione nel d.lgs. n. 81 del 2015: alla ricerca dell’«autorità del punto di vista giuridico», in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 267/2015, pag. 16 e ss.

[*] Il dott. Armando FIORITO, già avvocato ed Ispettore del Lavoro in servizio presso la DTL di Cosenza. Le considerazioni contenute nel presente scritto è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

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