Effemeridi - Felicità perduta
PIllole di satira e costume
di Fadila
Ho letto sulla stampa la graduatoria delle nazioni più felici sulla faccia della terra stilata da un organismo dell’ONU basandosi su parametri di carattere economico, sociale e ambientale. Ne avevo sentito parlare e pensavo senza ombra di dubbio che noi italiani saremmo stati ai primi posti se non proprio avanti a tutti. Nessuno vanta le bellezze paesaggistiche come le nostre, cui si aggiunge un clima che i nordici ci invidiano. Di beni culturali, monumenti, siti archeologici e opere d’arte, ne abbiamo a bizzeffe. Per non parlare della cucina e della moda che non hanno uguali. Il made in Italy, insomma, amato da tutti tranne i francesi sempre sciovinisti e legati alle glorie di un tempo che fu. È vero che oggi c’e la crisi economica, accompagnata da altri flagelli, ma questo vale per tutto il pianeta, salvo forse qualche eccezione.
Chi ha la cultura del bello, pensavo, non può che essere felice. Invece, con mia grande sorpresa in graduatoria ci hanno messo al cinquantesimo posto, addirittura dopo l’Uzbekistan e poco più avanti del Kazakistan e la Nigeria, nonostante la mia sicurezza che il massimo della felicità di questi popoli fosse la realizzazione del desiderio di poter un giorno venire da noi. Pertanto il mio primo giudizio è stato quello di considerare i soloni che hanno redatto la classifica, incapaci o invidiosi.
Purtroppo mi sbagliavo e l’abbaglio mi è stato chiaro qualche giorno fa quando ho incontrato un amico che non vedevo da tempo. Lo chiamavo con affetto Cicciobello per il suo viso rubizzo, sereno ed eternamente sorridente. Ora, invece, il suo sguardo emanava tristezza e preoccupazione, una metamorfosi totale per via della moglie, in preda a un’angoscia profonda dovuta al timore di essere rapinata o, peggio ancora, assassinata. Così era corso ai ripari istallando un allarme la cui sirena per la sua potenza faceva tremare le vene agli abitanti dell’intero caseggiato circostante; poi le telecamere in ogni angolo fuori e dentro l’abitazione, ma tutto questo non era servito a niente.
Tutto inutile, dunque, perché la paura era rimasta tal quale, alimentata giorno dopo giorno, a sentir lui, dalla televisione che è diventata la centrale nazionale che alimenta la paura di massa. Preso dalla curiosità e dai dubbi sulle sue affermazioni, ho voluto verificare l’asserto e per un certo periodo ho deciso di sorbirmi questo strumento. Quel che ho visto è stato peggio di ogni aspettativa. Dalla mattina alla sera, ormai, è un susseguirsi di programmi quasi fotocopia, nelle reti pubbliche e private, in cui non solo si da notizia di tutte le malefatte che avvengono nel nostro paese, ma tale tristo argomento diventa il filo conduttore di programmi e spettacoli dal gusto veramente macabro.
Nell’arco di gran parte della giornata negli studi televisivi si avvicendano gli ospiti, personaggi lugubri che, senza questa sciagurata moda ormai imperante, sarebbero rimasti nell’ombra delle loro professioni: criminologi, psicologi, sociologi e chi più ne ha, più ne metta. Hanno il compito e il cattivo gusto di spiegare per filo e per segno l’evento in ogni singolo, sanguinolento dettaglio: quante coltellate e in quali parti del corpo il poveretto o la poveretta hanno ricevuto; quanto sangue versato; quante mazzate il povero vecchietto ha ricevuto nel corso della rapina e così via. Ciò vale anche per gli stupri e per tutte le altre cattiverie del mondo. Nello studio, le immagini si alternano ad accesi dibattiti tra ‘esperti’ colpevolisti, i più, e innocentisti simili a mosche bianche.
Tra i primi spicca la bionda belloccia dal ghigno indagatore e supponente che tutto e tutti condanna, Di fronte a lei il dantesco Minosse ‘che giudica e manda secondo ch’avvinghia’ fa la figura di un dilettante. I rari innocentisti hanno l’aspetto tapino, su cui è stampata la consapevolezza della propria sconfitta. Lo stesso caso delittuoso passa da un programma all’altro e per chi non ha familiarità con questo argomento sembra che l’Italia sia diventata il luogo privilegiato per i delitti più efferati.
Abbandonato questo filone, ho provato a rifarmi la bocca con qualche spettacolo leggero, di varietà. Peggio che mai. Showgirl, si fa per dire, la cui età si può tranquillamente collocare tra i sessanta e gli ottanta. Un tempo, oggetto dei nostri desideri, oggi figurine patetiche il cui pesante, necessario trucco intristisce ancor più la situazione. Sembra che da noi non ci siano più giovani belle e talentuose. Che rimpianto per gli spettacoli degli anni settanta e ottanta, quando imperava Arbore e compagnia, carichi di gioia, bellezza e soprattutto ironia, frutto di intelligenza e coraggio della dirigenza televisiva dell’epoca, mentre oggi è tutto una tristezza, l’opposto della felicità. Tutto sommato, chi ha stilato la graduatoria in parola è stato fin troppo benevolo con noi.
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