Lavoro di pubblica utilità come alternativa al carcere
di Tiziano Argazzi [*]
1. Premessa
Nel sistema penale italiano il lavoro di pubblica utilità (nel seguito LPU) è regolato da una pluralità di norme, riguardanti fattispecie e situazioni eterogenee ma accomunate dal comune denominatore della individuazione di pene alternative al carcere. Il LPU, all’inizio ricompreso fra le pene accessorie, dal 2000 con l’assegnazione al Giudice di Pace di alcune competenze in materia penale[1] ha acquisito i caratteri di pena principale e poi, successivamente anche di pena sostitutiva della pena principale a favore di soggetti tossicodipendenti come meglio si vedrà in seguito. Quindi il LPU nelle intenzioni del legislatore è uno strumento sanzionatorio multiforme ad ampio spettro utilizzabile con grande frequenza per situazioni e finalità fra loro oltremodo diverse. Nel 2014 l’interesse verso tale tipologia di sanzione penale alternativa al carcere è stato ribadito. Infatti all’articolo 1 della Legge 28.04.2014 n. 67 recante “Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili” è stato previsto che per i reati dove è prevista la pena dell’arresto fino a cinque anni il giudice, sentiti l’imputato ed il pubblico ministero, possa applicare anche la sanzione del LPU. La stessa legge inoltre ha ribadito che il LPU non possa essere inferiore a dieci giorni e deve consistere nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni o presso Enti od Organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato.
Il LPU può anche rientrare nel programma di trattamento del detenuto ammesso al lavoro all’esterno ai sensi dell’art. 21, comma 4 - ter dell’ordinamento penitenziario recentemente introdotto dal D.L. 1 luglio 2013, n. 78, convertito nella legge 9.08.2013 n. 94. Per quest'ultima tipologia la competenza è dell'istituto di pena dove la persona è detenuta[2].
Il citato comma testualmente prevede che “I detenuti e gli internati di norma possono essere assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito, tenendo conto anche delle loro specifiche professionalità e attitudini lavorative, nell'esecuzione di progetti di pubblica utilità in favore della collettività da svolgere presso” i soggetti detti. I detenuti e gli internati possono essere inoltre assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito a sostegno delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi. L'attività è in ogni caso svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dei detenuti e degli internati. Ma procediamo con ordine.
2. LPU come pena accessoria
La prima apparizione dell’istituto risale al 1981 quando con la c.d. legge di “depenalizzazione”[3] è stato sancito (art. 102 co.2) che nel caso in cui la pena pecuniaria da convertire non fosse superiore ad un milione di lire, la stessa – a richiesta del condannato - potesse essere convertita in lavoro sostitutivo[4].
Tale tipologia di lavoro (art. 105) consisteva, come già detto in premessa “nella prestazione di un’attività non retribuita, a favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, o presso Enti, organizzazioni o corpi di assistenza, di istruzione, di protezione civile e di tutela dell'ambiente naturale o di incremento del patrimonio forestale, previa stipulazione, ove occorra, di speciali convenzioni da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, che può delegare il magistrato di sorveglianza”.
Tale attività doveva svolgersi, di norma, nell'ambito della provincia in cui il condannato risiedeva, per una giornata lavorativa per settimana, salvo che lo stesso soggetto avesse chiesto di essere ammesso ad una maggiore frequenza settimanale”.
Successivamente il D.L. n. 122/1993[5] ha introdotto la possibilità per il giudice, di condannare l’autore del delitto di costituzione di un'organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (art. 3 della Legge 13.10.1975 n. 654) e di istigazione, tentativo, commissione o partecipazione a fatti di genocidio (Legge 9.10.1967 n.962) allo svolgimento, quale pena accessoria (da aggiungersi quindi alla pena principale) di una attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità.
Il LPU come pena accessoria trova poi ulteriore riconoscimento nel 2004 quando viene introdotto nel codice penale e nello specifico nell’art. 165 concernente gli “Obblighi del condannato” come meglio precisato nel successivo paragrafo 5.
3. LPU come pena principale
Come si è già avuto modo di evidenziare è solo nel 2000 che il LPU assume i caratteri di pena principale. Ciò avviene con il D.Lgs. n. 274/2000 ed in particolare con l’art. 54 con cui viene dapprima stabilito, comma 1, che “il giudice di pace può applicare la pena del LPU solo su richiesta dell’imputato”[6] e poi, comma 2, che il medesimo LPU non può essere inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi e consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. Detta attività viene svolta nell'ambito della provincia in cui risiede il condannato[7] e comporta la prestazione di non più di sei ore di lavoro settimanale da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato.
È appena il caso di rilevare che, in ragione dell’art. 55 del medesimo provvedimento, la conversione in LPU può avvenire solo su richiesta del condannato ed a condizione che a causa dell’insolvibilità dello stesso non sia stato possibile eseguire la pena pecuniaria[8].
4. Determinazione delle modalità di svolgimento del LPU
In ragione di quanto stabilito dal comma 6 del precitato art. 54 che reca “Norme per la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità applicato in base all’art. 54, comma 6, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n° 274”[9] è stato emanato il DM 26.03.2001. L’art. 1 prevede che il LPU abbia ad oggetto prestazioni di lavoro:
- a favore di organizzazioni di assistenza sociale o volontariato operanti, in particolare, nei confronti di tossicodipendenti, persone affette da infezione da HIV, portatori di handicap, malati, anziani, minori, ex-detenuti o extracomunitari;
- per finalità di protezione civile, anche mediante soccorso alla popolazione in caso di calamità naturali, di tutela del patrimonio ambientale e culturale, ivi compresa la collaborazione ad opere di prevenzione incendi, di salvaguardia del patrimonio boschivo e forestale o di particolari produzioni agricole, di recupero del demanio marittimo e di custodia di musei, gallerie o pinacoteche;
- in opere di tutela della flora e della fauna e di prevenzione del randagismo degli animali;
- nella manutenzione e nel decoro di ospedali e case di cura o di beni del demanio e del patrimonio pubblico ivi compresi giardini, ville e parchi, con esclusione di immobili utilizzati dalle Forze armate o dalle Forze di polizia;
- altre attività di pubblica utilità pertinenti la specifica professionalità del condannato.
Le attività (che sono tassativamente non retribuite) sono svolte sulla base di convenzioni da stipulare con il Ministero della Giustizia o, su delega di quest’ultimo, con il Presidente del tribunale, nell’ambito e a favore delle strutture esistenti in seno alle amministrazioni, agli enti o alle organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. Le convenzioni disciplinano nel dettaglio le attività in cui può consistere il LPU e vengono individuati i soggetti incaricati, presso le amministrazioni, gli enti o le organizzazioni interessati, di coordinare la prestazione lavorativa del condannato e di impartire a quest’ultimo le relative istruzioni.
Le medesime convenzioni individuano altresì le modalità di copertura assicurativa del condannato contro gli infortuni e le malattie professionali nonché riguardo alla responsabilità civile verso i terzi, anche mediante polizze collettive. I relativi oneri sono posti a carico delle amministrazioni, delle organizzazioni o degli enti dove vengono inseriti i condannati ammessi ai LPU. Durante lo svolgimento di dette prestazioni l’ente, l’associazione e l’organizzazione dove vengono svolti i LPU debbono assicurare il rispetto delle norme e la predisposizione delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale dei condannati, curando altresì che l’attività prestata sia conforme a quanto previsto dalle precitate convenzioni. In nessun caso l’attività può svolgersi in modo da impedire l’esercizio dei fondamentali diritti umani o da ledere la dignità della persona. Vengono inoltre garantiti ai condannati impegnati nei LPU le stesse condizioni praticate per il personale alle dipendenze delle amministrazioni, degli enti e delle organizzazioni interessati relativamente a trattamento terapeutico e misure profilattiche e di pronto soccorso.
5. LPU come pena sostitutiva
Nel 2005 con un provvedimento legislativo volto al contrasto del traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti e psicotrope (art. 73 co. 5 bis D.P.R. 309/1990) e poi nel 2010 per la guida sotto l’effetto dell’alcool (art. 186 co. 9 bis D.Lgs. n. 285 del 1992 “Codice della Strada” come modificato dalla Legge n. 120/2010) è stata introdotta la possibilità, a certe determinate condizioni, di sostituire la sanzione detentiva e pecuniaria applicata con il LPU.
Per quanto concerne la prima fattispecie, l’art. 73 comma 5 bis del DPR n. 309/1990 - applicabile solo in presenza di reati “commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope” - indica chiaramente che la “sostituzione” può avvenire solo contestualmente alla pronuncia della sentenza di condanna o di patteggiamento[10].
Da ciò discende che la richiesta dell’imputato deve essere formulata in via preventiva e comunque prima che il giudice emetta la sentenza di condanna. Il fatto illecito, per essere meritevole di applicazione della suddetta sostituzione, deve essere ascrivibile fra quelli di lieve entità di cui al comma 5 del medesimo art. 73[11].
Invece relativamente alla guida in stato di ebbrezza, gli artt. 186 co. 9 bis e 187 co. 8 bis del Codice della Strada, così come modificati dalla Legge n. 120/2010, contemplano la possibilità di sostituire le pene dell’arresto e dell’ammenda con il LPU sempre che non ricorra l’aggravante dell’incidente stradale provocato e che il condannato non abbia già usufruito di tale “sostituzione”.
Per quanto invece riguarda la sospensione condizionale della pena, il giudice, in ragione dell’art. 165 CP, nel disporre la sospensione condizionale della pena può “condizionarla”, se il condannato non si oppone, allo svolgimento di una “prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate nella sentenza di condanna”[12]. In tal modo vengono, di fatto, dichiarati applicabili gli art. 44 e 54 (commi 2, 3, 4 e 6) del D.Lgs. 274/2000 e le relative convenzioni. Tale fattispecie però, a parere di chi scrive, ricorre solo con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
6. Guida in stato di ebbrezza e LPU
Infine alcune parole sulla possibilità per i condannati per guida in stato di ebbrezza (art. 186 comma 9 bis del Codice della Strada) di sostituire le pene classiche dell’arresto e dell’ammenda con la pena del LPU di cui all’art. 54 del D.Lgs n. 274/2000. La sanzione viene disposta dal giudice su richiesta dell’imputato, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art 444 del CPP (patteggiamento). Con la sentenza di condanna il giudice (e non il condannato) individua il tipo di attività, nonché l’ente o l’amministrazione (scegliendola fra quelle che hanno sottoscritto apposita convenzione con il Tribunale), dove deve essere svolto il LPU.
Interessanti sono gli effetti premiali (validi anche per la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e psicotrope) che hanno portato ad una significativa rivitalizzazione dell’istituto. Infatti in caso di svolgimento positivo dell’attività di pubblica utilità, il giudice dichiara l’estinzione del reato, dimezza il periodo di sospensione della patente di guida e revoca la confisca (obbligatoria) del veicolo condotto dal reo e posto sotto sequestro. Per tale fattispecie il LPU, in deroga a quanto stabilito dall’art. 54 del DPR n. 274/2000 ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro (inteso come due ore di lavoro di pubblica utilità) per LPU.
Al riguardo giova sottolineare che, per il condannato, è fondamentale la puntuale ottemperanza degli obblighi connessi allo svolgimento del LPU. Infatti, per la fattispecie descritta in questo paragrafo, l’avvio del LPU costituisce una sorta di “messa in prova” del condannato, il quale potrebbe adempiere con successo ai propri obblighi (in tale ipotesi vi sarebbe l’estinzione del reato con connessa revoca della confisca del veicolo e riduzione alla metà della sospensione della patente) oppure violare le prescrizioni impartite dal giudice determinando la revoca della sanzione sostituita. Va da sé che la revoca non è automatica. Infatti il giudice che procede o quello dell'esecuzione, d’Ufficio o a richiesta del pubblico ministero, con le formalità di cui all'articolo 666 del CPP (Procedimento di esecuzione), tenuto conto dei motivi, della entità e delle circostanze della violazione, può disporre la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente e della confisca del veicolo. Avverso tale provvedimento è ammesso ricorso per Cassazione, che però non ha effetto sospensivo.
Da ultimo si evidenzia che non tutti i condannati per guida in stato di ebbrezza possono usufruire del LPU. Infatti la norma pone due condizioni ostative: la prima è di avere provocato un incidente stradale in ciò ricomprendendo non solo la collisione fra due veicoli ma anche qualunque situazione che esorbiti dalla normale marcia del veicolo in area aperta alla pubblica circolazione, con pericolo per l'incolumità altrui e dello stesso conducente [Cassazione penale sezione IV - sentenza 16.02.2012 n. 6381]. E quindi nella nozione di incidente stradale sono da ricomprendersi sia l’urto del veicolo contro un ostacolo sia la sua fuoriuscita dalla sede ed anche qualsiasi significativa turbativa del traffico potenzialmente idonea a determinare danni [Cass. Pen., Sez. IV, 31 ottobre 2012, n. 42488]. La seconda è di avere in precedenza già prestato attività di LPU.
Note
[1] D.Lgs. 28.08.2000 n. 274 “Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468”;
[2] L’Ordinamento penitenziario è disciplinato dalla Legge 26.07.1975 n. 354 recante «Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà» più volte modificato ed integrato da ultimo dalla Legge 16.04.2015 n. 47.
[3] Legge 24.11.1981 n. 689 recante “modifiche al sistema penale” artt. 102 – 105. La Corte Costituzionale con sentenza n.206/1996 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 102, nella parte in cui non consente che il lavoro sostitutivo, a richiesta del condannato, sia concesso anche nel caso in cui la pena pecuniaria da convertire sia superiore ad un milione di lire;
[4] la conversione della pena della multa e dell’ammenda nella libertà controllata (per un periodo massimo, rispettivamente, di un anno e di sei mesi) o nel lavoro sostitutivo poteva avvenire solo in caso di insolvibilità dell’imputato;
[5] D.L. 26.04.1993 n. 122 “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa” convertito con modificazioni nella Legge 25.06.1993 n. 205, art. 1 co. 1 bis;
[6] Nella relazione accompagnatoria al provvedimento, si legge che il Governo sul punto della applicabilità del LPU solo previo consenso del reo, ribadisce la convinzione che la sanzione penale, “proprio perché fondata su un facere, implica il consenso del condannato per conseguire apprezzabili risultati sul terreno dell'effettività. Non è un caso, del resto, che tutti gli ordinamenti (continentali e non) che prevedono questo tipo di sanzione, ne subordinano l'applicazione al consenso del reo, nella convinzione che non sarebbe seriamente immaginabile una sua esecuzione senza l'esistenza di un atteggiamento «collaborativo» del condannato, che costituisce la spia di una volontà di rieducazione e che, nel contempo, legittima appieno l'irrogazione della sanzione detentiva nel caso di violazione della sanzione”;
[7] La Corte Costituzionale, con sentenza n. 179/2013, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del co.3 dell’art. 54 del D.Lgs. n. 274/2000 nella parte in cui non prevede che, “Se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità fuori dall'ambito della provincia in cui risiede”;
[8] L’LPU non potrà essere inferiore a 10 giorni e non superiore a sei mesi. La prestazione “de quo” non potrà eccedere le sei ore di lavoro settimanali da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro. Ai fini della conversione un giorno di LPU equivale a lire venticinquemila di pena pecuniaria;
[9] Le modalità di svolgimento del LPU sono determinate con decreto dal Ministro della Giustizia d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997 n. 281;
[10] Art. 73 co.5 bis DPR n. 309/1990 “Il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell'imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anzichè le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste”;
[11] Art. 73 co.5 DPR n. 309/1990 “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329”.
[12] Art.2 Legge 11.06.2004 n. 145 “Modifiche al codice penale e alle relative disposizioni di coordinamento e transitorie in materia di sospensione condizionale della pena e di termini per la riabilitazione del condannato”.
[*] Tiziano Argazzi è Funzionario attualmente in servizio presso la Direzione Territoriale del Lavoro di Rovigo. Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero personale dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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