Loi travail, i cardini della riforma del mercato del lavoro francese
di Gianluca Meloni [*]
L’origine del Loi travail
Il 25 febbraio 2016 una bozza della riforma del mercato del lavoro predisposta dal Governo francese, presieduto da Manuel Valls, veniva – dopo essere stata diffusa da una fonte anonima – pubblicata sulla stampa francese, inaugurando una fase di dibattito e di aspro confronto sociale. Il 27 febbraio 2016 – il governo – avviando al contempo una vasta campagna informativa - rendeva pubblici i contenuti della proposta, elaborata dalla commissione presieduta da Robert Badinter (ex presidente del Conseil Constitutionnel ed ex Ministro della Giustizia) alla quale, in data 24 novembre 2015, il primo ministro aveva affidato la missione di individuare i nuovi principes fondamentaux del diritto del lavoro francese.
Dopo il confronto con le parti sociali e le organizzazioni studentesche, la proposta di legge è stata presentata in Consiglio dei Ministri lo scorso 24 marzo, dando avvia ad una fase di dibattito, culminata l’8 aprile con l’approvazione di una serie di emendamenti che hanno modificato sostanzialmente la prima versione del testo proposto dal governo.
Dopo un tentativo di placare la protesta sociale attraverso un piano (poi ritirato) – di 400 milioni di euro all’anno – finalizzato a contrastare la “precarietà giovanile”, il Primo Ministro Valls, ricorrendo all’art. 49, comma 3, della Costituzione Francese, ha vincolato la sopravvivenza politica del Governo all’esito positivo della votazione sulla proposta di legge, la quale è stata approvata dall’Assemblea Nazionale (ora è al vaglio del Senato) in seguito al voto negativo (del 12 maggio) della mozione di sfiducia presentata dal gruppo Les Républicain.
I contenuti della riforma
Nel Rapport Combrexelle, reso noto il 9 settembre 2015 ed intitolato La négociation collective, le travail et l’emploi, si indicava le necessità di intraprendere un percorso di riforma del mercato del lavoro francese finalizzato, attraverso la revisione del Codice del lavoro, all’introduzione di un meccanismo di derogabilità delle norme legislative previste da parte dei contratti collettivi, operando in tale modo un’ampia delegificazione. Il rapporto indicava tuttavia la necessità di predisporre un nucleo di principes fondamentaux del diritto del lavoro, non derogabili dagli accordi collettivi, in quanto posti a tutela di beni giuridici di estrema rilevanza e esigibili da parte di tutti i lavoratori, a iniziare dalla tutela della dignità, della riservatezza e del salario minimo.
Tali indicazioni sono state recepite nel Rapport Badinter, l’elaborato – costituito da 61 principi fondamentali – posto alla base del Loi travail.
L’aspetto più controverso della riforma riguarda la materia dell’orario di lavoro, riguardo al quale si dà la precedenza alla contrattazione aziendale su quella di categoria: oltre all’aspetto principale dell’inversione nella gerarchia delle norme, tale intervento incide sul potere contrattuale dei sindacati. In sostanza, le aziende potranno concordare con i sindacati una maggiorazione della retribuzione delle ore di straordinario (cioè al di là della trentacinquesima ora settimanale) più bassa di quella prevista per la categoria (oggi mediamente del 25%), ma comunque non inferiore al 10 per cento.
Un ulteriore cardine della riforma riguarda gli accordi “offensivi”, ossia la possibilità per le aziende di concordare con i sindacati una flessibilità dell’orario di lavoro per fare fronte ad un aumento della domanda - analogamente a quanto già previsto in caso di difficoltà (accordi “difensivi”) – ma senza che la retribuzione mensile possa cambiare, e prevedendo il licenziamento economico per i lavoratori che dovessero rifiutarsi.
Proprio i licenziamenti per ragioni economiche costituiscono uno degli aspetti maggiormente controversi della riforma, che fissa per la prima volta in modo chiaro i criteri che consentono all'impresa – passando per un accordo sindacale - di procedere al licenziamento economico in seguito ad un calo dei ricavi, per periodi temporali di seguito specificati:
- un trimestre per le aziende con meno di 11 dipendenti;
- due trimestri consecutivi per le aziende tra i 11 e 50 addetti;
- tre trimestri per le aziende dai 50 ai 300 lavorator
- quattro trimestri per le aziende con oltre 300 addetti.
L’ultimo elemento di rilievo del Loi travail riguarda il referendum aziendale: nel caso di accordo approvato da uno o più sindacati che abbiano almeno il 30% dei consensi, l'impresa può ricorrere al referendum. In caso di vittoria dei “sì”, l'intesa viene applicata e chi si oppone può essere licenziato (ma per ragioni economiche e non individuali, quindi con un trattamento migliore).
Il confronto con il Jobs Act
La Loi travail promossa dal governo francese è stata da definita da numerosi commentatori il “Jobs act francese”, per via delle presunte analogie con la riforma del mercato del lavoro promossa dall’esecutivo Renzi. In realtà si tratta di due soluzioni differenti, che hanno in comune principalmente la finalità di modernizzare il mercato del lavoro in un’ottica tesa a aumentare la flessibilità in uscita dei lavoratori, in cambio di una più solida tutela dei disoccupati nei percorsi di ricollocazione lavorativa; tuttavia l’impianto in cui si inseriscono le modifiche alla disciplina dei licenziamenti nei due casi è molto differente.
Il percorso di riforma proposto dal governo d’oltralpe ha soppresso l’effetto obbligatorio della tabella indennitaria in caso di licenziamenti illegittimi, che prevedeva un indennizzo crescente in funzione dell’anzianità dei lavoratori, indennizzo che invece è previsto dal contratto a tutele crescenti del Jobs Act.
Nell’ambito delle politiche del lavoro, la legge francese introduce una concezione innovativa di politiche attive, attraverso il meccanismo del conto unico di attività che raggruppa un insieme di tutele ancorato alla persona a prescindere dal suo status professionale. Nel Jobs act era stato previsto uno strumento differente, il contratto di ricollocazione, poi stralciato e sostituito dall’assegno di ricollocazione, una soluzione ancora debole e non inserita organicamente in tutti i percorsi di ricollocazione dei disoccupati.
Vi sono ulteriori diversità tra la normativa italiana e francese, ad esempio con riferimento al differente approccio sul fronte della tecnologia: mentre nel nostro paese si rafforzano i meccanismi di lavoro a distanza – attraverso il “lavoro agile”, in Francia si inizia a regolare quello che è stato definito il “diritto alla disconnessione”.
La principale differenza strategica riguarda però la contrattazione collettiva, con una forte centralità del contratto di categoria che permane in Italia, al contrario del sistema proposto dalla riforma francese, la quale si propone – come sopra descritto - di stabilire la centralità della contrattazione collettiva aziendale lasciando alla legge un ruolo residuale e supplementare.
[*] Laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Cagliari, ha conseguito il Master in Safety Management all'Università di Modena e Reggio Emilia. Da oltre dieci anni si occupa professionalmente di consulenza per il mercato del lavoro - in particolare nell’ambito dello sviluppo dei servizi per l’impiego e dei sistemi informativi – e di innovazione e gestione della conoscenza nelle organizzazioni pubbliche e private. www.innovazionelavoro.it
Seguiteci su Facebook
>