“Mobbing”: manca ancora una norma nazionale, le Regioni provvedono
di Sara Vizin [*]
Il tentativo di fornire una prima definizione del fenomeno “Mobbing” a livello nazionale è stato effettuato dall’INAIL con la celeberrima Circolare n. 71 del 17 dicembre 2003 Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche. Essa, infatti, ha individuato le fondamenta per il riconoscimento medico-legale della fattispecie di quella che non è una malattia vera e propria ma che, in presenza, di determinati fattori scatenanti, può condurre all’insorgere di alcune patologie. Tale Circolare era stata annullata dal TAR del Lazio con Sentenza del 5 maggio 2005 in quanto il “Mobbing” non può essere considerato in via automatica una malattia professionale e perciò indennizzabile dall’Istituto, dovendo sempre essere provata la rigorosa esistenza della causa di lavoro.
Comunque, la Circolare possiede anche il merito di aver introdotto una novità relativa al concetto di causa che è riconducibile anche all’organizzazione aziendale delle attività lavorative: disturbi psichici sono considerati di origine professionale solo se causati, o concausati in modo prevalente, da specifiche e particolari condizioni di incongruenza delle scelte in ambito organizzativo, definite costrittività organizzative [1], quali:
- marginalizzazione dall’attività lavorativa
- svuotamento delle mansioni
- mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata
- mancata assegnazione degli strumenti di lavoro
- ripetuti trasferimenti ingiustificati
- prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto
- prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione ad eventuali condizioni di handicap psico-fisici
- impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie
- inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro
- esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale
- esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.
Oltre a riconoscere le patologie psichiche professionali derivanti da situazioni di costrittività organizzativa, la Circolare ricomprende nell’ambito del rischio tutelato anche il mobbing strategico, definente l’attuazione di una strategia aziendale intenzionale mirante ad indurre il lavoratore al licenziamento per necessità di ridurre il personale o allontanare una persona indesiderata.
Parimenti, essa esclude dal rischio tutelato i seguenti fattori:
- fattori organizzativo/gestionali legati al normale svolgimento del rapporto di lavoro (nuova assegnazione, trasferimento, licenziamento)
- situazioni indotte dalle dinamiche psicologico-relazionali comuni sia agli ambienti di lavoro che a quelli di vita (conflittualità interpersonali, difficoltà relazionali o condotte comunque riconducibili a comportamenti puramente soggettivi che, in quanto tali, si prestano inevitabilmente a discrezionalità interpretative).
Attualmente non esiste in Italia una specifica disciplina sul “Mobbing”. In mancanza di tale quadro legislativo di riferimento e poiché le Regioni possono “intervenire con propri atti normativi anche con misure di sostegno idonee a studiare il fenomeno in tutti i suoi profili e prevenirlo o limitarlo nelle sue conseguenze” (sentenza Corte Cost. n. 359/2003), alcune si sono dotate di legislazione ad hoc, sensibilizzando positivamente l’attenzione sul fenomeno:
- L.R. 11 luglio 2002, n. 16 “Disposizioni per prevenire e contrastare il mobbing nei luoghi di lavoro” [2] della Regione Lazio
- L.R. 11 agosto 2004, n. “Intervento della Regione Abruzzo per contrastare e prevenire il fenomeno mobbing e lo stress psico-sociale sui luoghi di lavoro” [3] della Regione Abruzzo
- L.R. 28 febbraio 2005, n. 18 “Tutela della salute psicofisica della persona sul luogo di lavoro e prevenzione e contrasto dei fenomeni di mobbing” [4] della Regione Umbria
- L.R. 8 aprile 2005, n. 7 “Interventi regionali per l’informazione, la prevenzione e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dalle molestie morali e psico-fisiche nell’ambiente di lavoro” [5] della Regione Friuli Venezia Giulia
- D.G.R. 4 marzo 2008, n. 280 «Adozione “Codice di condotta per la prevenzione di molestie sessuali, discriminazioni e mobbing”» della Regione Puglia
- L.R. 22 gennaio 2010, n. 8 “Prevenzione e contrasto dei fenomeni di mobbing e tutela della salute psico-sociale della persona sul luogo di lavoro” della Regione Veneto
- L.P. 14 marzo 2013, n. 2 “Prevenzione e contrasto del mobbing e promozione del benessere organizzativo sul luogo di lavoro e modificazioni della legge provinciale 18 giugno 2012, n. 13, in materia di pari opportunità” della Provincia Autonoma di Trento.
L’entrata in vigore della Legge 4 novembre 2010, n. 183 Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro ha visto l’adeguamento di Enti pubblici a quanto espresso dall’articolo 21 recante “Misure atte a garantire pari opportunità, benessere di chi lavora e assenza di discriminazioni nelle amministrazioni pubbliche”. Infatti, ha previsto la costituzione di un "Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni" in sostituzione dei comitati per le pari opportunità e dei comitati paritetici sul fenomeno del mobbing, soprattutto in seguito all’emanazione della specifica Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 4 Marzo 2011 contenente le linee guida sulle loro modalità di funzionamento.
A livello di legislazione regionale, gradualmente l’attenzione si è spostata dal fenomeno del “Mobbing” al tema della parità e delle discriminazioni in toto.
Esemplificativa in tal senso, risulta la L.R. 27 giugno 2014, n. 6 Legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere promulgata dalla Regione Emilia Romagna, innovativa per la moltitudine degli aspetti affrontati:
- sistema della rappresentanza paritaria nel sistema elettorale, nelle società controllate e a livello diffuso;
- cittadinanza di genere e rispetto delle differenze, con attenzione anche al linguaggio di genere e lessico delle differenze;
- salute e benessere femminile, in termini di medicina di genere, sport e tempo libero;
- indirizzi di prevenzione alla violenza di genere, con attenzione anche alla prevenzione dei fenomeni della tratta e della riduzione in schiavitù, dei matrimoni forzati e delle mutilazioni genitali femminili;
- lavoro e occupazione femminile per promuovere l'autonomia economica delle donne che hanno subito violenza e contrastare il fenomeno delle donne con fragilità sociale, economica e occupazionale;
- conciliazione e condivisione delle responsabilità sociali e di cura volto alla realizzazione di politiche di conciliazione tra vita lavorativa e familiare, tra tempi di lavoro retribuito, delle relazioni, della cura anche di sé, al fine di migliorare la qualità della vita delle persone e determinare un processo di riequilibrio nei ruoli assunti da donne e uomini nell'organizzazione della società, del lavoro, della sfera privata e familiare;
- rappresentazione femminile nella comunicazione per incentivare un uso responsabile di tutti gli strumenti di comunicazione fin dai primi anni di vita, affinché i messaggi, sotto qualunque forma e mezzo espressi, discriminatori o degradanti, basati sul genere e gli stereotipi di genere siano compresi, decodificati e superati;
- cooperazione internazionale mediante lo sviluppo di relazioni globali per la parità;
- strumenti del sistema paritario declinati in bilanci e statistiche di genere, istituzione di un Tavolo regionale permanente per le politiche di genere e dell’Area d'integrazione del punto di vista di genere e valutazione del suo impatto sulle politiche regionali, di un Centro regionale contro le discriminazioni e convocazione della Conferenza delle elette.
A livello regionale, quindi, esiste un substrato normativo mentre quello che viene ancora meno in un momento economico particolarmente delicato come quello che stiamo attraversando è la paura di investire in persone che vivono situazioni differenti non solo legate a diverse fasi della vita ma anche a genere sessuale, età, razza, disabilità, orientamento sessuale, solo per citarne alcune.
L’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e di non discriminazione rende il contesto di lavoro sano e non conflittuale favorendo l'apporto qualitativo di ogni persona che lavora, donna e uomo. Infatti, promuovere un clima di valorizzazione delle diversità permette di aumentare il benessere di tutti i lavoratori, con ricadute positive in termini di soddisfazione professionale e produttività.
Note
[1] Riduzione degli spazi di decisione individuale inevitabilmente indotta dalle scelte organizzative che introducono elementi di sofferenza emotiva nello svolgimento della funzione lavorativa.
[2] Con sentenza 19 dicembre 2003, n. 359, la Corte Costituzionale ne dichiara l’illegittimità costituzionale.
[3] Con sentenza 27 gennaio 2006, n. 22, la Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità.
[4] Con sentenza 22 giugno 2006, n. 238, la Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità.
[5] Dapprima impugnata, la legge (Corte Costituzionale 22 giugno 2006, n. 239) non contrasta con precetti costituzionali poiché non formula una definizione del mobbing con valenza generale e riguarda soltanto alcuni suoi aspetti non esorbitanti dalle competenze regionali ordinarie e ancor meno da quelle statutarie.
[*] Psicologa del lavoro e delle organizzazioni. Interessata particolarmente a orientamento al lavoro, pari opportunità e stress occupazionale. Attualmente ricopre la carica di Consigliera di Parità della provincia di Gorizia.
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