La tutela dei lavoratori a termine
Comparazione delle norme vigenti in Italia, Francia e Spagna
di Fabio Pulvirenti [*]
Gli studi sul contratto a termine rappresentano, secondo la dottrina, “un tradizionale momento esegetico nella cultura giuslavoristica italiana”[1]. Si tratta di un istituto la cui disciplina ha sempre contraddistinto l’evoluzione del rapporto di lavoro subordinato, dalla primordiale funzione di garanzia della libertà personale e negoziale[2] a quella attuale di lotta alla disoccupazione, passando per quella, che ne ha spesso caratterizzato l’impiego, di aggiramento delle tutele spettanti ai dipendenti a tempo indeterminato. Nel nostro ordinamento il lavoro a termine rappresenta la forma contrattuale fisiologicamente predominante quale canale di ingresso nel mondo del lavoro, sebbene vi siano Stati, a noi vicini dal punto di vista geografico e culturale, che ne fanno un uso ben maggiore.
In Francia ed in Spagna, in particolare, più dell’80% di nuove assunzioni avviene con contratti di lavoro a tempo determinato[3], a fronte del 65% registrato in Italia[4]. Il confronto con questi Paesi è stato stimolato non solo dall’analoga situazione del mercato del lavoro, ma anche dalle reciproche influenze normative, a partire dall’omogenea disciplina del termine finale nel rapporto di lavoro subordinato[5]. Dall’originaria codificazione ottocentesca si è passati ad una continua evoluzione legislativa, che nel nostro ordinamento ha assunto connotati quasi frenetici, solo che si consideri la cadenza praticamente annuale delle ultime riforme in materia di contratto a termine[6].
Il punto di arrivo di questa stratificazione normativa, al momento assestatasi con l’emanazione del D. lgs. n. 81/2015, è rappresentato dall’eliminazione del più importante e tradizionale vincolo all’utilizzo del contratto a tempo determinato quale fattispecie derogatoria rispetto alla forma comune di assunzione sine die, ossia l’obbligo di preventiva giustificazione dell’apposizione del termine[7]. L’abbandono del principio di causalità, anche se non rappresenta un unicum nel panorama europeo[8], si pone in netta controtendenza rispetto alla Francia ed alla Spagna, che sono rimasti saldamente ancorati alla tecnica normativa consistente nella definizione dei motivi oggettivi di ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato[9]. La scelta di assecondare il più possibile le richieste di duttilità e flessibilità imprenditoriali è parsa necessaria al nostro legislatore in un’ottica di «semplificazione» e di «rilancio dell’occupazione», ma l’analisi comparata, sul punto, fa emergere un eccesso dei mezzi approntati rispetto ai fini perseguiti. L’obiettivo di stimolare nuova occupazione, infatti, costituisce ormai da anni un caposaldo delle politiche del lavoro in Francia ed in Spagna, ma ciò non ha mai condotto i rispettivi legislatori all’abolizione del substrato causale del contratto a tempo determinato. In entrambi gli ordinamenti coesiste, affianco al regime comune di apposizione del termine basato sulle circostanze giustificatrici, una sorta di “eccezione dell’eccezione”, ossia un sistema sganciato dall’esistenza di ragioni obiettive e finalizzato all’accesso o al reinserimento nel mondo del lavoro di particolari categorie di soggetti (disabili, disoccupati, giovani sprovvisti di competenze professionali o in cerca di primo impiego e lavoratori più anziani)[10].
Il rapporto di specialità rispetto al contratto di lavoro a tempo indeterminato risulta attualmente incentrato su altri parametri sostanziali, di tipo numerico, legati alla durata massima della reiterazione di contratti, al numero delle proroghe attivabili ed alla quota di contingentamento delle assunzioni a termine. Permangono, tuttavia, seri dubbi sull’effettiva idoneità di tali vincoli nel bilanciare la perdita di tutela consistente nel non poter contestare i motivi sottostanti all’apposizione della clausola di durata. La disciplina della successione di contratti si espone a facili abusi solo che mutino le mansioni del dipendente o cambi formalmente il datore di lavoro anche se appartenente ad un gruppo di imprese. Il limite dei 36 mesi, inoltre, non è assoluto, potendo essere superato mediante un ulteriore accordo di durata massima annuale. Quanto alla possibilità di prorogare la scadenza iniziale del contratto, è stata resa ancora più semplice rispetto al passato, aumentando il numero di proroghe senza che vi sia l’obbligo di riferirle alla medesima attività lavorativa svolta. Infine, il vincolo inerente al contigentamento numerico, oltre ad essere soggetto a rilevanti eccezioni, rivela una scarsa dissuasività in caso di sua violazione, comportando unicamente l’applicazione di sanzioni pecuniarie senza alcun riflesso sulla regolarità del rapporto di lavoro tempo determinato.
Il raffronto con gli ordinamenti francese e spagnolo accresce la sensazione che il sistema non prevenga adeguatamente i rischi di possibili abusi dell’istituto, in contrasto con l’effetto-utile dell’Accordo-quadro comunitario concluso il 18 marzo 1999 e trasfuso nella Direttiva 1999/70/CE, ossia impedire la precarizzazione delle condizioni dei lavoratori a termine. Si sarebbe potuta approntare una disciplina più puntuale e rigorosa della reiterazione dei rapporti a tempo determinato, che preveda la computabilità tutti i contratti stipulati dallo stesso dipendente anche con gruppi di imprese ed a prescindere dal tipo di mansioni svolte[11]. Avrebbe meritato senz’altro più attenzione anche il fenomeno della successione di lavoratori a termine per lo svolgimento delle stesse funzioni, allo scopo di prevenire un continuo turnover di manodopera allo scadere del limite temporale dei 36 mesi. La comparazione, anche in questo caso, fa emergere il diverso approccio del legislatore francese e di quello spagnolo, che si sono preoccupati di disciplinare l’ipotesi de qua, direttamente o tramite il rinvio alla contrattazione collettiva, imponendo il rispetto di intervalli temporali obbligatori o stabilendo dei limiti massimi di durata[12].
Il definitivo passaggio dal sistema causale a quello basato sui limiti numerici ha ridisegnato anche i confini del sistema sanzionatorio, in quanto viene meno una cospicua parte del contenzioso giudiziario, quello relativo alla contestazione delle ragioni giustificatrici della clausola appositiva del termine. Inoltre, come già accennato, è stata introdotta la sanzione amministrativa derivante dall’inosservanza della soglia legale (o contrattuale) di contingentamento dei rapporti a tempo determinato[13]. Tale sanzione va ad affiancarsi al tradizionale regime di tutela, che non ha subito modifiche ad opera del D. lgs. n. 81/2015.
Pertanto, nelle residue ipotesi di violazione dei requisiti essenziali della fattispecie del contratto a termine (inosservanza della disciplina della forma scritta, dei divieti, della proroga e dei limiti di durata complessiva) rimane inalterato il meccanismo di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. Il nostro ordinamento, tuttavia, rispetto a quello francese e quello spagnolo, è l’unico a sancire l’automaticità della tutela reale nei confronti dei lavoratori illegittimamente assunti a termine, vale a dire il metodo di protezione più razionale e coerente con la regola secondo cui l’attuazione dei diritti avviene innanzitutto in forma specifica. Nei Paesi oggetto di confronto, invece, la riammissione del prestatore di lavoro è un’ipotesi eccezionale, circoscritta a casi di particolare gravità. Vi è di più. Nel sistema italiano la tutela indennitaria è aggiuntiva, e non sostitutiva rispetto alla reintegrazione in servizio, come avviene in Spagna ed in Francia. Per quanto concerne il quantum del risarcimento del danno, la forfettizzazione introdotta dal legislatore del c.d. Collegato lavoro (art. 32 legge n. 183/2010) ha notevolmente avvicinato l’apparato sanzionatorio a quello degli altri due ordinamenti in comparazione, stabilendo la prevedibilità dell’ammontare dell’indennità e la sua indifferenza rispetto alla durata del processo. Permane, tuttavia, un’importante differenza. In Italia è previsto un importo minimo di 2,5 mensilità di retribuzione che prescinde dall’anzianità di servizio del dipendente, al contrario degli ordinamenti francese e spagnolo, nei quali la stima del risarcimento dipende integralmente da tale anzianità, a discapito dei contratti a termine di breve durata[14].
Note
[1] Così L. MENGHINI, Introduzione a Il lavoro a termine. Linee interpretative e prospettive di riforma: gli anni Ottanta, Milano, 1980.
[2] Secondo l’art. 1628 del codice civile del 1865 «nessuno può obbligare la propria opera all'altrui servizio che a tempo o per una determinata impresa». La circostanza di “non impegnarsi a vita” rappresenta “il superamento dei rapporti servili” (così L. GAETA, X^ lezione Biagi- D’Antona, “Stabilità e precarietà nel diritto del lavoro in trasformazione”, Bologna, 16 maggio 2012, testo dattiloscritto).
[3] Secondo i dati statistici forniti dalla Direction de l’animation de la recherche, des études et des statistiques (Dares) del Ministero del Lavoro francese l’85,3 per cento delle nuove assunzioni avviene con contratto a termine (fonte: statistiche sui movimenti di manodopera del primo trimestre 2015, reperibile da dares.travail-emploi.gouv.fr/IMG/pdf/2015-054-2.pdf). In Spagna la percentuale è ancora più alta, in quanto il 91% delle nuove attivazioni è a tempo determinato (dato inalterato dal 2014 fino all’ottobre 2016; fonte: statistiche del Ministero del Lavoro, reperibili da www.empleo.gob.es/es/estadisticas).
[4] Fonte: “Quaderno di monitoraggio n. 1/2016” del Comitato scientifico per il monitoraggio della riforma del mercato del lavoro, reperibile dal sito istituzionale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali http://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/studi-e-statistiche. I dati indicano una flessione del 3,2% rispetto all’anno precedente, durante in quale il tasso di nuove assunzioni a tempo determinato è stato del 68,7%.
[5] Il Code Napoleon del 1804, al quale si ispirano direttamente la codificazione italiana del 1865 e quella spagnola, datata 1889, stabilisce per primo la regola secondo cui la locatio operarum deve contenere necessariamente un termine finale, esplicito o implicito. Lo “spirito” che anima i codici, secondo BARASSI, è “unico: l’avversione per i vincoli che inceppano la libera commerciabilità dei fattori economici” (L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, ristampa anastatica dell’edizione del 1901 a cura di M. Napoli, Milano, 2003, pag. 70).
[6] A partire dal 2001, anno in cui è stato adottato il D. lgs. n. 368 che ha regolato il rapporto di lavoro a termine fino alla riforma 2015, si contano ben 15 interventi di modifica. In Spagna la disciplina del contratto a tempo determinato, contenuta nell’art. 15 dell’Estatuto de los trabajadores del 1980, è stata modificata 9 volte nel periodo compreso tra il 1984 ed il 2012. Solo in Francia la materia del lavoro a termine ha conservato praticamente intatto il suo impianto regolativo derivante dall’Accord national interprofessionnel relatif aux contrats à durée déterminée et au travail temporaire del 24 marzo 1990.
[7] L’art. 19 del D. lgs. 15 giugno 2015, n. 81, conferma la libera apposizione del termine al rapporto di lavoro, purchè non superi i trentasei mesi. La norma riprende l’impostazione del decreto legge n. n. 34/2014, convertito in legge 16 maggio, n. 78, il cui art. 1 così recitava: «l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato di durata non superiore a trentasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato». In precedenza, la semplificazione dell’instaurazione dei rapporti a tempo determinato era limitata al primo rapporto di lavoro tra datore e dipendente, sia diretto che nella forma della somministrazione, consentendo una sorta di libero prolungamento del periodo di prova fino ad un anno (l. 28 giugno 2012, n. 92).
[8] Un approccio così liberale al ricorso alle assunzione a tempo determinato si rinviene, per esempio, anche in Olanda ed Inghilterra. Sul punto, si rinvia a B. CARUSO- S. SCIARRA (a cura di), Flexibility and Security in Temporary Work: A Comparative and European Debate, Working Papers C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.INT, 2007, n. 56, pagg. 1 e ss.
[9] Tanto l’art. L. 1242-2 del Code du travail quanto l’art. 15 dell’Estatuto de los trabajadores contemplano i singoli casi di ricorso al contratto a tempo determinato per ragioni oggettive. Il legislatore francese, inoltre, ha previsto una formula di chiusura che demarca la distinzione rispetto al contratto a tempo indeterminato, ribadendo il carattere eccezionale del rapporto a termine che «non può avere né per oggetto né per effetto di occupare durevolmente un posto di lavoro legato all’attività normale e permanente dell’impresa» e non «può essere concluso se non per l’esecuzione di un compito preciso e temporaneo» (artt. L. 1242-1 e L. 1242-2).
[10] Le diverse tipologie negoziali in questione sono sinteticamente denominate in Spagna contratos para el fomento del empleo ed in Francia definite come contrats “aidés”, in quanto “assistite” da cospicue agevolazioni statali.
[11] È l’impostazione seguita dal legislatore spagnolo, trasfusa nell’art. 15.5 dell’Estatuto de los trabajadores, allo scopo di evitare novazioni soggettive o modifiche di mansioni funzionali al frazionamento del computo del limite massimo di reiterazione di contratti di lavoro a termine.
[12] V., in particolare, la soluzione adottata dal Code du travail, che estende l’obbligo di rispetto dell’intervallo temporale tra due o più assunzioni a termine per ricoprire lo stesso posto di lavoro a prescindere dal requisito dell’identità soggettiva del prestatore di lavoro. Il periodo- cuscinetto (c.d. délai de carence) deve essere pari almeno ad un terzo della durata totale del contratto, se essa è superiore a 14 giorni, oppure alla metà, se la durata è inferiore a 14 giorni (art. L. 1244-3).
[13] La sanzione, introdotta dalla legge n. 78/2014 e confermata dall’art. 23 del D.lgs. n. 81/2015, è pari al 20% della retribuzione del lavoratore assunto in eccedenza, per ciascun mese (o frazione superiore ai 15 giorni) di durata del rapporto. L’importo sale al 50% della retribuzione se la violazione riguarda più di un lavoratore, con base di calcolo pari in tal caso alla somma delle retribuzioni lorde mensili di tutti i dipendenti assunti in violazione della soglia percentuale.
[14] Per esempio, un lavoratore illegittimamente assunto a termine per 6 mesi, con una retribuzione mensile pari a 1.500 euro, in Italia avrà diritto ad un risarcimento, in aggiunta alla conversione, come minimo pari a 2,5 mensilità (ossia 3.750 euro). In Spagna ed in Francia, invece, avrà diritto, in alternativa alla riammissione, ad un’indennità direttamente proporzionale alla durata della prestazione lavorativa. In Spagna essa sarà pari a 16,5 giorni di retribuzione (33 giorni/12 x 6 mesi, per un totale di 825 euro), mentre in Francia alla sommatoria di varie indennità (una mensilità a titolo di requalification, il 10% del totale degli stipendi ricevuti come indennità di fine contratto e l’indemnité de licenciement, pari ad 1/5 dell’ultima retribuzione per ogni anno lavorato) per un totale di 2.550 euro (1.500+900+150), a cui il giudice può aggiungere discrezionalmente l’indennità per licenziamento sans cause réelle et sérieuse, trattandosi di un contratto avente durata inferiore a due anni.
[*] Dottore di ricerca in Istituzioni e mercati, diritti e tutele presso l’Università di Bologna. Ispettore del Lavoro in servizio presso la Direzione Territoriale del Lavoro di Bologna. Vincitore del Premio Massimo D’Antona 2016. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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