Pesi e contrappesi di flessibilità e tutele
Secondo le modifiche dell’art 4 dello Statuto dei lavoratori
di Piero Cascioli [*]
Il concetto di “strumento di lavoro” come spartiacque tra esigenze tecnico-organizzative e forme di controllo a distanza
Uno dei decreti attuativi del jobs act, precisamente il D. Lgs. 151/15, ha apportato alcune modifiche alle disposizioni contenute nell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, ritoccato da ultimo dal correttivo contenuto nel D. Lgs. 185/16. Cosa cambia rispetto al passato!
L’art. 23 del citato decreto riscrive il dispositivo dell’art. 4, statuendo al 1° comma la possibilità di impiego di impianti di videosorveglianza e altri strumenti di controllo per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, subordinandone l’installazione ad un preventivo accordo collettivo siglato dalle RSA o RSU o, nel caso di più unità produttive dislocate in diverse province o regioni, dalle OO.SS, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo subentra l’autorizzazione pubblica da parte, rispettivamente, dell’Ispettorato territoriale del lavoro ovvero dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
Diciamo che in questo primo comma, rispetto alla previgente disciplina, in sostanza cambia poco. A parte i termini: prima si parlava di altre “apparecchiature”, ora si parla di altri “strumenti” di controllo; ciò che in primis salta all’occhio è che il primo comma del vecchio art. 4 scompare completamente. Cosa diceva. “È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”. Quindi un divieto assoluto per tali finalità. Poi al secondo comma apriva una finestra, dicendo che per esigenze tecnico-organizzativo-produttive e di sicurezza del lavoro, potevano essere installati impianti o altre apparecchiature, previo accordo sindacale o, in mancanza, previa autorizzazione dell’ispettorato del lavoro, che poteva impartire prescrizioni sulle modalità per l’utilizzo.
Ora il tutto è riassunto al primo comma del novellato art. 4, che, in sostanza, formula diversamente quanto era disposto dal vecchio dettato, il contenuto non cambia.
Le vere novità sono invece contenute nei commi 2 e 3 dell’attuale articolo 4; vediamo cosa dicono.
Il comma 2 ci dice che quanto disposto al comma 1, cioè la subordinazione dell’installazione degli impianti o altri strumenti all’accordo sindacale o all’autorizzazione pubblica, non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. Allora, a parte le registrazioni degli accessi e delle presenze per le quali è pacifica l’esclusione di forme di controllo, se non quelle inerenti all’orario di lavoro, del tutto legittime, il problema è vedere quando uno strumento è necessario per rendere la prestazione lavorativa. Quello che viene subito in mente è il sistema GPS montato sui mezzi di locomozione di servizio (auto di servizio, pulman, ecc.). Ecco, in questi casi, posto che sussiste una potenziale forma di controllo a distanza, la domanda è: il sistema è necessario allo svolgimento dell’attività lavorativa? Cioè, senza GPS la prestazione può svolgersi ugualmente? Indubbiamente si! Posso guidare l’auto o il pulman a prescindere dalla installazione o meno di un sistema GPS. A questo riguardo, il neo Ispettorato Nazionale del Lavoro, è intervenuto con Circolare n. 2/2016 del 7 gennaio 2016, con la quale ha chiarito specificamente questa problematica, partendo proprio dal concetto di “strumento di lavoro”.
Cioè, tale qualificazione è legata alla indispensabilità
del mezzo allo svolgimento della prestazione lavorativa. Pertanto, è strumento di lavoro, ogni apparecchio, dispositivo, apparato, congegno, che costituisce mezzo necessario ed indispensabile al lavoratore per svolgere la prestazione e adempiere ai propri compiti. Quindi, solo se il sistema costituisce uno “strumento di lavoro”, nel senso prima descritto, non soggiace alla disciplina di cui al comma 1, proprio perché la sua finalità è legata indissolubilmente, e non eventualmente, allo svolgimento della prestazione lavorativa e, pertanto, non ha finalità, neanche teoriche, di controllo.
Allora, nel caso del sistema GPS, è chiaro che la sua installazione, di norma, non ha tali caratteristiche, vale a dire, non ha il carattere della “indispensabilità” per lo svolgimento della prestazione lavorativa, quindi, in genere, non è uno “strumento di lavoro”, di conseguenza non rientra nelle esclusioni di cui al comma 2. Ne deriva, ovviamente, che l’installazione dovrà essere oggetto di accordo sindacale ovvero, in mancanza, di autorizzazione da parte dell’Ispettorato del Lavoro.
Abbiamo detto, “di norma non è uno strumento di lavoro”, quindi, di norma la relativa installazione soggiace al regime di cui al comma 1 dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. Ma in alcuni casi, tale sistema di localizzazione satellitare potrebbe anche essere “indispensabile” allo svolgimento della prestazione lavorativa, quindi, costituire uno “strumento di lavoro”, e di conseguenza beneficiare dell’esclusione dal campo di applicazione del regime sopra descritto.
La stessa Circolare n. 2/16 dell’INL, contempla queste ipotesi, cioè quando l’installazione del sistema diventa “indispensabile” allo svolgimento della prestazione lavorativa, quindi andrà a qualificarsi come “strumento di lavoro” – come quando la presenza del GPS sia richiesta da specifiche norme (ad esempio trasporto valori di una certa entità) – allora in tali casi non necessiterà l’accordo sindacale ovvero l’autorizzazione dell’ispettorato del lavoro.
È chiaro che i criteri sopra evidenziati valgono anche per altri strumenti che potrebbero configurare forme di controllo a distanza dell’attività lavorativa, come per esempio, software installati su personal computer aziendali collegati in rete, nonché su tablet o smartphone aziendali, o particolari sistemi di telefonia fissa.
Ecco, anche in questi casi, il criterio non cambia. Cioè, solo quando l’installazione di particolari software o sistemi è indispensabile allo svolgimento della prestazione lavorativa, diventando quindi strumenti di lavoro a tutti gli effetti, allora rientrano nell’esclusione di cui al comma 2 del novellato art. 4; ma se non hanno il carattere della “indispensabilità”, quindi non qualificabili come “strumenti di lavoro”, allora soggiacciono al regime che prevede il preventivo accordo sindacale o, in mancanza, l’autorizzazione dell’ispettorato.
Il comma 3 del novellato art. 4 della legge 300/70, contempla una seconda novità importante, che consiste nella utilizzabilità delle informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 dello stesso articolo 4 -vale a dire le informazioni contenute nelle registrazioni dei sistemi installati- a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che il lavoratore sia stato informato dei controlli e delle modalità d’uso degli strumenti, fermo restando sempre il rispetto della disciplina sulla protezione dei dati personali. In altri termini, fermo restando che il lavoratore deve essere adeguatamente informato sul fatto che è stato installato un impianto che funziona in un certo modo e dal quale può derivare anche una qualche forma di controllo a distanza della sua attività lavorativa, anche se non ne è il fine ultimo, ebbene, le registrazioni effettuate dal sistema possono essere utilizzate su vari profili che ineriscono al rapporto di lavoro, quindi, anche a fini disciplinari, cosa che prima era inibita. Insomma, se un lavoratore viene preso, come si dice, “in castagna”, può essere assoggettato a provvedimenti di tipo disciplinare sulla base di quanto contenuto nelle registrazioni effettuate dai sistemi di videosorveglianza o altri strumenti, installati nel luogo di lavoro.
Una novità molto importante e delicata che, pertanto, richiede un’accurata procedimentalizzazione delle varie fasi di installazione degli impianti o altri strumenti.
Infine, il correttivo introdotto recentemente con il D. Lgs. 185/16, che oltre, come già accennato, alla sostituzione delle denominazioni riferite alle istituzioni pubbliche deputate ai controlli ed al rilascio delle relative autorizzazioni, aggiunge alla fine del comma 1 dell’art. 4, che i provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi. Vale a dire che l’autorizzazione rilasciata dall’Ispettorato del lavoro non è più ricorribile. La previgente disciplina prevedeva che contro i provvedimenti dell’ispettorato del lavoro era possibile ricorrere entro trenta giorni al Ministero del Lavoro. La prima modifica introdotta dall’art. 23 del D. Lgs. 151/15 nulla diceva in merito, mentre il decreto correttivo sopra richiamato dice esplicitamente che i provvedimenti dell’ispettorato del lavoro sono definitivi.
Ebbene, che dire in conclusione! Forse è stata eliminata qualche incrostazione che rendeva più rigida la procedura ma che assicurava indubbiamente qualche tutela in più a favore dei lavoratori.
“Flessibilità” e “tutele” non sono certamente incompatibili, sono però sicuramente fortemente correlate; diciamo che devono essere dimensionate con saggezza. Troppa flessibilità riduce in genere le tutele; ma sistemi estremamente rigidi finiscono a volte per ingessare i meccanismi operativi. Allora vale sempre il principio del “giusto mezzo”.
Molte regolamentazioni introdotte dal jobs act introducono indubbiamente molta flessibilità, il punto è farne un utilizzo corretto; gli abusi ne alterano sicuramente gli effetti che si scaricano a spese della parte debole. Ed allora, le regole non bastano se non cambiano insieme i modelli culturali, che però richiedono sempre e comunque tempi lunghi.
[*] Responsabile Area Vigilanza 1 di coordinamento della Direzione Territoriale del Lavoro di Roma. Vincitore del Premio Massimo D’Antona 2016. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza
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