Tavola rotonda sui giovani
L’appuntamento annuale della Fondazione dedicato alle preoccupazioni sul lavoro giovanile
di Clap
È stato ancora una volta il prestigioso salone delle riunioni, intitolato al giurista scomparso, ad ospitare l’importante iniziativa organizzata dalla Fondazione Prof. Massimo D’Antona nel corso della quale, nella prima parte e con il modulo della tavola rotonda, si è potuto sviluppare un’interessantissima discussione sul tema delle difficoltà occupazionali delle giovani generazioni e, nella seconda parte, si è svolta la cerimonia per la consegna del “Premio Massimo D’Antona”, premio per le migliori tesi in materia di diritto del lavoro assegnato a seguito di apposita selezione, indetta dalla Fondazione Prof. Massimo D’Antona, riservata ai dipendenti del Ministero del Lavoro, ai soci della Fondazione stessa ed ai loro figli, giunta quest’anno alla sua nona edizione.
Un’occasione importante di discussione, su un tema molto delicato del mercato del lavoro e della società di oggi, quello dei giovani, ma anche di festa per la consegna del Premio Massimo D’Antona a tre dipendenti del Ministero del Lavoro vincitori per la migliore tesi in diritto del lavoro nelle rispettive sezioni; un’occasione che, per la tavola rotonda, ha potuto contare sulla partecipazione del Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, del Presidente della Fondazione D’Antona, Fabrizio Di Lalla, del Direttore Area Lavoro e Welfare della Confindustria, Pierangelo Albini, e del Segretario Confederale della UIL, Guglielmo Loy.
Presenti alla manifestazione Direttori Generali del Ministero del lavoro, fra i quali il Direttore Generale delle Politiche del Personale, Stefania Cresti, il Direttore dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro, Paolo Pennesi, il Vice Comandante dei Carabinieri per la tutela del lavoro, Ten. Col. Leonardo De Paola, i membri della Commissione Scientifica giudicatrice del Premio Massimo D’Antona, presieduta da Dora Rotili e, naturalmente, i vincitori del Premio stesso, Stefania Agresti, Piero Cascioli e Fabio Pulvirenti.
Presenti anche esponenti delle Organizzazioni sindacali confederali e categoriali, Dirigenti e Funzionari del Ministero del lavoro ed i membri del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione.
Coordinati da Palmina D’Onofrio, Consigliera Nazionale della Fondazione Massimo D’Antona, i lavori sono iniziati con l’apertura della tavola rotonda e con la comunicazione introduttiva svolta dal Presidente della Fondazione, Fabrizio Di Lalla.
“La disoccupazione giovanile – ha detto Di Lalla – quando dura nel tempo, è una patologia che corrode e può provocare gravi conseguenze alla società e al Paese. È da tempo, ormai sono anni, che gli indici di disoccupazione dei nostri giovani tendono a restare stabilmente alti; nel sud, poi, la situazione è ancor più allarmante.”
“Purtroppo – ha proseguito il Presidente – il futuro è dei giovani oggi non vale più perché esso appartiene ancora alle generazioni precedenti. Esagerata che possa essere quest’affermazione esprime uno stato d’animo, un modo d’essere di una buona parte delle nuove generazioni, le quali, quando la loro situazione di esclusione dura nel tempo, sentono tutta la vergogna verso se stessi, verso i propri familiari, verso il mondo esterno. E così capita che l’unica soluzione a portata di mano è l’emigrazione verso altri Paesi, tagliando dolorosamente le proprie radici.”
“È vero – ha concluso Di Lalla – che negli ultimi tempi molti incentivi sono stati utilizzati per l’occupazione giovanile, sia a livello di Comunità Europea, sia per iniziativa governativa, come gli sgravi contributivi, che, tuttavia hanno prodotto qualche occupato in più ma non una vera e propria inversione di tendenza”.
Dopo l’intervento del Presidente Di Lalla, hanno preso la parola i rappresentanti delle forze sociali. È toccato per primo a Pierangelo Albini, in rappresentanza della Confindustria, il quale ha esordito sostenendo che quello dei giovani, oggi, “è il tallone d’Achille della nostra condizione, della nostra società, perché in questi anni di crisi sono venute meno molte certezze, che riguardano sia gli anziani, ma soprattutto i giovani.”
“Siamo oggi in presenza – ha aggiunto Albini – di una situazione che è totalmente diversa da quella che hanno affrontato i giovani delle generazioni precedenti. Sono venute meno molte delle certezze che avevano i giovani 26 anni fa; la crescita è sempre più debole, l’economia industriale sta cambiando, sta cambiando radicalmente. La demografia sta cambiando la faccia della nostra società, sta ponendo degli interrogativi enormi sulla sostenibilità del welfare, per fortuna la vita si allunga, le aspettative di vita si allungano, ma c’è un problema di sostenibilità complessiva, di crescita, non c’è più la dimensione nazionale dell’economia.”
Tuttavia, ha aggiunto ancora Albini, “l’Italia continua a mantenere degli elementi che la caratterizzano, che sono degli elementi di forza sui quali bisogna puntare; rimane il secondo paese manifatturiero in Europa, dopo la Germania, è il settimo nel mondo per il valore aggiunto del manifatturiero, è il nono al mondo per l’export di manifatturiero nel mondo, perché noi siamo sostanzialmente ma siamo prevalentemente un paese manifatturiero e forse questa è la ragione per la quale invitate qui la Confindustria a fare questo tipo di intervento. Il manifatturiero oggi si confronta ovviamente con quello che oggi tutti diciamo, la manifattura 4.0, nome evocativo e molto abusato che però dice in estrema sintesi una cosa, che siamo alla quarta rivoluzione industriale e la quarta rivoluzione industriale sarà completamente diversa da quella che abbiamo vissuto in passato e avrà una quantità di lavoro, come quelle che abbiamo conosciuto in passato, più bassa e diversa.”
E allora, si è chiesto Albini, “che cosa serve e che cosa è opportuno dire ai giovani? Probabilmente il mondo si sta assestando, nell’ultimo rapporto del Centro Studi di Confindustria si vedono alcuni segnali di questo cambiamento e di come si sta riposizionando complessivamente l’economia mondiale. Oggi si dice che i giovani devono essere creativi, connessi, competitivi, competenti, le famose quattro C dei giovani, però è evidente che non basta dire che bisogna fare un investimento sulla scuola. Confindustria da tempo investe in questa direzione, nella collaborazione con le Università, ha messo al mondo due Università, ma soprattutto di creare un sistema veramente duale dell’alternanza scuola-lavoro perché questo sistema è diventato assolutamente indispensabile per l’Italia, come per tutto il resto dei paesi.”
“Noi – ha detto ancora il rappresentante di Confindustria – abbiamo la percentuale di laureati più bassa che c’è in Europa e l’80% delle imprese che sono quelle più innovative hanno meno del 10% di laureati. Però, investire sulla scuola, sulla formazione, non basta perché questo Paese deve anche riscoprire il merito, perché è inutile che si predichi di fare investimenti nella scuola e nella formazione, se poi si continua a non riconoscere il merito, se poi i criteri con i quali i giovani entrano nella Pubblica Amministrazione, fanno carriera nella Pubblica Amministrazione, entrano nel mondo del privato, sono ancora i criteri per i quali le amicizie, le conoscenze, le raccomandazioni contano. Allora, rimettere al centro il merito è diventato un problema fondamentale.”
Però – ha concluso Albini – è oggi indispensabile prendere atto che “niente di ciò che è stato concesso alle generazioni che oggi non sono giovani potrà essere concesso ai nostri giovani: carriere lavorative discontinue, sistemi di copertura previdenziale e assistenziale completamente diversi, sistema diverso da ripensare, niente potrà essere uguale. Bisogna avere la consapevolezza che è necessario tornare a fare dei sacrifici così come ha fatto la generazione che è uscita dalla guerra; solo così i paesi si cambiano, le economie crescono e le cose possono avere una prospettiva positiva e ottimista, perché io penso che questo Paese abbia una popolazione di giovani che è sicuramente in condizione di poter garantire un futuro a se stessi ed anche al Paese.”
Dopo l’intervento del Rappresentante delle Associazioni datoriali, è toccato all’esponente delle Associazioni sindacali dei lavoratori, Guglielmo Loy, Segretario Confederale della UIL, il quale si è soffermato sugli effetti che sta provocando la prolungata condizioni di crisi nel Paese, mettendo in evidenza “l’effetto finale che si sta producendo sul lavoro e, in particolare, se il lavoro è più fragile, inteso come un numero consistente di persone che hanno meno strumenti in termini di attrazione, ciò è legato alla crescita relativa. Anche se addirittura sembra importante sottolineare che quella che viene definita semplicisticamente la percezione vada addirittura oltre le statistiche.”
“Insomma – ha aggiunto Loy – oggi la percezione del disagio è molto più ampia rispetto al semplice dato statistico, che è possibile sintetizzare con la quasi convinzione che il domani sarà peggio di oggi e ciò provoca in termini di relazioni personali o interpersonali e di relazioni col sistema anche politico, istituzionale, compreso quello delle parti sociali, una diffidenza ad essere buoni, perché ovviamente l’equazione è, se domani starò peggio vuol dire che quelli che ci stavano fino adesso non hanno fatto niente per evitare questa situazione. Questa percezione naturalmente è alimentata da dati anche oggettivi, in particolare per l’iniqua distribuzione delle opportunità che ci sono nel nostro Paese.”
“E allora – ha proseguito Loy – il tasso di occupazione nel nostro Paese è relativamente stabile con una leggerissima crescita negli ultimi mesi ma insufficiente rispetto alla media europea e questo significa che troppe poche persone hanno una forma di entrate, lo dico in maniera generica, reddito, stipendio, e che chiaramente la prima vittima della mancata crescita del tasso di occupazione sono coloro che sono apparentemente ‘meno competitivi’ nel mercato del lavoro: sicuramente i giovani, a torto o a ragione, in parte nel Mezzogiorno ovviamente, gran parte per un differenziale tra domanda e offerta, e poi c’è la questione femminile che ha delle dinamiche particolari. L’effetto di disagio sulla questione dell’occupazione giovanile deriva, quindi, da una insufficiente crescita e conseguentemente debole incremento del tasso di occupazione.”
Cosa fare allora? Si è domandato Loy e ha proseguito “oltre alla esigenza di sostenere la crescita, è necessario riaffermare che “il primo veicolo di occupabilità è la questione della conoscenza, della capacità, dell’apprendimento nelle varie forme. Per troppi anni sono stati persi treni importanti sulla qualificazione dei percorsi curriculari e oggi le statistiche dicono che un laureato ha più opportunità di occupazione di chi smette o sceglie di smettere o, purtroppo, non può continuare a fare un percorso di studi magari tecnico. In una società di profonda evoluzione e innovazione i parametri con cui abbiamo costruito il sistema di istruzione sono ovviamente sottoposti a forti stress e quindi sono venute meno molte delle certezze che si avevano prima. È quindi necessaria una flessibilità anche delle offerte formative e la valorizzazione del sistema duale scuola-lavoro può rappresentare una risposta oggi al tema della capacità delle persone di entrare e rimanere nel mercato del lavoro o in termini più generici la questione dell’occupabilità.”
“È inoltre necessario – ha aggiunto il Segretario della UIL – osservare quello che in pochi mesi accompagna il già complesso processo di rivisitazione delle possibili politiche a sostegno della crescita. È vero che si comincia a vedere qualcosa in termini di accompagnamento all’innovazione e all’individuazione delle filiere che possono caratterizzare gli aspetti positivi del nostro sistema manifatturiero nel paese, come ad esempio ‘Industria 4.0’, ma nello stesso momento dobbiamo essere capaci di capire ciò che avrà un’influenza anche sull’occupazione giovanile.”
“È evidente che per noi – ha concluso Loy – per le leve che abbiamo più propriamente in mano, poi c’è quella della pressione politica, del dialogo, ecc., la strada maestra è quale modello relazionale, le relazioni industriali o contrattuale riesca meglio a rispondere al tema anche dell’occupabilità forse, anzi sicuramente, sulla formazione, sull’alternanza, sullo stesso apprendistato, ma anche sulla ridefinizione dei profili professionali dobbiamo ammodernare la contrattazione, certamente a livello nazionale come cornice, ma probabilmente, stante il pluralismo delle modalità con cui si esplicano attività produttive, anche a livello aziendale.”
Conclusi gli interventi delle parti sociali è , quindi, toccato al Ministero del Lavoro, Giuliano Poletti, tirare le conclusioni della tavola rotonda. Ed il Ministro dopo aver sottolineato l’importanza dell’occasione, utile per affrontare il tema dell’occupazione o della disoccupazione giovanile” dato che questo è il tema più importante che abbiamo davanti.
“Il tema è più importante – ha detto il Ministro del Lavoro – perché ha tutte le implicazioni che qui sono state rappresentate in termini anche di tenuta sociale, di prospettiva e di preoccupazione e paura del futuro. Su questo tema non è ancora stati fatto fino in fondo tutto quello che è necessario fare per comprenderne le ragioni e, insieme alla comprensione delle ragioni, anche riflettere sulle risposte che siamo in grado di dare.”
Il Ministro Poletti ha poi proseguito il suo ragionamento analizzando alcuni dati del mercato del lavoro e, partendo da quelli, oscillanti nel tempo, riguardanti il calo e l’aumento delle partite IVA, ha messo in evidenza il fatto che “il tasso di attività è salito dal 63,8 al 65,2 e che il tasso di occupazione è cresciuto dal 55,5 al 57,5. Guardando, quindi, a questi due numeri, c’è una cosa sulla quale possiamo essere sicuramente d’accordo ed è che questo incremento è troppo lento, ma credo che potremo convenire tutti che si va nella direzione giusta.”
“Io penso – ha detto ancora Poletti – che noi siamo di fronte a una fase di passaggio particolarmente delicata e difficile da gestire che riguarda il lavoro, non solo i giovani, riguarda il lavoro, i mestieri, i mestieri che cambiano, i mestieri che nascono, i mestieri che muoiono, e abbiamo davanti una grandissima preoccupazione e molta paura dentro la società. Negli anni della crisi abbiamo perso 1 milione di posti di lavoro, che per una grande parte stavano in imprese strutturate, stabili, che avevano alle spalle un lungo ciclo di vita e quei posti di lavoro sono stati sostituiti da posti di lavoro che sono molto più fragili, molto più ‘temporanei’, ad esempio è aumentato il tasso del part-time, e quindi vuol dire che prima avevamo della gente che lavorava al 100% e oggi lavora all’80, 70, 60, e quindi non è la stessa cosa.”
“Quindi – ha aggiunto il Ministro – consapevole di tutto questo, credo che il tema sia da una parte quello che qui è stato citato, cioè della crescita, del suo ritmo e della sua qualità. Io credo che sia importantissima una scelta che come Paese tutti quanti insieme dobbiamo sostenere, ed è la convinzione che abbiamo bisogno di una spina dorsale manifatturiera assolutamente robusta. L’idea che questo Paese possa costruire un suo futuro, a fronte di un ventaglio molto largo di opzioni possibili, perché siamo il Paese della cultura, del turismo, dell’arte, della gastronomia, ma io continuo a ribadire la profonda convinzione che o noi siamo e rimaniamo e cresciamo come grande paese manifatturiero, o siamo e saremo una buona economia che in qualche modo traccheggia, tira avanti, fa del suo meglio, ma non avrà una grande prospettiva.”
Una risposta a questa esigenza il Ministro la vede nella scelta del progetto ‘Industria 4.0’ che, dice, “è la scelta di investire in maniera esplicita, dichiarata e forte sul rafforzamento, l’innovazione del sistema industriale del nostro Paese. Questo ha delle conseguenze importanti, perché è chiaro che questo vuol dire ricerca, vuol dire capacità di innovazione, vuol dire formazione, competenza e saperi. In quel piano Industria 4.0 c’è scritto una cosa che nel nostro Paese non abbiamo mai detto, giusta o sbagliata che sia, abbiamo detto vogliamo raddoppiare il numero degli studenti e degli istituti tecnici superiori, tecnici industriali ecc. ecc., perché? Perché se vogliamo essere quel Paese che fa della manifattura la sua spina dorsale, abbiamo bisogno degli ingegneri, ma abbiamo bisogno anche dei tecnici, degli operai specializzati, abbiamo bisogno che tutte le figure di quel contesto siano le più qualificate possibili, o lo facciamo per questa via o non lo facciamo.”
“Quindi – ha aggiunto ancora Poletti – a me pare che su questo versante si confermi la scelta che le politiche attive, la relazione tra scuola, formazione, lavoro, sono le strade che dobbiamo cercare di percorrere e a queste strade, se mettiamo sopra una buona idea di futuro dell’economia del nostro paese, del nostro apparato produttivo, del nostro sistema imprenditoriale, probabilmente questi due grandi pilastri possono aiutarci a dare una risposta a questo che rimane il grande tema, il grande problema al quale dobbiamo dedicare molta attenzione”
Il Ministro del lavoro, nel concludere il suo articolate intervento, si è dichiarato “molto grato alla Fondazione di avere messo all’Ordine del Giorno questa discussione perché ci ha dato un’occasione per ragionare insieme, sottolineare questi elementi e trovare magari altre occasioni per continuare questo confronto.”
In conclusione dei lavori ha portato un saluto ai partecipanti all’evento la Dr.ssa Stefania Cresti, Direttore Generale delle Politiche del Personale del Ministero del Lavoro, insediata da poche settimane nell’incarico, che ha manifestato la propria soddisfazione per aver potuto partecipare, per la prima volta, nella nuova veste di Direttore del Personale. “La Fondazione – ha detto Stefania Cresti – ricorda a tutti noi il Professor D’Antona che io ho avuto l’onore, tra l’altro, di conoscere personalmente, circostanza che oggi mi emoziona molto.” Ha quindi ringraziato Fabrizio Di Lalla “per gli auguri di buon lavoro che ha voluto inviarmi, tenevo molto anche a questo ed anche per questo voglio ringraziare la Fondazione che credo costituisca un vanto per questa amministrazione.”
Dopo aver auspicato che un recupero di prestigio da parte del Ministero del Lavoro ha ringraziato la Fondazione D’Antona per l’impegno profuso ed ha salutato i vincitori del Premio “che ci hanno illustrato i loro pregevoli lavori che spero possano anche avere possibilità di pubblicazione e di divulgazione.”
Terminata la tavola rotonda ha preso il via la cerimonia della consegna del Premio Massimo D’Antona con la lettura, da parte della Presidente della Commissione giudicatrice, Dora Rotili, delle motivazioni che hanno dato luogo alla scelta operata dalla Commissione. Vincitori del premio sono stati dichiarati: Dr.ssa Antonella Agresti Dipendente Min. Lavoro (DTL SAVONA) per la Sezione relativa alla “Laurea triennale (L/L3)” con la tesi dal titolo: LA DISTINZIONE TRA AUTONOMIA E SUBORDINAZIONE NEL SETTORE DELL'EDILIZIA Dr. Piero Cascioli Dipendente Min. Lavoro (DTL ROMA) per la Sezione relativa alla “laurea specialistica/magistrale (LS/LM); laurea specialistica a ciclo unico (LSu), o laurea magistrale a ciclo unico (LMu); diploma di Master Universitario di 1° livello (Diploma di MU1)” con la tesi dal titolo: IL LAVORO ACCESSORIO COME STRUMENTO DI FLESSIBILITA' IN ENTRATA E DI CONTRASTO AL LAVORO IRREGOLARE Dr. Fabio Pulvirenti Dipendente Min. Lavoro (DTL BOLOGNA) per la Sezione relativa al: “dottorato di Ricerca (DR/PhD); diploma di Specializzazione (DS); diploma di Master Universitario di secondo livello (Diploma di MU2)” con la tesi dal titolo: LA TUTELA DEI LAVORATORI A TEMPO DETERMINATO IN ITALIA, FRANCIA E SPAGNA, CON SPUNTI PER UN'ANALISI COMPARATA. |
Nel chiudere la giornata di lavoro, il Presidente della Fondazione, Fabrizio Di Lalla, ha colto lo spunto fornito dalla Direttrice del Personale per sottolineare che il valore dell’impegno messo in atto dalla Fondazione d’Antona “ha varcato ormai i confini del Ministero del Lavoro grazie soprattutto alle iniziative di carattere culturale sempre più numerose e variegate. Dopo l’istituzione dei premi per onorare la memoria di Massimo D’Antona si è aggiunta l’annuale tavola rotonda i cui protagonisti rappresentano il vertice della politica e delle parti sociali.”
Vicino a questo, ha aggiunto Di Lalla, “di particolare rilievo è l’attività editoriale che comprende un periodico seguito da migliaia di lettori, i quaderni sui principali eventi della Fondazione che vanno a ruba anche per le splendide immagini che accompagnano il testo. Da ultimo, ma non per importanza, la magnifica collana editoriale che non ha nulla da invidiare a quelle delle grandi case editrici in cui vengono pubblicati i migliori e più attuali saggi di diritto del lavoro.”
“Questi risultati sorprendenti – ha concluso Di Lalla – non piovono dal cielo ma sono il frutto dell’agire umano. Non solo dal progetto di quel gruppo di soci fondatori che ai più sembrò visionario, ma soprattutto dalla capacità e dall’abnegazione dell’attuale gruppo dirigente. Esso non è mosso da meri interessi materiali ma dalla soddisfazione divedere ripagato il proprio impegno con il ruolo crescente di questa splendida creatura.”
Seguiteci su Facebook
>