Il lavoro c.d. parasubordinato nel settore dei call center
di Mario Chiappetta [*]
1. Premessa
Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto nell’ambito delle attività di call center ha rappresentato e rappresenta materia sulla quale legislazione e prassi si rincorrono incessantemente da anni.
Oggi, nella predetta arena, è scesa anche – e, qualcuno potrebbe sostenere, finalmente, almeno per quanto riguarda specificamente la disciplina del lavoro a progetto nei call center – la contrattazione collettiva[1].
Dal punto di vista normativo la disposizione principe in materia è l’art. 61, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 23, L. 28 giugno 2012, n. 92, dall'art. 24 bis, L. 7 agosto 2012, n. 134 (di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83), nonché dall'art. 7, comma 2 bis, L. n. 99 del 2013.
La prefata disposizione recita, al primo comma: «Ferma restando la disciplina degli agenti e rappresentati di commercio, nonché delle attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center "outbound" per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione di cui all'art. 409, numero 3), del codice di procedura civile, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell'oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento con l'organizzazione del committente ed indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa. Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale» [2].
La prassi amministrativa si fonda, invece, e da ultimo, sulla circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Direzione Generale dell’Attività Ispettiva, n. 14 del 2013, recante "L. 92/2012 (c.d. riforma lavoro) - art. 24 bis D.L. n. 83/2012 (conv. da L. n. 134/2012 - call center - contratto di collaborazione coordinata e continuativa - indicazioni operative per il personale ispettivo".
2. Le collaborazioni coordinate e continuative: disciplina normativa generale e disciplina normativa speciale in ordine ai presupposti di legittimità
La disposizione in commento è assai singolare siccome contiene, in una proposizione che è meramente subordinata nella composizione del periodo, la disciplina normativa principale che presiede alla ammissibilità dell'utilizzo del contratto di lavoro a progetto nei call center. Essa è infatti così impostata: la regola generale, valida in altri termini per la generalità dei settori ed attività, è quella per la quale le collaborazioni coordinate e continuative di cui all'art. 409, comma 1, numero 3), del codice di procedura civile[3], per ritenersi consentite devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici le cui caratteristiche, la cui determinazione e la cui gestione debbono rispettare quanto specificamente previsto dal legislatore (appunto, con il nuovo art. 61 del D.Lgs. n. 276 del 2003, seconda parte del primo periodo, nonché secondo e terzo periodo); questa regola generale deve applicarsi «ferma restando» la disciplina delle attività di vendita di beni ed attività di servizi realizzate attraverso call center del tipo c.d. outbound nelle quali, in particolare, il ricorso al contratto di collaborazione a progetto è consentito «sulla base» del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento.
Tralasciando la stranezza (quanto meno) di una formulazione legislativa che sembra fare riferimento - per mantenerne la salvezza rispetto alla successiva disciplina generale delle collaborazioni coordinate e continuative a progetto - ad una preesistente disciplina (normativa) valida per le attività di vendita diretta di beni e attività di servizi realizzate attraverso call center del tipo outbound [4], il primo dubbio da sciogliere attiene appunto all’esatto rapporto tra disciplina generale e disciplina speciale, mentre il secondo riguarda l'individuazione dell'esatta volontà legislativa espressa dalle parole «sulla base del corrispettivo definito [...]». Per entrambi, peraltro strettamente legati tra loro, la citata circolare n. 14 del 2013 fornisce utili chiavi di lettura.
I requisiti che, secondo l'art. 61, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003, devono in generale avere le collaborazioni coordinate e continuative (riconducibilità ad uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore, ulteriormente connotati dal collegamento funzionale con un determinato risultato finale, con il divieto, in ogni caso, di mera riproposizione dell'oggetto sociale del committente e di svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi), non sono, invece, richiesti per le collaborazioni coordinate e continuative nel settore dei call center del tipo outbound, settore, quindi, escluso dal campo di applicazione della disciplina generale. Qui, anziché il requisito della predisposizione di un progetto specifico (cui il rapporto di collaborazione deve potersi ricondurre), è richiesto un altro e diverso requisito consistente in ciò che il contratto preveda la corresponsione di un corrispettivo non inferiore a quello definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento. Trattandosi di requisito che autorizza il ricorso alla data tipologia contrattuale, ove lo stesso sia assente, ossia manchi la pattuizione di corrispettivi come definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento, "il ricorso alla co.co.pro. dovrà dirsi illegittimo con conseguente riconduzione del rapporto a quella che costituisce la forma comune del rapporto di lavoro e cioè il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato" (così in circolare 14/2013).
Quella appena riportata rappresenta una precisa scelta interpretativa che separa nettamente – e si potrebbe dire definitivamente – l'ambito dei call center del tipo outbound, dall'ambito occupato da tutte le altre attività, per quanto riguarda l'autorizzazione al ricorso al tipo contrattuale della collaborazione coordinata e continuativa. Nell'ambito dei call center, in forza di una disciplina speciale, fatta salva e, ad un tempo, esplicitata nell'incipit dell'art. 61, la mancata sussistenza del requisito "autorizzatorio" determina sic et simpliciter la valutazione di illegittimità del contratto di collaborazione coordinata e continuativa eventualmente stipulato, senza che possa soccorrere, in via subordinata, la regola generale pure contenuta nell'art. 61, D.Lgs. n. 276 del 2003, a partire dalla seconda parte del primo periodo, e poi nel restante testo[5].
3. Il periodo “transitorio”
L'art. 61, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003, quale risultante dalle ultime modifiche sopra ricordate, non affronta invece un altro problema, ossia quello dell'assenza della «contrattazione collettiva nazionale di riferimento». Chiarito il portato normativo della disposizione, si pone (rectius, si poneva[6]), perciò, nella sua applicazione concreta la questione del parametro di valutazione del corrispettivo pattuito nel contratto di collaborazione a progetto, parametro al quale rapportarsi, in altri termini, per verificare la sussistenza o meno del (nuovo) requisito "autorizzatorio" delle collaborazioni a progetto nel settore delle attività di vendita di beni ed attività di servizi realizzate attraverso call center del tipo outbound.
A tale vuoto ha rimediato il Dicastero, con la più volte citata circolare n. 14/2013: "[...] nelle more della introduzione di specifiche clausole da parte della contrattazione collettiva di riferimento che diano indicazioni sui corrispettivi in questione ed al fine di non impedire l'utilizzo della tipologia contrattuale, il contratto di collaborazione coordinata e continuativa nell'ambito dei call-center appare comunque consentito nel rispetto di quanto stabilito in via generale dall'art. 63, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, secondo il quale in assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza ed esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto. In tal caso sarà pertanto necessario garantire contrattualmente che il compenso legato alle prestazioni effettivamente rese dal collaboratore non sia inferiore alle retribuzioni minime previste dalla citata contrattazione collettiva ai fini della legittimità del rapporto di collaborazione, ferma restando la natura autonoma dello stesso".
Pertanto, almeno secondo tale indicazione ministeriale, anche nel c.d. periodo transitorio il principio è quello per cui "ai fini della legittimità" del rapporto di collaborazione nelle attività de quibus "è necessario" che sia contrattualmente garantito un dato compenso; tale principio, fino alla introduzione, a mezzo contrattazione collettiva, di una specifica disciplina dei corrispettivi in questione, si riempie di contenuto mediante riferimento o rinvio che dir si voglia alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento a figure professionali corrispondenti o comunque analoghe, per competenze ed esperienza, a quella del collaboratore coordinato e continuativo, retribuzioni minime cui va così rapportato il predetto compenso.
Il suggerimento è stato evidentemente (e dichiaratamente) fornito da un preciso dato normativo, quello contenuto nell'art. 63, del medesimo D.Lgs. n. 276 del 2003.
Si tratta di una disposizione che interviene, per la generalità delle attività e settori[7], non per dettare un requisito autorizzatorio della stipula del contratto di lavoro a progetto, ma per regolamentarne lo specifico regime del corrispettivo[8]. In particolare, nel suo primo comma stabilisce che: «Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e, in relazione a ciò, nonché alla particolare natura della prestazione e del contratto che la regola, non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati». In altri termini, come chiarito dalla circolare n. 29 del 2012, il precetto in questione presiede alla determinazione del compenso minimo del collaboratore a progetto che andrà dunque individuato dalla contrattazione collettiva, "sulla falsariga di quanto avviene per i rapporti di lavoro subordinato, in applicazione dei principi di cui all'art. 36 Cost.”.
Al secondo comma la disposizione in commento si preoccupa di non lasciare scoperta l'eventuale situazione di assenza di contrattazione collettiva specifica, prevedendo in tal caso che «il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto».
Ebbene, la circolare 14/2013, volendo fornire indicazioni operative precise circa la valutazione di legittimità del ricorso al contratto di collaborazione coordinata e continuativa nel call center del tipo outbound, "nelle more della introduzione di specifiche clausole da parte della contrattazione collettiva di riferimento che diano indicazioni sui corrispettivi in questione", anche "al fine di non impedire l'utilizzo della tipologia contrattuale", ha fatto espresso rinvio, mutatis mutandis, al sopra richiamato secondo comma dell'art. 63, comma 2.
4. L’avvento della contrattazione collettiva nazionale di riferimento per le collaborazioni a progetto nei call center del tipo outbound
Il riferimento al «corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento», contenuto nella prima parte del primo comma dell'art. 61, D.Lgs. n 276 del 2003, può oggi contare, come anticipato, sull'Accordo collettivo per la disciplina delle collaborazioni a progetto nelle attività di vendita di beni e servizi e di recupero crediti realizzati attraverso call center "outbound", stipulato con riferimento al CCNL TLC, del 1° agosto 2013, sottoscritto da Assotelecomunicazioni-Asstel, Assocontact, dal lato imprenditoriale, e da Slc-CGIL, Fistel CISL, Uilcom UIL, dal lato dei lavoratori[9]. L'accordo del resto è stato dichiaratamente (in "Premessa") sottoscritto per «dare attuazione alle previsioni di cui all'art. 24-bis del decreto legge n. 83/2012 che, modificando specifiche previsioni della legge di riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012), consente l'utilizzo delle collaborazioni a progetto per le attività di vendita di beni e servizi con modalità "outbound" nei call center sulla base di un corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento».
Con specifico riferimento all'argomento che qui interessa, ossia il corrispettivo, il nuovo Accordo sindacale prevede una regola generale che fissa il corrispettivo minimo dei collaboratori a progetto, una specifica modalità applicativa della stessa durante una fase transitoria che va dal 1° ottobre 2013 al 1° gennaio 2018, ed una specifica precisazione in merito al corretto rapporto tra rispetto del minimo "tabellare" e previsione eventuale di compensi legati al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
La regola generale è quella per cui il collaboratore a progetto non potrà percepire un compenso[10] inferiore al minimo tabellare del 2° livello di inquadramento del CCNL TLC, rapportato, nel suo valore orario, alle ore di effettiva prestazione del collaboratore, incluse le sospensioni richieste dall'azienda funzionali allo svolgimento dell'attività e le pause previste dalla legge.
Ritenuta degna di considerazione l'esigenza, per il mercato (rectius, per le imprese del settore), di "adeguare i costi ai ricavi e di riallineare i diversi sistemi in atto per il riconoscimento del corrispettivo ai Collaboratori", le parti hanno previsto una modalità graduale di applicazione del nuovo corrispettivo minimo dei collaboratori a progetto, ancorandolo dal 1° ottobre 2013 al 60% del minimo tabellare del 2° livello di inquadramento del CCNL TLC, al 70% dal 1° gennaio 2015, all'80% dal 1° gennaio 2016, al 90% dal 1° gennaio 2017, e, soltanto a far data dal 1° gennaio 2018, al 100%.
Infine, ammessa la possibilità di previsione di compensi conseguenti al raggiungimento degli obiettivi prefissati, in modo uniforme, dal committente, si è precisato che gli stessi andranno riconosciuti al collaboratore a progetto soltanto qualora risultino superiori ai compensi che gli spettano, in relazione al numero totale di ore effettivamente lavorate, in virtù della regola generale in tema di corrispettivo minimo. In altri termini, il compenso da corrispondere al collaboratore sarà rappresentato dalla maggior somma tra il corrispettivo minimo come ex novo individuato (con il riferimento al CCNL TLC, 2° livello di inquadramento) e l'eventuale importo derivante dal calcolo del compenso parametrato, per espressa previsione contrattuale, ad un dato obiettivo raggiunto.
Invero, dieci giorni prima dell'Accordo di cui si appena detto, è stato sottoscritto, da parti sociali differenti, il Contratto collettivo nazionale di riferimento per i collaboratori telefonici dei call center. AssoCall ed UGL Terziario nazionale hanno inteso stipulare, con la consulenza giuridica della Fondazione Studi del Consiglio nazionale dei Consulenti del Lavoro, il Contratto Collettivo Nazionale di lavoro per i Collaboratori telefonici dei call center che svolgono attività di vendita diretta di beni e di servizi e attività ad esse connesse ed accessorie, in modalità outbound ai sensi dell'art. 61, D.Lgs. 276 del 2003, come modificato dalle leggi 92/2012 e 134/2012.
Rispetto all'Accordo del 1° agosto 2013, questo contratto, che si applica alle aziende aderenti all'Associazione AssoCall che offrono i servizi di cui all'art. 24-bis del D.L. 22.06.2012, n. 83, conv. in L. 07.08.2012, n. 134, e che applicano nei confronti del personale dipendente il C.C.N.L. del Terziario, Distribuzione e Servizi Confcommercio/Confesercenti, detta una differente regolamentazione in ordine al corrispettivo del Collaboratore telefonico (chiamato a svolgere attività di vendita diretta di beni e servizi e le attività ad essa connesse ed accessorie) il cui rapporto di lavoro sia regolato con contratto di lavoro a progetto. Qui infatti non si lega, direttamente ed espressamente, il corrispettivo ai minimi tabellari previsti per un dato livello di inquadramento del personale dipendente, ma lo si determina in maniera del tutto autonoma. L'art. 5 del contratto collettivo in esame prevede, in particolare, una composizione eterogenea di tale corrispettivo, in quanto caratterizzata da una parte obbligatoria, rappresentata dalle cc.dd. "indennità economiche obbligatorie", ed una facoltativa ed eventuale, rappresentata dalle cc.dd. "indennità economiche suppletive".
Per quanto riguarda le prime, mentre il contratto determina già il minimo della c.d. "indennità mensile di garanzia", fissata a quota 450,00 euro al mese per un numero di contatti utili[11] non inferiore a 900 nel medesimo periodo di tempo[12], non dà indicazioni altrettanto predefinite per la c.d. "indennità variabile di progetto" stabilendo soltanto che la stessa matura sui contatti positivi[13], effettivamente realizzati nel periodo della campagna, è parametrata alla tipologia di beni e servizi da vendere ed alle attività ad esse connesse ed accessorie, e deve esserci obbligatoriamente all'interno del contratto individuale.
Per quanto attiene alle altre, viene, invece, lasciata alla libera contrattazione individuale la possibilità di prevederle, parametrandole a "criteri oggettivi condivisi".
Note:
[1] Il riferimento è all'Accordo collettivo per la disciplina delle collaborazioni a progetto nelle attività di vendita di beni e servizi e di recupero crediti realizzati attraverso call center "outbound", stipulato con riferimento al CCNL TLC, sottoscritto a Roma il 1° agosto 2013, tra Assotelecomunicazioni-Asstel, Assocontact e Slc-CGIL, Fistel CISL, Uilcom UIL.
[2] In base all’art. 7, comma 2 bis, L. n. 99 del 2013, l'espressione «vendita diretta di beni e di servizi», contenuta nell'articolo 61, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso di ricomprendere sia le attività di vendita diretta di beni, sia le attività di servizi.
[3] È sempre interessante ricordare come il contratto di collaborazione coordinata e continuativa sia nato, singolarmente, da una disposizione di natura processuale, volta a delineare l'ambito di applicazione del rito lavoro, includendovi "gli altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato", rapporti "altri" rispetto a quelli di agenzia ed a quelli di rappresentanza commerciale, pure inclusi nel predetto ambito e contemplati dal medesimo numero 3, dell'art. 409, comma 1, c.p.c. (articolo di legge rubricato "Controversie individuali di lavoro", e con cui si apre il titolo VI - "Norme per le controversie in materia di lavoro" -, capo I - "Delle controversie individuali di lavoro"-, del codice de quo).
[4] Disciplina che lungi dal preesistere, è in realtà appena nata, proprio con la disposizione in commento. La circolare n. 14 del 2013 supera la questione sostenendo che il legislatore, con la disposizione in esame, mentre per gli agenti e rappresentati di commercio ha fatto riferimento ad una disciplina normativa "rinvenibile sia nel codice civile (art. 1742 c.c.) che in altre fonti primarie (principalmente L. n. 204/1985)", per le attività realizzate attraverso call center outbound "ha evidentemente voluto far riferimento ad una disciplina che nasce nell'ambito della prassi amministrativa". In pratica una disposizione di legge, contenente le norme regolative del contratto di collaborazione coordinata e continuativa (e, in primis, dei suoi presupposti di legittima), rinvierebbe ad indicazioni ministeriali per farle assurgere a disciplina speciale e specifica del contratto di collaborazione coordinata e continuativa nel particolare settore dei call center outbound.
[5] Teoricamente potrebbe darsi anche un'altra lettura della disposizione in commento, relativamente al rapporto tra disciplina generale e disciplina specifica del settore dei call center del tipo outbound: le attività di vendita di beni e servizi e le attività di servizi realizzate attraverso call center del tipo outbound restano escluse dall'ambito di applicazione dei requisiti di cui all'art. 61, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003, normalmente richiesti per il ricorso legittimo al contratto di collaborazione a progetto, a condizione che il contratto di collaborazione preveda la corresponsione del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento. Ove non dovesse ricorrere tale condizione - se di condizione si tratta - allora le predette attività tornerebbero a soggiacere, come tutte le altre attività, alle regole generali in materia di legittima costituzione di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto. Con l'ulteriore conseguenza che la mancanza del requisito specificamente richiesto per il settore de quo non sarebbe da sola sufficiente a far ritenere illegittimo il ricorso al contratto di collaborazione coordinata e continuativa, potendosi tale legittimità aliunde ricavarsi, mediante appello alla disciplina generale concernente come visto l'obbligo di riconducibilità del contratto ad uno specifico progetto avente i caratteri dettagliatamente e tassativamente previsti dalla legge. Per quanto riportato nel testo principale non sembra questa la scelta interpretativa del competente Dicastero, sebbene almeno in un punto della circolare n. 14 del 2013 potrebbe, apparentemente, ritenersi "scritta" questa diversa lettura (in particolare, laddove si legge "L'esclusione è disposta, peraltro, alla condizione che il contratto di collaborazione preveda la corresponsione del corrispettivo definito [...]"), lettura in ogni caso e definitivamente esclusa nel momento in cui si stabilisce che "nel settore dei call center la mancata pattuizione di corrispettivi definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento, comporta la violazione di una norma inderogabile di natura autorizzatoria, cosicché il ricorso alla co.co.pro. potrà ritenersi illegittimo con conseguente riconduzione del rapporto a quella che costituisce la forma comune di rapporto di lavoro e cioè il lavoro subordinato a tempo indeterminato.
[6] Ora (a partire dal 1° ottobre 2013) non più, dopo la stipula dell'Accordo collettivo del 1° agosto 2013 (cfr. supra, nota 1).
[7] Tranne il settore rappresentato dalle attività di vendita di beni e attività di servizi realizzate attraverso call center del tipo outbound, per le quali la regola in materia di corrispettivo interviene già nel momento costitutivo.
[8] Il mancato rispetto della disposizione in esame, infatti, lungi dal determinare la valutazione di illegittimità del ricorso alla tipologia contrattuale del contratto di collaborazione a progetto, comporta soltanto il diritto del collaboratore al riconoscimento di un "differenziale economico" (così, circolare n. 14/2013)
[9] L'Accordo si applica "ai lavoratori con contratto di collaborazione a progetto che svolgano attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center outbound, attività di recupero crediti telefonico outbound, attività di ricerca di mercato, per conto di imprese aderenti alle associazioni datoriali firmatarie dell'Accordo stesso e che applichino il CCNL TLC". In particolare la figura professionale cui applicarlo "è unicamente quella dell'operatore telefonico outbound; restano quindi escluse le figure di coordinamento e quelle che svolgano attività esclusivamente di back office che saranno a norma svolte da personale con contratto di lavoro subordinato".
[10] Da intendersi come compenso lordo comprensivo degli oneri contributivi e fiscali normativamente previsti,con esclusione di quelli a carico del committente.
[11] Ossia quelli di durata superiore a 60 secondi con un risultato di lavorazione definitivo con esito: a) contatto positivo oppure b) contatto negativo (art. 1 del Contratto Collettivo Nazionale in argomento).
[12] La misura minima mensile dell'indennità mensile di garanzia, in ipotesi di mancato raggiungimento della soglia di 900 contatti utili, va riproporzionata sull'effettivo numero di contatti utili realizzati nel periodo.
[13] Ossia quelli che conducono alla conclusione di un contratto, successivamente confermato dal Cliente (sempre art. 1 citato, che del resto contiene, le "Definizioni")
[*] L'Avv. Mario CHIAPPETTA è Ispettore del Lavoro della Direzione Territoriale del Lavoro di Cosenza.
Ogni considerazione è frutto esclusivo del proprio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’amministrazione di appartenenza ai sensi della circolare del Ministero del Lavoro del 18 marzo 2004.
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