Il rapporto di lavoro a tempo determinato nella Pubblica Amministrazione dopo le modifiche introdotte dalla Legge 125 del 2013
di Tiziano Argazzi [*]
Il rapporto di lavoro a tempo determinato è un cantiere aperto. Dalla emanazione del decreto legislativo di riferimento[1] non c’è stata norma in materia di lavoro che non sia intervenuta per integrare ed, in certi casi, anche per modificare in modo significativo l’intero impianto normativo. Solo nel biennio 2012-2013 il legislatore ha inserito modifiche al lavoro a tempo determinato in ben cinque provvedimenti[2]. A questi si deve aggiungere il D.L.31.08.2013 n. 101[3] che ha introdotto vari “paletti” alla instaurazione ed alla proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato nella P.A. con l’obiettivo dichiarato di limitare l’utilizzo di forme di lavoro flessibile in tutti i settori del lavoro pubblico.
Nel seguito si approfondiranno questi recenti interventi normativi, nello specifico riguardanti il rapporto di lavoro a tempo determinato nella Pubblica Amministrazione.
Considerazioni generali
L’art. 1 comma 7 della Legge 28 giugno 2012 n. 92 stabilisce che le disposizioni dalla stessa dettate “costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 in coerenza con quanto disposto dall'articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo”. Il successivo comma 8 rileva che per l’applicazione delle indicate disposizioni “il Ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche”.
In ragione del citato comma 8, il Dipartimento per la Funzione Pubblica - per fornire alle Amministrazioni pubbliche una disciplina di riferimento chiara ed omogenea su alcuni istituti che riguardano il contratto di lavoro a tempo determinato - ha trasmesso all’Aran[4] l’atto di indirizzo nel quale si evidenziava tra l’altro che la stipulazione di un “accordo quadro in materia, rappresenta la modalità e lo strumento più idoneo per realizzare, al contempo, l’armonizzazione nel settore pubblico della disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato prevista per il settore privato, nonché un’univoca applicazione degli istituti per il personale delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 2, comma 2, del D.Lgs 30 marzo 2001, n. 165 pur nel rispetto delle rispettive specificità” procede ad individuare i seguenti possibili ambiti di intervento da parte del citato accordo quadro quali a titolo esemplificativo: l’individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi all’utilizzo del contratto a tempo determinato nel rispetto comunque dei vincoli finanziari previsti dalla legislazione vigente in materia di contenimento delle spese relative ai rapporti di lavoro flessibile; ferma restando la non applicabilità al settore del contratto di lavoro a-causale, si può prevedere in via diretta ovvero delegata ai livelli decentrati che le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo non siano richieste nel caso in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga nell’ambito di un preciso processo organizzativo come ad esempio l’avvio di una nuova attività, il lancio di un servizio innovativo, l’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, il rinnovo o la proroga di un contributo finanziario consistente, la definizione, in via diretta ovvero delegata ai livelli decentrati della possibilità di derogare alla durata massima dei contratti a tempo determinato per lo svolgimento di mansioni equivalenti[5] nell’ambito del medesimo rapporto di lavoro fra un ente ed un lavoratore ed, infine, la definizione di avvisi comuni per la sottoscrizione di un ulteriore ed unico contratto a termine oltre i 36 mesi a condizione che la relativa stipula avvenga presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o abbia conferito mandato, definendo in modo puntuale la durata di tale ulteriore contratto.
Assunzioni a tempo determinato nella P.A.
L’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 da ultimo modificato dall’art.4 del D.L. 101/2013, stabilisce, al comma 2, che le Pubbliche amministrazioni possono avvalersi di forme contrattuali flessibili di assunzione esclusivamente per rispondere ad esigenze di carattere temporaneo o eccezionale. L’aggiunta dell’avverbio “esclusivamente” rappresenta un ulteriore ostacolo posto dal legislatore all’instaurazione di rapporti di lavoro “flessibili” non conformi alla norma. Il successivo comma 5 ter estende l’applicazione alle Pubbliche amministrazioni del D.Lgs. 368/2001, fermo restando l’obbligo, per l’intera P.A. di utilizzare, per le esigenze connesse con il loro fabbisogno ordinario, contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Peraltro, come si avrà modo di argomentare nel seguito, per i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato posti in essere, anche in modo non conforme alla legge, opera il divieto della loro trasformazione a tempo indeterminato. Infatti il comma 5 quater nell’indicare che i rapporti di lavoro a tempo determinato posti in essere in violazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001 sono nulli e determinano responsabilità erariale, prevede una serie di sanzioni nei confronti dei dirigenti responsabili dell’irregolare utilizzo del lavoro flessibile, stabilendo nei loro confronti l’applicazione dell’art. 21 (cioè mancato raggiungimento degli obiettivi con conseguente mancata erogazione della retribuzione di risultato, mancato rinnovo dell’incarico dirigenziale e, nei casi più gravi previa contestazione disciplinare nel rispetto del principio del contraddittorio) revoca dello stesso incarico e collocamento del dirigente “ a disposizione”) del medesimo decreto legislativo.
Non applicabilità della conversione a tempo indeterminato per i contratti a termine stipulati in violazione di legge
La scelta del legislatore italiano di rendere inoperante, si ribadisce limitatamente alla P.A., la sanzione della trasformazione del contratto a tempo determinato illegittimo in rapporto di lavoro a tempo indeterminato è stata ritenuta da buona parte della giurisprudenza pienamente legittima ed in linea con le previsioni della Direttiva europea sul lavoro a tempo determinato[6] che alla voce 5.2 del paragrafo riguardante “Misure di prevenzione degli abusi” ha stabilito che “Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
- devono essere considerati «successivi»;
- devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato”.
La Corte di Giustizia della Comunità europea con propria pronuncia del 7 settembre 2006 ha affrontato la questione del divieto della conversione a tempo indeterminato dei contratti a termine nel pubblico impiego e sua compatibilità con la normativa comunitaria stabilendo che l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 “dev’essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico”.
Quindi, secondo la Suprema Corte di Giustizia europea, la scelta operata dal legislatore italiano di prevedere per la P.A. il divieto di conversione dei rapporti a tempo illegittimi, in contratti a tempo indeterminato, viene considerato pienamente conforme qualora l’ordinamento contempli misure idonee ad evitare e, nel caso, sanzionare eventuali abusi[7].
Quindi la previsione della norma italiana è da considerare pienamente legittima in quanto prevede, a supporto, misure che prevedono garanzie effettive di tutela dei lavoratori: tale garanzia viene fornita dalla previsione[8] che il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.
Per quanto poi concerne la qualificazione del danno e la sua quantificazione in termini di risarcimento soccorre una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione[9] secondo cui il lavoratore interessato al risarcimento dei danni scaturenti dalla prestazione lavorativa (quali ad esempio il danno biologico e la perdita di chance) in violazione di disposizioni imperative deve provarlo in giudizio “con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento e, quindi, anche attraverso la prova per presunzioni, sottoponendo alla valutazione del giudice precisi elementi in base ai quali sia possibile risalire attraverso un prudente apprezzamento alla esistenza dei danni denunziati”. In senso conforme anche Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008 n. 26972 ed in precedenza Cass., Sez. Un., 24 marzo 2006 n. 6572.
La Corte di Giustizia Europea rivede il suo orientamento
Con una recentissima ordinanza[10] la Corte di giustizia dell’Unione europea torna ad occuparsi della disciplina dei contratti a termine stipulati in Italia dalla P.A. La pronuncia di cui trattasi riveste una notevole importanza in quanto la Suprema Corte europea oltre a non concordare con il precitato pronunciamento della Suprema Corte di Cassazione, provvede ad una completa rivisitazione delle proprie più recenti pronunce in materia e, nel contempo, indica al legislatore italiano che affinché la normativa nazionale (che vieta in modo assoluto, nel settore pubblico, la trasformazione del contratto a tempo determinato in una rapporto di lavoro a tempo indeterminato) possa essere considerata conforme all’accordo quadro concluso il 18 marzo 1999 è necessario che l’ordinamento giuridico italiano preveda, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Per quanto precede, argomenta la Corte di giustizia europea, il più volte citato Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che esso “osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione”.
Spetta poi al giudice valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi ai pre - elencati principi.
La circolare n. 5/2013 del Dipartimento per la Funzione Pubblica
Comunque la normativa attualmente in essere non consente il superamento dei 36 mesi complessivi di lavoro a tempo determinato nella stessa mansione e presso il medesimo datore di lavoro. Il Dipartimento per la Funzione Pubblica ha in più occasioni ribadito tale impostazione[11] sottolineando che la mancanza di un avviso comune non consente di ricorrere alla deroga assistita fa altresì presente che, al momento, nel settore “pubblico” i patti decentrati non sono idonei a legittimare deroghe alla durata massima dei rapporti di lavoro a termine.
Infatti per consentire di prorogare i contratti a tempo determinato oltre il limite dei 36 mesi si è resa necessaria l’approvazione di specifici provvedimenti legislativi[12].
In base a tale disposizione le Amministrazioni pubbliche nelle more dell’attuazione dell'articolo 1, comma 8, della legge 28 giugno 2012, n. 92[13] e fermi restando i vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente, nonché le previsioni di cui all’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono state autorizzate a prorogare i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, in essere al 30 novembre 2012, che superano il limite dei trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi o il diverso limite previsto dai Ccnl di comparto, fino e non oltre lo scorso 31 dicembre 2013, previo accordo decentrato con le organizzazioni sindacali rappresentative del settore interessato secondo quanto previsto dal citato articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 368 del 2001.
Successivamente l’art. 4 comma 9 del D.L. 101/2013 convertito con modificazione nella legge 125/2013, ha introdotto un ulteriore paletto ritenendo ammissibili solo proroghe c.d. “finalizzate”, per quel personale che al 30.10.2013, data di pubblicazione della legge di conversione del D.L. 101/2013, aveva maturato almeno tre anni di servizio alle dipendenze della stessa Amministrazione e solo in presenza di specifiche procedure concorsuali.
In ragione di ciò il Dipartimento per la Funzione Pubblica con circolare n. 5/2013[14] ha autorizzato le Amministrazioni a prorogare tali rapporti di lavoro - fino al completamento delle specifiche procedure concorsuali atte a garantire la copertura del posto di lavoro, oggetto della proroga, con un contratto di lavoro a tempo indeterminato - e comunque non oltre il 31 dicembre 2016, al ricorrere di specifici presupposti fra cui:
- previsione nella programmazione del fabbisogno relativa al quadriennio dell'avvio di procedure concorsuali di reclutamento speciale;
- rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente in materia di controllo della spesa del personale e assunzioni a tempo determinato e dei divieti di assunzione che scaturiscono in via sanzionatoria;
- coerenza con il proprio effettivo fabbisogno, con le risorse finanziarie disponibili e con i posti in dotazione organica vacanti indicati nella programmazione triennale, anche alla luce delle cessazioni dal servizio che si prevede si verifichino nel corso del quadriennio.
Invece nel caso delle Province, interessate da ipotesi di soppressione, la proroga è ammessa, limitatamente al 31.12.2014, esclusivamente per garantire la continuità dei servizi istituzionali dell’Ente, nel rispetto del patto di stabilità interno, dei vincoli finanziari previsti dall’art. 9, comma 28 del D.L. 78/2010 (le spese sostenute nell’anno per l’impiego di personale a tempo determinato o in convenzione ovvero con rapporti di co.co.co non può essere superiore al 50% di quelle sostenute nel 2009 per le medesime finalità) e della vigente normativa di contenimento della spesa di personale.
In relazione a ciò, conclude la circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica, risultano pienamente applicabili le disposizioni previste dall'articolo 5, comma 4bis, del D.Lgs. 368/2001 e pertanto la proroga dei rapporti di lavoro a termine oltre il limite dei 36 mesi potrà avvenire a mezzo stipula di contratti collettivi a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Note:
[1] D.Lgs. 6 settembre 2001 n. 368 "Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES";
[2] Nell’ordine, le norme che nel biennio 2012 - 2013 sono intervenute in materia di lavoro a tempo determinato sono: [a] D.L. 9 febbraio 2012, n. 5 “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo” convertito con modificazioni nella Legge 4 aprile 2012, n. 35; [b] Legge 28 giugno 2012 n. 92 “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” c.d. “Riforma Fornero”; [c] D.L. 22 giugno 2012 n. 83 “Misure urgenti per la crescita del Paese” convertito con modificazioni nella Legge 7 agosto 2012 n. 134; [d] D.L. 28 giugno 2013, n. 76 “Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di IVA e altre misure finanziarie urgenti” convertito con modificazioni nella Legge 9.08.2013 n. 99 ed [e] Legge n. 6 agosto 2013, n. 97 “Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2013;
[3] D.L.31.08.2013 n. 101 “Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni” convertito con modificazioni nella Legge 30.10.2013 n. 125;
[4] Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha trasmesso l’atto di indirizzo quadro all’Aran, l’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni con nota prot. 0004423 del 25.01.2013;
[5] In tema della equivalenza di mansioni nella P.A., la Corte di legittimità ha evidenziato che "in tema di pubblico impiego privatizzato, l’art. 52 comma 1, del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che sancisce il diritto alla adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti, ha recepito un concetto di equivalenza "formale", ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal giudice, con la conseguenza che condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita (Cass. Sez. Lav. , Sent. n. 11405 dell’11.5.2010);
[6] Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato;
[7] La giurisprudenza della Corte di giustizia europea – ribadita nel 2010 da una ulteriore pronunzia (Corte Giust. 1 ottobre 2010, causa C-3/10) - porta ad escludere nell’area del pubblico impiego seppure privatizzato l’integrale applicazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 368, art. 5, dal momento che nel nostro assetto ordinamentale si rinviene, con le disposizioni di cui al D.Lgs. 5 settembre 2001, n. 165, art. 36, un sistema sanzionatorio capace - in ragione di una più accentuata responsabilizzazione dei dirigenti pubblici e del riconoscimento del diritto al risarcimento di tutti i danni in concreto subiti dal lavoratore - di prevenire, dapprima, e sanzionare, poi, in forma adeguata;
[8] Art. 36, comma 5, D.Lgs. 165 del 2001:”In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave”;
[9] Cass. civ. Sez. lavoro, Sent. 13.01.2012, n. 392;
[10] Ordinanza Corte di Giustizia della Comunità europea (ottava sezione) 12.12.2013 nella causa C-50/13 (Rocco Papalia contro Comune di Aosta) diffusa all’inizio del 2014;
[11] Per tutte la nota prot. 38845 del 28.09.2012 di risposta ad un quesito dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia;
[12] Art. 1 comma 400 Legge 24 dicembre 2012, n. 228 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” che ha ammesso la proroga fino al 31.12.2013 e poi art. 4 comma 9 del D.L. 101/2013 che prevede, in presenza di certi parametri, la possibilità di prorogare i contratti a tempo oltre il limite dei 36 mesi ma comunque fino e non oltre il 31.12.2016;
[13] Individuazione e definizione degli ambiti, delle modalità e dei tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche anche in materia di rapporto di lavoro a tempo determinato;
[14] Circolare Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica UORCC.PA N. 5/2013, PROT. 0053485 DEL 21.11.2013 recante, tra l’altro, indirizzi volti a a favorire il superamento del precariato
[*] Tiziano Argazzi è Funzionario della Direzione Territoriale del Lavoro di Ferrara.
Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero personale dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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