La nuova riforma del mercato del lavoro – Profili ispettivi
di Mario Pagano [*]
Il recente D.L 76/2013 convertito con legge 99/2013 è nuovamente intervenuto sulle principali tipologie contrattuali esistenti nel nostro ordinamento. Alcune di esse peraltro erano state già oggetto di recentissime riforme. Si pensi al Testo Unico in materia di Apprendistato D.Lgs 167/2011 o ancora alle rilevanti novità introdotte con la Riforma del Mercato del Lavoro legge 92/2012, meglio conosciuta come riforma “Fornero”, che hanno profondamente modificato, tra gli altri, il contratto a progetto e il lavoro occasionale accessorio
Vediamo dunque le principali novità normative e le ricadute sul piano ispettivo delle novelle legislative, anche alla luce delle indicazioni che il Ministero, con circolare 35/2013, ha fornito a pochi giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione n. 99/2013.
Apprendistato
In materia di apprendistato l’articolo 2 comma 2 del D.L. 76/2013, nell’ennesimo tentativo di rilanciare tale travagliata tipologia contrattuale, che negli auspici di più di un legislatore dovrebbe divenire la forma tipica di entrata dei giovani nel mondo del lavoro, ha attribuito un compito di rilievo alla Conferenza Stato Regioni. La stessa, secondo la norma in questione, avrebbe dovuto entro il 30 settembre 2013 adottare delle linee guida esclusivamente riferite al contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere, con la finalità di disciplinare l’istituto in modo uniforme nelle diverse realtà territoriali.
Lo stesso comma 2 ha individuato nel contempo una serie di punti fermi, derogatori rispetto alla stessa disciplina prevista dal D.Lgs 167/2011, in particolare:
- Il piano formativo individuale di cui all’articolo 2 comma 1 lettera a) del D.Lgs 167/2011 diviene obbligatorio esclusivamente in relazione alla formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche;
- La registrazione della formazione e della qualifica professionale a fini contrattuali eventualmente acquisita deve essere effettuata in un documento avente i contenuti minimi del modello di libretto formativo del cittadino di cui al D.M. 10 ottobre 2005;
- Per le imprese multilocalizzate la formazione può avvenire nel rispetto della disciplina della Regione ove l’impresa ha la propria sede legale.
La Conferenza Stato Regioni non ha adottato le linee guida entro il termine previsto [1], pertanto, sempre per effetto del comma 3 della medesima norma, i principi derogatori sopra riportati sono divenuti perfettamente operativi già a partire dal 1 ottobre 2013 [2].
La conseguenza più importante sotto il profilo ispettivo è da rinvenire, senza dubbio, nel punto 1 sopra indicato. L’aver dato centralità nel piano formativo alla formazione tecnico-pratica ha, di fatto, spostato l’indagine ispettiva circa la genuinità del contratto di apprendistato, dalla formazione trasversale a quella più propriamente professionalizzante che, nella maggior parte delle volte, avviene in affiancamento direttamente in azienda. A tale determinazione si arriva dalla semplice lettura di quanto spiegato dal Ministero. La circolare 35/2013 precisa che, atteso l’obbligo del Piano Formativo Individuale limitatamente alla formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico professionali e specialistiche, disciplinata dalla contrattazione collettiva, il personale ispettivo dovrà concentrare la propria attenzione, in via assolutamente prioritaria, sul rispetto del Piano, principale riferimento per valutare la correttezza degli adempimenti in campo al datore di lavoro, adottando eventuali provvedimenti dispositivi o sanzionatori, secondo le indicazioni già fornite dal Ministero con circolare 5/2013, esclusivamente in relazione ai suoi contenuti e, quindi, verificando la formazione tecnico-pratica.
Naturalmente ciò non vuol dire che la formazione trasversale o di base non sia più obbligatoria ma certamente, sotto il profilo ispettivo, tale adempimento non costituisce certo l’elemento principale di valutazione di genuinità di un contratto di apprendistato, rappresentato, invece, dal rispetto degli obblighi di formazione tecnico-pratica. Tale momento formativo, oltre, naturalmente, a dover essere concretamente garantito all’apprendista, nel rispetto di quanto previsto proprio dal Piano Formativo in termini di contenuti e di quantità, dovrà anche trovare debita formalizzazione e registrazione in un documento ad hoc che, come detto, prevedrà solo i contenuti minimi del libretto formativo del cittadino, di cui al DM 10 ottobre 2005 [3].
Lavoro intermittente
Il contratto di lavoro a chiamata, meglio conosciuto come lavoro intermittente rappresenta una delle tipologie più problematiche sotto il profilo ispettivo perché può prestarsi all’elusione totale o parziale delle prestazioni lavorative svolte. Per cercare di arginare tale problematica è già intervenuta la legge 92/2012, inserendo un obbligo di comunicazione che, ai sensi del novellato articolo 35 comma 3bis del D.Lgs 276/2003, il datore di lavoro deve assolvere prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni. Adempimento che prevede una sanzione amministrativa pari ad € 800 per ogni lavoratore interessato dalla comunicazione omessa.
Tale intervento, tuttavia, non considerava un’ulteriore problematica legata a tale tipologia contrattuale che, nei fatti, è difficilmente distinguibile da un normale contratto di lavoro full time, ove, a seguito di rituale chiamata, la prestazione avvenga quotidianamente e con orario pieno. Già il Ministero, con circolare 20/2012, aveva precisato che la prestazione può essere considerata discontinua anche laddove sia resa in forza di un contratto intermittente a tempo determinato o indeterminato, anche per periodi di durata significativa, purchè detti periodi, per essere effettivamente discontinui o intermittenti siano intervallati da una o più interruzioni, in modo tale che non vi sia una esatta coincidenza tra la durata del contratto e la durata della prestazione. Già allora, tuttavia, appariva alquanto complessa l’esatta verifica di tale requisito ontologico del contratto intermittente.
In tal senso è intervenuto il D.L. 76/2013, introducendo un sistema di limitazione normativa all’utilizzo di tale contratto. Il nuovo comma 2bis dell’articolo 34 del D.Lgs 276/2003 prevede, infatti, che, fermi restando i presupposti di instaurazione del rapporto e con l'eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle quattrocento giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari.
Le 400 giornate nell’arco del triennio solare diventano così effettivo parametro di discontinuità dell’istituto con precise conseguenze sotto il profilo ispettivo. L’ultimo periodo del medesimo comma 2bis prevede, infatti, che in caso di superamento della soglia delle 400 giornate il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. Alcune considerazioni, allora, di carattere tecnico operativo, previste dalla circolare 35/2013.
Innanzitutto le 400 giornate devono essere calcolate nell’ambito di un triennio solare, quindi il periodo di riferimento è da ritenersi “mobile”. In altre parole dalla data della verifica si dovrà retroagire di tre anni, conteggiando tuttavia solo le giornate di lavoro a chiamata effettuate a partire dal 28 giugno 2013, data di entrata in vigore del D.L.76/2013. Naturalmente, un controllo potrà essere effettuato anche prima del triennio successivo a tale data a patto che siano già lavorate più di 400 giornate. Quindi, realisticamente, solo a partire dai primi mesi del 2015 potrebbero potenzialmente già essere state effettuate 400 giornate di lavoro a chiamata e, quindi, potrebbe essersi verificato un superamento delle stesse, con conseguente trasformazione del contratto in normale contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Nel conteggio delle 400 giornate, inoltre, vi rientrano tutte quelle effettivamente lavorate, indipendentemente dalla durata della singola prestazione giornaliera, che ben potrebbe essere di un’ora soltanto.
Il D.L. 76/2013 ha poi spostato al 1 gennaio 2014 il termine ultimo di vigenza dei contratti di lavoro intermittente incompatibili con la nuova disciplina, introdotta dalla legge 92/2012, ed in essere alla data di entrata in vigore della medesima legge (18 luglio 2012) [4].
Sul punto la circolare 35/2013 ha confermato quanto già anticipato con circolare 18/2012, ovverosia che l’eventuale prestazione di lavoro intermittente in forza di un contratto non più compatibile comporterà il riconoscimento di un normale rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Inoltre, laddove tale prestazione non risulti nota alla Pubblica Amministrazione, la stessa dovrà effettivamente considerarsi vero e proprio lavoro nero. Tale conclusione, apparentemente severa, è frutto, tuttavia, di un logico automatismo giuridico. L’incompatibilità con la nuova disciplina comporta una cessazione ex lege del contratto. Una successiva prestazione lavorativa, quindi, non potrà nè avere titolo nel precedente contratto, ormai cessato, nè essere “coperta” dalla comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, originariamente effettuata. Pertanto la nuova prestazione sarà di fatto resa come se, rispetto alla stessa, non sia stata effettuata una comunicazione telematica di instaurazione del rapporto di lavoro e, per l’effetto, necessariamente, “in nero”. Fatta salva la possibilità di dimostrare la volontà di non occultare il rapporto di lavoro in questione, attraverso adempimenti di natura contributiva i quali, tuttavia, come sappiamo, vengono effettuati il mese successivo alla prestazione stessa, con evidenti problematiche probatorie in caso di accertamento che avvenga prima di tale momento.
Lavoro accessorio
In tema di lavoro a “voucher” l’unica modifica operata dal D.L.76/2013 attiene all’abrogazione dell’inciso “di natura meramente occasionale” previsto nella definizione di tale istituto, contenuta nel precedente articolo 70 del D.Lgs 276/2003 [5]. Una modifica più formale che sostanziale perché già la circolare 18/2012 aveva chiarito che la legittimità dell’istituto in questione andava verificata esclusivamente sulla base dei limiti di carattere economico, senza che il termine meramente occasionale potesse influire sulla tipologia di prestazione resa.
La modifica legislativa rafforza ulteriormente l’orientamento ministeriale. In sostanza una prestazione può oggi definirsi occasionale accessoria se nell’anno solare la stessa non abbia dato luogo a compensi superiori ai 5.000 euro, complessivi e riferiti alla totalità dei committenti, indipendentemente, quindi, da cosa abbia in concreto fatto il lavoratore e se lo stesso sia stato, ad esempio, perfettamente inserito nel ciclo produttivo del committente.
La futura esclusiva telematizzazione degli adempimenti di attivazione del lavoro a voucher, con conseguente abbandono del sistema cartaceo, permetterà un più completo ed oggettivo monitoraggio di tale istituto, consentendo altresì di verificare effettivamente il superamento della soglia dei 5.000 euro che, come già precisato dal Ministero con circolare 4/2013, determina una trasformazione del rapporto in quella che costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, ossia quella subordinata a tempo indeterminato.
Lavoro a progetto
Anche per le collaborazioni a progetto le modifiche del D.L.76/2013 hanno un impatto minimo sul piano ispettivo. Viene modificato l’articolo 61 del D.Lgs 276/2003, già profondamente novellato dalla legge 92/2012, sostituendo la disgiuntiva “o” con la congiunzione “e” nell’inciso relativo alle caratteristiche del progetto, il quale non può comportare lo svolgimento di compiti meramente “esecutivi e ripetitivi”. L’intervento normativo in parola, come detto, non incide particolarmente. Lo stesso Ministero ha confermato con la circolare 35/2013 quanto già aveva spiegato diffusamente nella precedente circolare 29/2012, ove si affermava la verosimile incompatibilità di alcune figure lavorative [6] con tale tipologia contrattuale la quale, come noto, richiede un progetto specifico finalizzato ad un autonomo risultato, obbiettivamente verificabile.
Decisamente di maggior rilievo l’intervento sull’articolo 62 del medesimo D.Lgs 276/2003. È stato infatti espunto l’inciso “ai fini della prova” riferito alla forma scritta del contratto che per l’effetto diviene definitivamente, anche sotto il profilo legislativo, un contratto a forma scritta ad substantiam.
Sotto il profilo ispettivo ci si allinea, pertanto, a quanto già previsto dalla Giurisprudenza maggioritaria, oltre che a quanto già specificato dalla presunzione assoluta del comma 1 dell’articolo 69 D.Lgs 276/2003. L’assenza della forma scritta, essenziale per la validità del contratto, non potrà che comportare la riconduzione dell’intero rapporto, anche in questo caso, alla forma comune prevista dall’Ordinamento, ossia il lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Note:
[1] Al momento esiste solo una proposta di linee guida per l’apprendistato professionalizzante, del 17 ottobre 2013, ancora al vaglio della Conferenza Stato Regioni.
[2] Così la prima parte del comma 3 dell’articolo 2 del D.L. 76/2013: “Decorso inutilmente il termine per l'adozione delle linee guida di cui al comma 2, in relazione alle assunzioni con contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, ((...)) trovano diretta applicazione le previsioni di cui alle lettere a), b) e c) del medesimo comma 2….”.
[3] La circolare 35 fornisce un facsimile di documento di registrazione il quale dovrà indicare rispetto alla formazione impartita: tipologia, descrizione, contesto di acquisizione, periodo di acquisizione e tipo di evidenze documentali a supporto dell’avvenuta acquisizione delle competenze descritte.
[4] Così i primi due commi del novellato articolo 34 del D.Lgs276/2003: “Il contratto di lavoro intermittente puo' essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno.
Il contratto di lavoro intermittente puo' in ogni caso essere concluso con soggetti con piu' di cinquantacinque anni di eta' e con soggetti con meno di ventiquattro anni di eta', fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età”.
[5] Così il precedente articolo 70 del D.Lgs 276/2003: “Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare…”
[6] Questo l’elenco delle attività “sospette”, contenuto nella circolare 29/2012: “addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici, addetti alle agenzie ippiche, addetti alle pulizie, autisti e autotrasportatori, babysitter e badanti, baristi e camerieri, commessi e addetti alle vendite, custodi e portieri, estetiste e parrucchieri, facchini, istruttori di autoscuola, letturisti di contatori, manutentori, muratori e qualifiche operaie dell’edilizia, piloti e assistenti di volo, prestatori di manodopera nel settore agricolo, addetti alle attività di segreteria e terminalisti, addetti alla somministrazione di cibi o bevande, prestazioni rese nell’ambito di call center per servizi cosiddetti in bound”.
[*] Il Dr. Mario è Pagano è componente del Centro Studi Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro
Le considerazioni esposte in questo articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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