«L’art. 41 della Costituzione: tendenze interpretative» di Massimo D’Antona
a cura di Roberto Leardi [*]
Nell’intento di favorire la discussione ed anche per tenere vivo il ricordo di Massimo D’Antona, riteniamo utile riportare uno stralcio di una delle sue prime opere, scritta nel 1979. Si tratta del Cap. 11 del libro “La reintegrazione nel posto di lavoro” (editrice CEDAM), attraverso il quale il Prof D’Antona accende i riflettori sull’art 41 della Costituzione, offrendo, su un tema particolarmente delicato, il suo pensiero che si rivela ancora oggi di grande attualità. Con la pubblicazione di questo stralcio, LAVORO@CONFRONTO inizia un percorso teso a riproporre agli studiosi ed ai lettori in genere, passaggi importanti della enorme opera che ci ha lasciato il Giuslavorista, prematuramente scomparso nel 1999.
11 - L’art. 41 Cost.: tendenze interpretative.
Il limite dell'utilità sociale.
La clausola di rispetto dei valori personalistici di libertà dignità e sicurezza.
Il carattere apparentemente contraddittorio dell'art. 41 – che da una parte riconosce come libertà individuale l'iniziativa economica privata e dall'altro ne subordina lo svolgimento al rispetto di valori generali (la utilità sociale) e personalistici (la sicurezza, libertà e dignità), indicando infine al legislatore l'opportunità di determinare «i programmi e i controlli» idonei ad indirizzare l'attività economica a fini sociali – ha dato luogo tentativi assai disparati di armonizzazione. Vi è chi anche di recente ha rilevato una diversità di oggetto tra i primi due comma, individuando la iniziativa economica coperta dalla garanzia di libertà del primo comma nell'atto di investimento, inteso come destinazione dei beni capitali al processo produttivo, e considerando l'impresa, nel senso economico-giuridico del termine, come momento o ipotesi dello svolgimento dell'attività economica [98]. Non sono mancati per la verità ammonimenti a non prendere troppo alla lettera questa distinzione, che enfatizza il momento della «intrapresa» rispetto a quello della «attività », allo scopo di dilatare gli spazi di controllo sociale su quest'ultima[99]. Posto infatti che il comma primo dell'art. 41 «è una garanzia costituzionale del diritto di impresa come diritto del privato» in tale garanzia non si potrebbe individuare soltanto «il riconoscimento di intraprendere liberamente attività economiche; tale libertà coincide interamente con il diritto di impresa, se esattamente si intenda questo, poiché altrimenti non si saprebbe in quale situazione giuridica soggettiva fissarlo»[100].
Sia pure alla luce di questi rilievi, la tesi della diversità di oggetto ha per noi un interesse se non altro descrittivo in quanto, riassumendo nel momento dello svolgimento dell'iniziativa economica «tanto i tipi di struttura quanto i moduli funzionali conseguenti alla destinazione produttiva dei beni capitali»[101]) (e di conseguenza estendendo il significato normativo dell'art. 41 tanto alle «istituzioni per mezzo delle quali viene esercitata l'attività produttiva» quanto ai «comportamenti e gli atti che realizzano concretamente l'esercizio medesimo») essa consente di concepire l'impresa-attività (e cioè l'insieme di «atti o fatti» attraverso cui si realizza l'organizzazione del processo produttivo) come il piano privilegiato su cui operano i limiti personalistici di cui al secondo comma dell'art. 41.
È necessario però tenere fermamente distinto il secondo precetto del comma (l'iniziativa economica non può svolgersi in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità) dal primo (né in contrasto con la utilità sociale). Non che entrambe le proposizioni non rispondano ad una uguale ragione di tutela; ma, rispetto al più noto e discusso limite della utilità sociale, la clausola di rispetto dei valori personalistici di libertà dignità e sicurezza presenta caratteri originali ed ha soprattutto molto da perdere dall'essere ricondotta all'interno del primo e più vasto limite.
Non occorre ricordare che sul significato e sulla efficacia del limite dell'utilità sociale opposti settori della dottrina si son dati battaglia in anni ormai lontani; in anni in cui, sarebbe ingiusto trascurarlo, l'intero ordinamento del lavoro scontava un ritardo storico rispetto al sistema di valori introdotto dalla costituzione. In questo quadro - istituzionale e culturale insieme - uno dei tentativi più organici per stabilire una continuità tra limiti costituzionali dell'iniziativa economica privata e limiti dei poteri dell'imprenditore (potere di licenziamento in primo luogo) si deve, com'è noto, a quel gruppo di giuristi che vollero inserire la valorizzazione dei dettati costituzionali «nel profondo processo di trasformazione» che andava investendo, anche in altri campi del diritto, «il nucleo interno di determinate posizioni soggettive» mettendo in luce come «in dipendenza del concorso di diversi interessi» questo nucleo venisse assumendo una configurazione strumentale o, meglio, funzionale [102]. Partendo da questi presupposti si affermò la funzionalizzazione dell'impresa privata a fini sociali, nel preciso senso che l'interesse dell'imprenditore libero nell'an, incontrerebbe, quanto al quomodo del suo esercizio, un limite interno, connaturato alla funzione stessa per la quale i relativi poteri sono giuridicamente riconosciuti: questo limite interno (la conformità degli atti di impresa all'utilità sociale) consentirebbe il sindacato del giudice di merito sui provvedimenti dell'imprenditore.[103]
Le critiche perentorie che si sono appuntate contro la tesi della funzionalizzazione[104] vanno condivise nella sostanza, ma con una non secondaria puntualizzazione. Chi oggi taccia la tesi di mistificazio ne ideologica[105] o, più recisamente, di superfluità oltre che di sovrautilizzazione della garanzia costituzionale[106], ha sui teorici della funzionalizzazione il rilevante vantaggio del senno del poi.
La tesi fu proposta con il deliberaro scopo di reagire al lungo e ostinato silenzio del legislatore negli anni più oscuri del «gelo costituzionale»; a quell'interessato contegno omissivo nel quale proprio GALGANO ha riconosciuto un preciso significato valutativo. Se è vero che il silenzio del legislatore – che premiava apertamente le aspirazioni espresse in quegli anni da consistenti settori del padronato italiano – equivalse a leggere il testo costituzionale nel senso che «l'iniziativa degli imprenditori privati, già nel suo spontaneo determinarsi, realizza l'utilità sociale»[107], bisogna pure ammettere che di tale scelta quei giuristi non vollero farsi complici.
L'operosità di un legislatore impegnato da più di un decennio a smantellare la disciplina codicistica del rapporto di lavoro ed a riedificarla in senso esplicitamente garantistico, consente oggi di imboccare senza rischi, nella interpretazione del secondo comma dell'art. 41, la via più diretta, quella che conduce a ritenere la norma destinata «agli organi legislativi dello Stato»[108] che, in nome dell'utilità sociale, sono autorizzati ad operare restrizioni alla libertà di iniziativa economica privata; con la rilevante conseguenza, per il tema che ci riguarda, che «parametro del sindacato che il giudice esercita sulle politiche perseguite dall'imprenditore, dev'essere, non l'utilità sociale in astratto, ma quel tanto di utilità sociale che è stata calata ed ha preso corpo nelle norme della legge»[109].
Ad ogni modo l'acquietarsi del dibattito collegato all'interpretazione del limite della utilità sociale, consente di misurare appieno il valore del secondo limite stabilito dall'art. 41 secondo comma: l'iniziativa economica non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, libertà e dignità.
Siamo innanzitutto di fronte ad una tipica norma di collegamento [110], poiché i valori affermati trovano riconoscimento in altre disposizioni della costituzione sicché, come è stato osservato, I'efficacia cogente di questo limite è anche il riflesso della precettività delle norme che tutelano la personalità del cittadino[111]. La formale riaffermazione che ne vien fatta di fronte all'iniziativa economica privata ha quindi un valore precettivo per così dire ulteriore. Essa ha in primo luogo la funzione di imporre il rispetto di quei valori - oltre che all'autorità pubblica - anche a quella autorità privata che può essere individuata nell'imprenditore stesso[112]. In secondo luogo vuoI consolidare la garanzia nei confronti dei soggetti che per la loro collocazione all'interno del processo produttivo sono più esposti al pericolo di violazione di beni personalistici[113].
Ciò significa che l'iniziativa economica privata è condizionata dal precetto del secondo comma dell'art. 41 al rispetto di una vasta garanzia della persona, che si sostanzia nella prevalenza sulla libertà di impresa dei tre valori della dignità («espressione sintetica della posizione dell'individuo nella comunità sociale e quale membro di essa»[114], che abbraccia l'insieme dei diritti della persona «nel suo statico esserci»[115]), della libertà (che trascrive in termini soggettivi lo spiegamento della persona verso il mondo esterno[116]) e della sicurezza (che per il lavoratore significa, oltre che fondamentalmente diritto alla integrità fisica, «sicurezza della propria esistenza, cioè garanzia di potere disporre in ogni tempo dei mezzi necessari alla propria esistenza ed alla esistenza della propria famiglia»[117]).
Questa prevalenza dell'integrità (in senso ampio) della persona è affermata nella specifica prospettiva di una diseguaglianza di potere di fatto, la cui «dimensione normativa» è misurabile secondo il «tipo generale descritto precettivamente dall' art. 3 Cost.»: essa contiene perciò un elemento dinamico che può essere descritto avvalendosi del concetto, di recente proposto nella dottrina costituzionalista, di potere privato (costituzionalmente rilevante). Avvalendosi di questo concetto «originariamente riconosciuto e dotato di autonoma rilevanza giuridica direttamente dal testo costituzionale»[118] – ma irriducibile ai termini tradizionali della teoria generale delle situazioni soggettive – nel capoverso dell'art. 41 può essere individuato il collegamento normativo tra i controlli giuridici sull'attività di impresa e la garanzia della sfera personale dei soggetti implicati.
Note:
[98] Baldassarre, voce Iniziativa economica privata, in Enc. Dir., voI. XII, Milano, 1971, p. 582-609 (Id., Le trasformazioni della impresa di fronte alla Costituzione, in Dem. e Dir., 1977, p. 15 e ss.). L'ampia ricostruzione di Baldassarre non va confusa con le tesi che, accentuando il carattere anfibologico della norma, son giunte a negare ad essa la precettività, nel senso almeno della impossibilità per il giurista «di rendere concreto un contenuto normativo generico »: così CHELI, Libertà e limiti all'iniziativa economica privata nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e nella dottrina, in Rass. dir. pubb., 1960, I, 300 ss.; su cui vedi per tutti Spagnuolo Vigorita, L'iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Milano, 1959, p. 78 ss.
[99] Così infatti esplicitamente Baldassarre «L'impresa moderna quindi al pari di ogni altra forma di gestione economica, non gode del principio di libertà statuito nell'art. 41 comma l°, cost., ma soggiace invece ai "limiti" previsti nel capoverso dello stesso articolo » (p. 595). Premessa di un siffatto assunto è che l'impresa «è soltanto uno sviluppo puramente eventuale dello investimento», «uno dei modi di organizzazione dell'attività produttiva ».
[100] Giannini, Diritto pubblico dell'economia, Bologna, 1977, p. 176-178.
[101] Baldassarre, Iniziativa, cit., p. 594-595. La concezione dell'impresa come «momento» di svolgimento dell'iniziativa economica è condivisa da Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, Roma, 1966, p. 1006; e vedi pure Natoli, Limiti costituzionali, cit., p. 94, 106; Id., Sicurezza, libertà, dignità, etc., citato alla nota 114.
[102] Così Natoli, Limiti costituzionali della autonomia privata nel rapporto di lavoro. I. Introduzione, Milano, 1955, qui p. 93; e vedi Belviso, Il concetto di «iniziativa economica privata» nella Costituzione, in Riv. dir. civ., 1961, I, 153; Micco, Lavoro e utilità sociale nella Costituzione, Torino, 1966; Bigliazzi Geri, Contributo ad una teoria dell'interesse legittimo nel diritto privato, Milano, 1967; disamina ragionata della dottrina in Cheli, Libertà e limiti, cit.
[103] V. soprattutto Natoli, Limiti, cit., p. 90 ss.; Belviso, Il concetto, cit., p. 153. E vedi pure Barcellona, Programmazione e soggetto privato, in Aspetti privatistici della programmazione economica, Milano, 1969, I, p. 104 ss.
[104] Critiche di segno e di contenuto non omogeneo. Per due posizioni emblematiche si vedano Minervini, Contro la «funzionalizzazione» dell'impresa privata, in Riv. dir. civ., 1958, I, 618 e Galgano, L'imprenditore, Bologna-Roma, 1971; p. 96-97; In., Le istituzioni dell'economia capitalistica, Bologna, 1974; Id., La libertà di iniziativa economica privata nel sistema delle libertà costituzionali, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia diretto da F. Galgano, I, La costituzione economica, Padova, 1977, 511 ss. Ma vedi pure Spagnuolo Vigorita, L'iniziativa economica privata, cit., passim; Mancini, sub art. 4, in Commentario della Costituzione a cura di Giuseppe Branca, Bologna-Roma, 1975, pp. 234 e ss., 242, 243; e per una particolare prospettiva, Amato, Introduzione a Il governo del- l'industria in Italia, Bologna, 1972.
[105] Così Galgano, L'imprenditore, cit., p. 97-98: «Il dire che l'iniziativa economica privata "è legittima in quanto socialmente utile" equivale a .dire che essa è legittima perché socialmente utile» per cui, al di là delle intenzioni dei suoi sostenitori, la tesi finirebbe per tessere «una apologia dell'iniziativa economica privata, oltre tutto estranea alla Costituzione».
[106] Mancini, Op. ult. cit., p. 242-243.
[107] Galgano, L'imprenditore, cit., p. 99.
[108] Galgano, L'imprenditore, cit., p. 98 e ancora di recente La libertà di iniziativa economica privata, cit., p. 513-515. Ma già prima la tesi della «riserva di legge» era sostenuta da diversi Autori: per tutti Spagnuolo Vigorita, Op. cit.; Cerri, Problemi generali sulla riserva di legge e misure restrittive della libertà economica, in Giur. cost., 1968, p. 2235 ss.
[109] Mancini, Op. e loc. ult. cit.; per una attenta puntualizzazione del problema, con particolare riferimento al c.d. giustificato motivo oggettivo di licenziamento, Gentili Ballestrero, I licenziamenti, cit., p. 363 ss.
[110] Nel senso in cui propone questo termine Lombardi in Potere privato e diritti fondamentali, cit. Vedi comunque n. 12.
[111] Così Belviso, Il concetto, cit., p. 156; Baldassarre, Op. cit., p. 601·602; Spagnuolo Vigorita, Op. cit., p. 240, ss.
[112] Baldassarre, Op. cit., p. 602 testo e nota 59.
[113] Così Berretta, Osservazioni in tema di limiti alla libertà di iniziativa economica privata (con particolare riferimento alla giurisprudenza della Corte Cost.), in Rass. dir. pubb., 1970, I, p. 313-348, qui 334. Ritengono che destinatari della disposizione siano i soli lavoratori subordinati: Coli, La proprietà e l'iniziativa economica privata, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana, diretto da Calamandrei e Levi, I, Firenze, 1950, p. 364; Cassese, I beni pubblici. Circolazione e tutela, Milano, 1969; Spagnuolo Vigorita, Op. cit., p. 237.
[114] Così Natoli, Sicurezza, libertà e dignità del lavoratore nell'impresa, in Dir. Lav., 1956, I, 3-12, qui p. 8.
[115] Secondo l'immagine di Nipperday, riportata da Baldassarre, Op. loc. ult, cit.
[116] Così molto efficacemente Baldassarre, Op. loc. ult. cit.
[117] Natoli, Op. ult. cit., p. 10 e vedi Smuraglia, La Costituzione e il sistema del diritto del lavoro, Milano, 1958, p. 59. Per una accezione assai più ristretta propende Baldassarre, Op. cit., p. 601, nota 57 e 602, nota 59.
[118] Lombardi, Potere privato, cit., p. 97.
[*] Tratto da:
PUBBLICAZIONI DELL’ISTITUTO DI DIRITTO PRIVATO DELL’UNIVERSITA’ DI ROMA
MASSIMO D’ANTONA
LA REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO
Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori
PADOVA – CEDAM
- 1979
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