Tutela delle Lavoratrici Madri – Le ipotesi di interdizione anticipata dal lavoro: brevi linee guida
di Cecilia Avanzi [*]
La norma di riferimento in tema di maternità e paternità è costituita dal D. Lgs. n. 151/2001 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53". Il Testo Unico costituisce una raccolta organica e sistematica delle varie disposizioni che, nel tempo, sono intervenute a disciplinare la materia, tra cui la L. n. 1204/1971, il D.P.R. n. 1026/1976, la L. n. 903/1977 e la L. n. 53/2000.
In questo articolo, verranno analizzati in particolare i casi di anticipazione dell’astensione obbligatoria dal lavoro ed il prolungamento dell’astensione fino al settimo mese dopo il parto (artt. 6, 7, 16 e 17 del T.U. n. 151/2001), che presuppongono un provvedimento da parte della Direzione Territoriale del Lavoro competente.
Congedo parentale
In genere, la lavoratrice in stato di gravidanza ha diritto al congedo di maternità (la c.d. astensione obbligatoria) per un periodo pari a cinque mesi, di cui due mesi precedenti la data presunta del parto e tre mesi successivi al parto.
Se il parto avviene in anticipo rispetto alla data presunta, si possono aggiungere ai tre mesi di astensione post - partum i giorni di astensione obbligatoria non goduti prima del parto (ovviamente dovrà essere presentato il certificato attestante l’effettiva data dell’evento).
Congedo c.d. flessibile (art. 20 D.Lgs. n. 151/2001)
Ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, la lavoratrice ha la possibilità di chiedere la prosecuzione del lavoro fino all’ottavo mese di gravidanza, ottenendo così un mese di astensione dal lavoro prima del parto e quattro mesi dopo il parto. Si tratta del congedo di maternità c.d. flessibile. Unica condizione affinché tale flessibilità sia lecita è rappresentata dal fatto che il medico specializzato del SSN ed il medico del lavoro, ove previsto, attestino che la permanenza al lavoro fino all’ottavo mese non comporta pregiudizio né per la gestante né per il nascituro.
La lavoratrice che intende avvalersi di tale opzione, deve presentare apposita domanda al datore di lavoro, corredata dalle certificazioni sanitarie di cui sopra, acquisite nel corso del settimo mese di gravidanza.
Anticipazione (art. 17, comma 2, D.Lgs. n. 151/2001)
L’astensione obbligatoria può essere anticipata in alcune ipotesi particolari previste dall’art. 17, comma 2 del D.Lgs. n. 151/2001:
a) per gravi complicanze della gravidanza o preesistenti forme morbose che possono essere aggravate dalla gravidanza;
b) per condizioni ambientali o di lavoro pregiudizievoli alla salute della futura mamma o del nascituro;
c) quando la lavoratrice svolge un’attività faticosa o insalubre o che la espone ad un rischio per la sicurezza e la salute e non possa essere spostata dal datore di lavoro ad altre mansioni.
Analizziamo di seguito nel dettaglio i singoli casi di anticipazione del congedo parentale così come disciplinati dalla normativa vigente.
a) Anticipazione per gravi complicanze della gestazione (art. 17, 2 comma, lett. a) D.Lgs. n. 151/2001)
L’art. 17, 2 comma, lett. a) del D.Lgs. n. 151/2001 è stato recentemente oggetto di una importante modifica normativa: a partire dal 1° aprile 2012, infatti, l’art. 15 del D.L. n. 15/2012, il c.d. Decreto Semplifica Italia, ha assegnato alle Aziende Sanitarie la competenza ad emettere i provvedimenti di interdizione anticipata dal lavoro nel caso di “gravi complicanze della gestazione o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza”. In precedenza e fino a tale data, l’autorità ad emettere il relativo provvedimento era attribuita alla competenza esclusiva del Ministero del Lavoro attraverso le proprie articolazioni periferiche – Direzioni Territoriali del Lavoro.
A far data dal 1° aprile 2012, dunque, è il servizio sanitario locale a provvedere, in via esclusiva, alla procedura di interdizione anticipata dal lavoro per gravi complicanze della gravidanza o preesistenti forme morbose, compresa l’adozione del provvedimento finale di astensione.
Tuttavia, nonostante questo avvicendamento di competenze, gli Uffici territoriali del Ministero del Lavoro hanno sempre garantito una proficua e fattiva collaborazione istituzionale con le Aziende Sanitarie Locali, sia nella fase transitoria sia nel prosieguo, e ciò nell’ottica di assicurare la continuità dell’azione amministrativa e la tutela delle lavoratrici in stato di gravidanza nelle more della convocazione della Conferenza Stato-Regioni che, secondo il novellato dettato legislativo, dovrà definire le modalità di rilascio delle autorizzazioni da parte delle AA.SS.L. Tale collaborazione è stata, peraltro, esplicitamente richiesta dalla Direzione Generale per l’Attività Ispettiva con lettera circolare del 29/03/2012 prot. 7247.
Nonostante l’avvicendamento di competenze, rimangono valide le istruzioni operative al fine del rilascio del provvedimento ex art. 17, 2° comma, lett. a) fino ad oggi impartite dal Ministero del Lavoro; in particolare, la domanda presentata dalla lavoratrice madre, corredata da idonea certificazione del medico specialista attestante le condizioni della lavoratrice, si intende accolta decorsi 7 giorni dalla presentazione dell’istanza completa di tutta la documentazione. In caso di accoglimento della domanda, il provvedimento di interdizione decorre “dalla data di inizio dell’astensione del lavoro”, secondo quanto previsto dall’art. 18 del D.P.R. n. 1026/1976 (risposta ad interpello prot. n. 6584 del 28 novembre 2006 e lettera circolare n. 5249 del 17 aprile 2008). Tale soluzione, in linea con il presupposto del provvedimento di interdizione anticipata, e cioè lo stato di salute della lavoratrice che non consente di proseguire l’attività lavorativa, appare ulteriormente fondata in quanto evita che si possa determinare un periodo di assenza ingiustificata tra il primo giorno di allontanamento dal lavoro disposto dal medico specializzato e la data di presentazione dell’istanza.
La data di inizio dell’assenza dal lavoro, richiesta alla lavoratrice al momento della presentazione dell’istanza, risulta dal libro unico tenuto dal datore di lavoro, e non potrà essere anteriore, così come il provvedimento finale di interdizione, alla data di rilascio del certificato medico allegato.
Nel caso in cui la lavoratrice sia contemporaneamente impiegata con contratto part time in più rapporti di lavoro, verrà emesso un provvedimento di interdizione per ciascuno dei rapporti di lavoro instaurati (risposta ad interpello prot. n. 6584 del 28 novembre 2006).
b) Anticipazione per condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli (art. 17, 2 comma, lett. b) D.Lgs. n. 151/2001)
c) Anticipazione per attività faticosa e insalubre (art. 17, 2 comma, lett. c) D.Lgs. n. 151/2001)
Il D.L. n. 5/2012 ha mantenuto in capo ai servizi ispettivi degli Uffici territoriali del Ministero del Lavoro il rilascio del provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro della lavoratrice madre, laddove, accertata l’impossibilità di spostamento ad altre mansioni della stessa, le condizioni di lavoro rientrino in talune fattispecie di cui all’allegato A e B del D.Lgs. n. 151/2001 - art. 17, 2 comma, lett. b) - ovvero quando, valutati i rischi per la sicurezza e la salute della lavoratrice, con particolare riferimento all’esposizione alle fattispecie di cui all’Allegato C del D.Lgs. n. 151/2001, l’attività svolta debba ritenersi pregiudizievole e sussista l’impossibilità di spostamento della lavoratrice ad altre mansioni, più confacenti – art. 17, comma 2, lett. c).
Preliminarmente va chiarito che presupposto indefettibile affinché possa essere validamente emesso un provvedimento interdittivo per lavoro a rischio è che sussista un’effettiva prestazione lavorativa, per cui tale provvedimento non può essere emesso qualora la lavoratrice sia in stato di disoccupazione, in CIG a zero ore ovvero sospesa dal servizio. In caso di rapporto di lavoro a tempo determinato, il provvedimento deve avere una scadenza coincidente con la scadenza del contratto a tempo determinato.
Il Ministero del Lavoro, prima con circolare prot. n. 8712 del 08/05/2012 e successivamente con circolare prot. n. 7553 del 29/04/2013, ha dato agli uffici territoriali alcune istruzioni operative al fine di uniformare il comportamento delle DTL competenti all’emissione dei provvedimenti di interdizione anticipata.
Il Ministero ha chiarito quali siano i presupposti di fatto e di diritto che devono sussistere al fine dell’emissione dei provvedimenti di cui all’art. 17, 2° comma del D.Lgs. n. 151/2001; tali presupposti sono costituiti dalla sussistenza di entrambe le seguenti condizioni:
che l’attività svolta dalla lavoratrice rientri nelle previsioni di cui all’art. 7, commi 1 e 2 D.Lgs. n. 151/2001 ovvero, pur non rientrando in tali previsioni, sulla base della valutazione del rischio effettuata dal datore di lavoro, risulti pregiudizievole per la lavoratrice a seguito
- dell’accertamento ispettivo;
- che venga accertata l’impossibilità di spostamento ad altre mansioni.
Tali elementi costituiscono il presupposto istruttorio del provvedimento interdittivo; in tale ambito l’attività di accertamento verrà effettuata da parte della stessa amministrazione competente all’emissione dell’atto, quindi la DTL territorialmente competente. Pertanto, a seguito del D.L. n. 5/2012 convertito in Legge n. 35/2012, la verifica circa la sussistenza dei presupposti non sarà più effettuato dalle Aziende Sanitarie Locali.
La Direzione Territoriale del Lavoro competente, sia ai fini dell’emissione del provvedimento sia ai fini della verifica ispettiva, è quella della provincia nel cui ambito la lavoratrice è addetta.
I lavori vietati di cui all’art. 7, commi 1 e 2 del D.Lgs. n. 151/2001 sono quelli indicati negli Allegati A e B del D.Lgs. n. 151/2001 ovvero situazioni di rischio da esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, evidenziate dal datore di lavoro in sede di Documento di Valutazione dei Rischi (DVR).
Soltanto qualora il datore di lavoro non sia materialmente in grado di modificare temporaneamente le condizioni di lavoro o l’orario o le mansioni della lavoratrice, adibendola a mansioni anche inferiori, purché a parità della retribuzione, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla DTL competente per territorio. Il provvedimento dell’organo periferico del Ministero del Lavoro deve, infatti, fondarsi su un elemento documentale, e cioè la dichiarazione del datore di lavoro “nella quale risulti in modo chiaro, sulla base di elementi tecnici attinenti all’organizzazione aziendale, l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni” (art. 18, comma 8, D.P.R. n. 1026/1976).
Recepita tale dichiarazione, la DTL può disporre il provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro della lavoratrice. Tale provvedimento, a differenza di quello concesso ex art. 17, 2° comma lett. a), può essere adottato entro sette giorni dalla richiesta avanzata, e l’interdizione anticipata decorrerà dalla data del provvedimento stesso.
Quanto al presupposto di impossibilità di spostamento ad altre mansioni, già con la risposta ad interpello prot. n. 6584 del 28/11/2006 il Ministero del Lavoro aveva chiarito che tale impossibilità non va intesa in senso assoluto, e cioè quando il datore di lavoro non ha alcuna mansione alternativa a cui adibire la lavoratrice, bensì in senso relativo, cioè quanto “la mansione alternativa astrattamente reperibile risulti in concreto così poco impegnativa, ad esempio il fatto di essere già svolta da altri dipendenti, da considerarsi effettivamente inesigibile”. In questo senso, sarebbe inammissibile un provvedimento di interdizione dal lavoro a rischio solo parziale, in quanto “la norma prevede l’interdizione dal lavoro solo qualora sia accertata l’impossibilità di reperire altre mansioni confacenti e non richiede l’esatta equivalenza delle nuove mansioni, addossando di fatto al datore di lavoro l’onere di garantire comunque alla lavoratrice l’intera retribuzione, anche qualora le nuove mansioni fossero inferiori o meno impegnative delle precedenti in termini di durata dell’orario di lavoro”.
La valutazione circa l’impossibilità di spostamento ad altre mansioni compete, quindi, in via esclusiva al datore di lavoro, il quale nella valutazione di tale eventualità deve tener conto del fatto che il mutamento di mansioni o l’adibizione a mansioni diverse, anche inferiori, garantisca l’efficienza dell’organizzazione aziendale e non comprometta le finalità economiche dell’azienda stessa. di conseguenza, in realtà particolari come quelle cooperative la cui natura è eminentemente mutualistica, le valutazioni di carattere organizzativo dovranno tener conto di tale finalità nonché della struttura aziendale.
L’adibizione della lavoratrice a mansioni diverse rispetto a quelle cui normalmente è normalmente addetta, tuttavia, non deve risultare uno spostamento puramente “collocativo”, in quanto tale situazione sarebbe in netta e palese contraddizione con le finalità economiche dell’azienda
Come chiarito dal Ministero con nota prot. n. 1865/2006, il datore di lavoro può disporre lo spostamento della lavoratrice ad altre mansioni anche previo trasferimento ad altra unità produttiva della stessa azienda, a condizione che tale unità si trovi nello stesso comune e previo consenso dell’interessata.
Il Ministero, con la citata nota del 29/04/2013, ha chiarito che il prevedimento di interdizione anticipata deve tener conto non solo delle condizioni di lavoro in senso stretto, ma anche delle condizioni ambientali in cui la prestazione lavorativa viene effettuata.
Poiché la valutazione del rischio effettuata dal datore di lavoro in sede di DVR costituisce il presupposto per il rilascio del provvedimento interdittivo in parola, al di fuori dei casi previsti dall’art. 7, commi 1 e 2, il Ministero con la nota da ultimo citata ha ritenuto di doversi soffermare sul fatto che non è assolutamente opportuno che le sedi territoriali entrino nel merito della valutazione del rischio effettuata dal datore di lavoro: sul punto, ha richiamato il potere esclusivo del datore di lavoro di valutare la fattibilità dello spostamento della lavoratrice ad altre mansioni, “tenuto conto del fatto che egli (il datore di lavoro) è l’unico soggetto in grado di conoscere, in quanto da lui stesso definita in ragione del ruolo rivestito, l’effettiva organizzazione aziendale”. In casi del tutto eccezionali, laddove emergano vistose contraddittorietà, assoluta carenza di adeguati criteri valutativi e assoluta genericità delle risultanze della valutazione, la DTL potrà valutare l’opportunità di segnalare il fatto alla competente azienda sanitaria locale affinché venga disposta da quest’ultima una verifica circa l’adeguatezza del documento di valutazione dei rischi. Tale ulteriore ed eventuale accertamento non potrà, ad ogni modo, costituire un ostacolo al rilascio del provvedimento interdittivo da parte della DTL.
Infine, l’eventuale provvedimento di diniego all’interdizione anticipata della lavoratrice deve fondarsi sulla mancanza di condizioni di rischio per la salute della lavoratrice ovvero nella possibilità ricollocativa della stessa in mansioni diverse non a rischio. Come tutti i provvedimenti di natura amministrativa, anche il provvedimento di diniego deve essere adeguatamente motivato, facendo espresso riferimento alla riscontrata mancata sussistenza delle condizioni di cui agli allegati A e B del T.U. ovvero all’esito della valutazione del rischio, sia per quanto attiene alla valutazione del rischio in sé sia per le misure organizzative e tecniche adottate per la salvaguardia della salute della lavoratrice, compresa la valutazione circa l’eventuale spostamento ad altre mansioni.
Qualora, infine, la DTL dovesse ritenere sussistere la possibilità di spostamento della lavoratrice ad altre mansioni, deve darne esplicita evidenza nella motivazione del provvedimento, evitando, comunque, di travalicare le limitazioni che le valutazioni dell’organo amministrativo relative a fattori organizzativi aziendali incontrano nell’art. 2082 c.c. e nell’art. 41, 1° comma, della Costituzione.
Prolungamento dell’astensione fino al settimo mese dopo il parto (artt. 6 e 7 D.Lgs. n. 151/2001)
La DTL può, altresì, disporre il prolungamento dell’astensione del congedo per maternità fino al settimo mese dopo il parto qualora:
- sussistano condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli per la salute della donna o del bambino;
- permanga l’impossibilità del datore di lavoro di adibire la lavoratrice ad altre mansioni.
Si deve trattare di rischi di cui agli elenchi degli allegati B e C del D.Lgs. n. 151/2001. Anche in questa ipotesi, la domanda per ottenere il prolungamento del congedo per maternità va inviata alla DTL territorialmente competente, e cioè quella della provincia ove la lavoratrice presta la propria attività.
La domanda può essere presentata, come nel caso di astensione anticipata, sia dalla puerpera sia dal datore di lavoro, con l’indicazione dell’attività svolta dalla lavoratrice e di quali siano i lavori faticosi, pericolosi e insalubri che giustificano la richiesta di prolungamento dell’astensione stessa. Alla domanda, andrà allegato un certificato di nascita del figlio ovvero una dichiarazione sostitutiva.
Anche in questo caso, come nel caso del provvedimento di astensione obbligatoria anticipata, affinché possa essere disposto il prolungamento del congedo, è necessario che sia in essere un’effettiva prestazione lavorativa.
[*] Funzionario della Direzione Territoriale del Lavoro di Udine.
Ogni considerazione è frutto del proprio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza, ai sensi della circolare del Ministero del Lavoro del 18 marzo 2004
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