Voucher: una storia infinita
di Piero Cascioli [*]
Con il D.L. N. 25 del 17 marzo 2017 si scrive la parola "fine" al lavoro occasionale accessorio dopo un lungo e travagliato processo fatto di aggiustamenti e ritocchi continui che lo avevano trasformato in un qualcosa di ibrido. Il percorso del lavoro accessorio fa pensare a quelle signore che a forza di ritocchi finiscono per martoriare i propri volti, arrivando a volte a confondere i propri tratti identitari. Ecco, il lavoro accessorio è stato in Italia un po’ questo.
Mutuato da analoghi istituti felicemente collaudati in Belgio, Francia, Gran Bretagna, Austria, ha assolto originariamente a quella che era la sua funzione: bonificare, in una certa misura, quegli ambiti lavorativi caratterizzati da estrema occasionalità dove si annidavano in modo sistematico forme di lavoro irregolare.
Il legislatore di allora aveva posto infatti stringenti limiti oggettivi e soggettivi che ne contingentavano l’utilizzo e ne prevenivano le forme di abuso più eclatanti. Questi limiti sono andati gradualmente allentandosi fino ad arrivare ad una loro completa eliminazione, facendo perdere all’istituto i suoi connotati tipici: l’accessorietà, in quanto le prestazioni non accedevano ormai più a nulla; l’occasionalità, che si reggeva ormai sul solo limite quantitativo dei 7000 euro annui (2000 per gli imprenditori).
Nei Paesi europei da cui era stato mutuato, soprattutto Belgio e Francia, il lavoro con voucher, quello era e quello è rimasto, con qualche piccolo ritocco migliorativo che tuttavia non ne ha snaturato e fuorviato la funzione originaria.
In Italia lo si è voluto trasformare in uno strumento di contrasto al lavoro irregolare, dotato di una estrema flessibilità in entrata ed in uscita dal mercato del lavoro. Nei Paesi europei dove tuttora vige, il lavoro accessorio ha una sua funzione specifica che consente di tenerlo ancorato in un determinato ambito di attività, prevenendone così forme di abuso. Con la sola eccezione della Germania, dove ha funzioni ed obiettivi diversi, pur sempre ben delimitati e controllati, negli altri Paesi europei (Belgio, Francia, G.B., Austria) il lavoro con voucher è rivolto essenzialmente a rispondere alla crescente esigenza di assicurare servizi alla persona in ambito domestico. Così, le imprese che ne fanno uso, fruiscono di considerevoli sgravi fiscali e contributivi e nel contempo prevengono, in una certa misura, l’assenteismo dal lavoro. Lavoratrici e lavoratori, attraverso i voucher –in alcune realtà lavorative consegnati direttamente dal datore- possono tranquillamente ricorrere ad assunzioni di figure, più o meno professionali, (colf, assistenti, badanti, ecc.) che assicurano l’assistenza alle persone tenute in contesto familiare (infanti, anziani, disabili, ecc.). In tal modo, si assicura: l’assistenza; un reddito, seppur modesto, ai prestatori; la presenza nei posti di lavoro; l’istituto resta ancorato in ristretti ambiti di attività confacenti alla sua natura e nessuno ne abusa. Ecco la ricetta per un lavoro accessorio utile e genuino, naturalmente con qualche tutela in più rispetto a quello appena abrogato.
Cosa è accaduto invece in Italia?
Nel 2008, quando il lavoro accessorio aveva ancora stringenti limiti oggettivi e soggettivi, risultavano venduti circa mezzo milione di voucher; nel 2016, quando i limiti erano stati del tutto eliminati, ne sono risultati venduti 135 milioni. I dati sono eloquenti e ci forniscono la chiave di lettura su quello che è successo: prima poca informazione; dopo l’abuso. È mancato il giusto mezzo, questo in estrema sintesi.
L’abuso è cresciuto in modo proporzionale all’abbattimento graduale dei limiti.
Ma la vera considerazione da fare riguarda i contenuti dell’istituto. Vale a dire, che per così come era fatto, avrebbe dovuto necessariamente restare in ambiti ristretti. Più precisamente, le tutele deboli in esso contenute potevano avere un grado di tollerabilità accettabile in quegli ambiti di attività marginali in cui era stato circoscritto in origine; con l’ampliamento del campo di applicazione quel grado di tollerabilità non era più accettabile poiché la mancanza di tutele, oltre alla forte penalizzazione dei prestatori di lavoro, produceva non trascurabili squilibri nel mercato del lavoro. Così, paradossalmente, l’esplosione delle vendite ha determinato l’esplosione dell’istituto stesso.
Certamente, poteva essere trovata una strada mediana, magari ricondurlo nella sua giusta dimensione oggettiva e soggettiva, con in più, un adeguamento delle tutele. È stato invece abrogato, per lo più con un decreto legge. Due eccessi diametralmente opposti: dall’uso smodato ed esagerato alla cancellazione repentina per lo più con i caratteri della necessità ed urgenza.
“la ragione perfetta rifugge dagli eccessi ma esige anche una saggezza sobria”
– Molière.
[*] Responsabile Area Vigilanza 1 di coordinamento dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Roma. Vincitore del Premio Massimo D’Antona 2016. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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