Il futuro dei Servizi per l’impiego
I nuovi compiti previsti dalla Legge 81/2017 e l’assenza di una visione strategica
di Gianluca Meloni [*]
Attraverso l’approvazione della Legge 22 maggio 2017, n. 81 – pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 13 giugno 2017, n. 135 – il legislatore ha apportato rilevanti modifiche relativamente a due modalità di lavoro che non avevano avuto trattazione nel Jobs Act: da un lato il provvedimento è finalizzato a regolare il lavoro agile, ossia il lavoro subordinato svolto in tutto o in parte fuori dalle mura dei tradizionali luoghi di lavoro – superando e innovando la vecchia prospettiva del telelavoro – dall’altro la norma definisce una serie di tutele giuridiche e sociali per i lavoratori autonomi non imprenditori.
L’estensione al lavoro autonomo di meccanismi di tutela tipici del welfare dedicato ai lavoratori subordinati, risponde a un’esigenza che è divenuta sempre più forte con l’aumentare del numero di individui che operano nel mercato del lavoro attraverso forme di impiego non conformi al modello del rapporto di lavoro dipendente, spesso a iniziare dal loro primo inserimento lavorativo.
Nel secondo dopoguerra, e fino agli anni settanta del secolo scorso, si era assistito a una diminuzione del lavoro autonomo (che in determinati contesti veniva interpretato come un segnale di arretratezza e tradizionalismo), tendenza che si è invertita nel corso degli anni ottanta, in particolare in conseguenza dell’incremento costante della disoccupazione e della crescente aspettativa che un rimedio ad essa potesse trovarsi nell’auto-imprenditorialità e nella capacità occupazionale generata dalle microimprese, nel contesto di un progressivo sviluppo dell’economia dei servizi.
Negli anni Novanta si è verificata un’ulteriore crescita del peso del lavoro autonomo, in particolare delle forme di collaborazione “parasubordinata”: si tratta di un incremento che forse non ha avuto la consistenza quantitativa in termini assoluti che spesso le è stata attribuita, ma ha avuto senza dubbio un’ampia rilevanza sociale e una forte incidenza in specifiche fasce di lavoratori.
Soffermandoci sugli aspetti numerici, all’inizio dello scorso decennio i lavoratori autonomi erano quantificati nell’ordine dei due milioni di unità, fino a superare i tre milioni nel 2004: in realtà tali valori – seppure fossero considerati al tempo dati realistici e di conseguenza allarmanti – erano evidentemente sovrastimati, frutto di stime basate sui dati degli iscritti alla gestione separata Inps istituita dalla riforma previdenziale del 1995.
Tale dato complessivo risultava distorto principalmente per due motivi principali:
- dalla circostanza che, in assenza di cancellazione, il numero degli iscritti risultava di gran lunga superiore a quello dei contribuenti attivi;
- dalla presenza, nella gestione separata, di figure professionali eterogenee, anche di elevato profilo professionale, che non sembrano esprimere nessun particolare bisogno di tutele.
Negli ultimi tre decenni si è verificato un fenomeno di trasformazione, più che di crescita, del lavoro autonomo, attraverso:
- una progressiva estensione dello stesso al di là dei settori ai quali era prevalentemente confinato nei primi decenni del dopoguerra (agricoltura e commercio al dettaglio), in particolare nell’ambito dei servizi;
- la diffusione di figure professionali, che operano in modalità di lavoro autonomo, diverse dai modelli tradizionalmente consolidati.
Nello specifico, ad affermarsi è stato il “lavoro autonomo di seconda generazione”, definizione coniata per indicare il lavoro autonomo più debole, ossia quello che riguarda le categorie che necessitano di tutele e servizi di supporto simili o assimilabili a quelli previsti per i lavoratori dipendenti: tali modalità di lavoro in Italia hanno assunto prevalentemente la forma di “lavoro economicamente dipendente”, collocato entro lo schema giuridico della collaborazione coordinata e continuativa.
Sebbene il Jobs Act sia intervenuto a dare nuova regolazione alle collaborazioni coordinate e continuative, ponendo vincoli rigidi che tendenzialmente hanno posto fine al fenomeno del lavoro parasubordinato, le esigenze di tutela per i lavoratori autonomi restano inalterate.
È in tale contesto che si collocano le misure introdotte dalla Legge 22 maggio 2017, n. 81, nella quale il legislatore ha previsto per i lavoratori autonomi la possibilità di accesso ai servizi erogati dai centri per l’impiego: nello specifico, l’articolo 10 regola l’accesso alle informazioni sul mercato e servizi personalizzati di orientamento, riqualificazione e ricollocazione, prevedendo che “i centri per l'impiego e gli organismi autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro ai sensi della disciplina vigente si dotano, in ogni sede aperta al pubblico, di uno sportello dedicato al lavoro autonomo, anche stipulando convenzioni non onerose con gli ordini e i collegi professionali e le associazioni costituite ai sensi degli articoli 4, comma 1, e 5 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, nonché con le associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei lavoratori autonomi iscritti e non iscritti ad albi professionali”.
In base alle previsioni della norma, lo sportello dovrebbe essere finalizzato a:
- raccogliere le domande e le offerte di lavoro autonomo;
- fornire informazioni relative alle procedure per l'avvio di attività autonome e per le eventuali trasformazioni;
- fornire informazioni e supporto ai lavoratori autonomi con disabilità;
- erogare informazioni per l'accesso a commesse ed appalti pubblici, nonché relative alle opportunità di credito e alle agevolazioni pubbliche nazionali e locali.
I centri per l’impiego sono in grado – come richiede la norma – di fare fronte ai nuovi adempimenti “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente”?
Evidentemente no, per diversi motivi. Innanzitutto per un problema di consistenza numerica degli organici, attualmente sotto dimensionati: nel nostro paese il personale dei centri per l’impiego è di poco superiore alle seimila unità (solo per avere un termine di paragone, in Francia sono poco meno di trentamila, nel Regno Unito sessantasettemila e in Germania settantaquattromila). Al di là delle valutazioni relative alla dimensione degli organici, l’aspetto di maggiore criticità è costituito dalle skills inadaguate degli operatori, non solo rispetto alle nuove mansioni richieste dalla Legge 22 maggio 2017, n. 81, ma più in generale rispetto al contesto di un mercato del lavoro che in questi anni è mutato profondamente e sta cambiando con grande rapidità, ponendo esigenze sempre più complesse: l’industria 4.0, l’esigenza di rapportarsi con aziende e scuola per favorire la transizione scuola lavoro, la crescenze mobilità in ambito UE di lavoratori e imprese.
È evidente che senza un forte investimento in risorse umane e in innovazione tecnologica (con strumenti che rendano più agevole e veloce l’attività degli operatori) i Spi non saranno in grado di rispondere efficacemente a tali sfide. Queste ultime però possono essere il punto di svolta da cui fare iniziare un ripensamento del ruolo dei servizi pubblici, e della loro mission, in particolare con riferimento a quei contesti nei quali gli operatori privati non sono in grado o non vogliono intervenire perché estranei al loro business (come ad esempio l’alternanza scuola lavoro).
L’attribuzione di nuove funzioni ai centri per l’impiego in assenza di nuovi investimenti rischia di aumentarne la marginalità: è necessario che il legislatore operi in tempo rapidi una ridefinizione del loro ruolo strategico – che è mancata nel Jobs Act – scegliendo se questi ultimi debbano agire su un piano di competizione con le agenzie per il lavoro, oppure se la scelta debba essere quella della collaborazione e dell’integrazione tra pubblico e privato. Nel primo caso occorrerebbe costruire un percorso progressivo di fuoriuscita dei servizi per l’impiego dalla Pubblica Amministrazione, nel secondo caso i Spi dovrebbero invece trasformarsi in un’infrastruttura di servizi con compiti distinti da quelli attuali e dalle funzioni delle agenzie private.
[*] Laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Cagliari, ha conseguito il Master in Safety Management all'Università di Modena e Reggio Emilia. Da oltre dieci anni si occupa professionalmente di consulenza per il mercato del lavoro - in particolare nell’ambito dello sviluppo dei servizi per l’impiego e dei sistemi informativi – e di innovazione e gestione della conoscenza nelle organizzazioni pubbliche e private. www.innovazionelavoro.it
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