Riforma del Terzo settore: un cantiere ancora aperto
di Dorina Cocca e Tiziano Argazzi [*]
Dopo anni di discussioni e dibattiti, a volte anche accesi, è arrivata in porto la riforma del terzo settore. Il corposo provvedimento (104 articoli) è contenuto nel Decreto legislativo 3 luglio 2017 n. 117, già noto come “Codice del Terzo Settore”, nel seguito “Codice”[1].
Fra i contenuti principali la cancellazione delle Onlus (acronimo che identificava le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale), la nascita degli Ets (acronimo che identifica gli Enti del terzo settore), l’istituzione del Registro unico nazionale suddiviso in sette sezioni e l’introduzione di nuove modalità di erogazione dei finanziamenti e di fruizione delle agevolazioni fiscali.
Perché il tutto diventi pienamente operativo sono attesi nei prossimi mesi una ventina di decreti ministeriali (alcuni da concordare con l’Unione Europea), per disciplinare nel dettaglio i tanti punti che oggi il provvedimento di cui trattasi delinea solo per vie generali.
Allora è tutto risolto? Sicuramente no. Ci sono ancora varie criticità da affrontare, ad esempio gli adempimenti amministrativi che la nuova normativa pone in capo agli Ets potrà creare qualche problema a quelli più piccoli e meno strutturati. Però un passo decisivo per il riordino della intera materia è comunque stato compiuto.
Nel seguito si cercherà di approfondire alcuni dei punti, a giudizio di chi scrive, più importanti del “Codice” partendo dalle linee guida del 2014 che hanno delineato gli obiettivi del riordino del terzo settore per terminare con alcune puntualizzazioni sulla Impresa sociale anch’essa oggetto di un importante e recente provvedimento di revisione[2].
Dalle linee guida alla legge delega per la riforma del terzo settore
Dall’inizio degli anni ’90, il Terzo settore in Italia è stato interessato da una crescita imponente. I numeri sono impressionanti. I dati Istat del censimento 2011 fotografano una galassia forte di oltre 301mila Enti non profit che danno lavoro a 681 mila persone e dove operano circa 5 milioni di volontari.
Tali realtà, di natura privata - molto spesso diversissime le une dalle altre per struttura organizzativa (Associazioni riconosciute e non riconosciute, fondazioni, comitati) e natura giuridica (cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato, organizzazioni non governative, società di mutuo soccorso, imprese sociali e Onlus) – si collocano in una posizione mediana fra Stato e mercato. Costituite per produrre beni e servizi di pubblica utilità, hanno però in comune alcune caratteristiche fondamentali, tra le quali l’assenza di scopo di lucro, che si traduce nell’obbligo di reinvestire gli utili nelle attività istituzionali e la natura giuridica privata[3].
La crescita esponenziale di queste realtà ne ha reso improcrastinabile il riordino e la semplificazione delle normative di riferimento anche per ricondurre il tutto sotto un unico “ombrello” legislativo.
Ciò anche in ragione del fatto che le leggi approvate dal 1991, quali ad esempio quelle sul volontariato, sull’associazionismo, sulla cooperazione sociale e sulla impresa sociale, furono pensate indipendentemente una dall’altra con diversi obiettivi e valori diversi delineando così un quadro normativo di difficile interpretazione. Ad esempio la legge n. 266/1991 sul volontariato è stata, all’inizio, la legge di riconoscimento di tutto il terzo settore, ma la quasi contemporanea approvazione della legge n. 381/1991, in tema di cooperazione sociale, ne ha da subito ridimensionato la portata e le organizzazioni di volontariato sono diventate non l’unica, ma solo una delle diverse forme in cui è possibile organizzare attività di interesse generale.
Tre anni fa, precisamente il 12 maggio 2014, il Governo ha diffuso le Linee guida per la Riforma del Terzo Settore ed ha lanciato una consultazione pubblica[4] per “conoscere le opinioni di chi con altruismo opera tutti i giorni nel Terzo settore, così come di tutti gli stakeholder ed i cittadini sostenitori o utenti finali degli enti no profit”. La cosa non trovò impreparato il composito mondo del “Terzo settore” che da tempo attendeva una proposta di legge che affrontasse in modo puntuale ed organico la complessità normativa del sistema[5].
Linee Guida per una Riforma del Terzo Settore |
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Tre gli obiettivi principali di tale riforma: - costruire un nuovo Welfare partecipativo, fondato su una governance sociale; - valorizzare il potenziale di crescita e occupazione insito nell’economia sociale e nelle attività svolte dal terzo settore; - premiare in modo sistematico con adeguati incentivi e strumenti di sostegno tutti i comportamenti donativi o comunque prosociali dei cittadini e delle imprese, finalizzati a generare coesione e responsabilità sociale. |
Le Linee guida indicavano anche le attività da porre in essere per il riordino dell’intera materia. Nella tabella n.1 vengono elencate le attività di cui trattasi (che per comodità sono raggruppate in cinque aree) ed i risultati della consultazione lanciata dal Governo.
Tabella 1 – Risultanze della consultazione | ||
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Attività | Valori assoluti | Valori percentuali % |
Ricostruire le fondamenta giuridiche, definire i confini e separare il grano dal loglio | 315 | 42,7 |
Assicurare una leva di giovani per la difesa della Patria accanto al servizio militare: un Servizio Civile Nazionale universale | 274 | 37,1 |
Dare stabilità e ampliare le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli Ets | 242 | 32,8 |
Valorizzare il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale | 186 | 25,2 |
Far decollare in modo compiuto l’impresa sociale | 187 | 25,3 |
Altro | 302 | 40,9 |
Nella categoria “Altro” si è concentrato il 34,4% delle segnalazioni. In quest’ultima tipologia sono stati inseriti sia gli interventi inerenti profili di policy, buone pratiche e articolazioni trasversali nel merito dei punti trattati nelle linee guida, sia apprezzamenti complessivi su tutte le linee della proposta, sia, infine, appelli settoriali o di categoria. |
Successivamente il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge delega per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale. Dopo un iter parlamentare durato quasi due anni, nel giugno del 2016 ha visto la luce la Legge 6 giugno 2016 n. 106 che delegava il Governo a definire un riassetto organico del Terzo Settore e di procedere ad una revisione della disciplina contenuta nel codice civile in tema di associazioni e fondazioni.
Ma allora cosa si intende per terzo settore? Il legislatore lo definisce, art. 1 co.1, come “il complesso degli enti privati costituiti con finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che, senza scopo di lucro, promuovono e realizzano attività d'interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi, in coerenza con le finalità stabilite nei rispettivi statuti o atti costitutivi”.
La legge delega, all’art.4, indicava anche gli ambiti che dovevano formare oggetto di intervento. Uno dei punti più qualificanti riguardava l’individuazione delle attività di interesse generale che dovevano caratterizzare gli enti del terzo settore. Tali attività dovevano tenere conto delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale nonché sulla base dei settori di attività già previsti dal D.Lgs.460/1997 e dal D.Lgs. 155/2006. Altro punto riguardava gli obblighi di controllo interno, rendicontazione, trasparenza e le modalità di verifica periodica dell'attività svolta.
Un altro tassello fondamentale era inerente al riordino ed alla revisione della normativa in materia di volontariato, di promozione sociale e di mutuo soccorso, conformemente a specifici criteri e princìpi direttivi relativi, tra l'altro alla armonizzazione delle diverse discipline vigenti, a promuovere la cultura del volontariato, in particolare tra i giovani e ad introdurre criteri e limiti relativi al rimborso spese per le attività dei volontari, preservandone il carattere di gratuità e di estraneità alla prestazione lavorativa.
Il Codice del Terzo Settore strumento essenziale per un nuovo welfare attivo e di prossimità
Dal 3 agosto scorso è in vigore il corposo provvedimento legislativo relativo al riordino del terzo settore contenuto nel D.Lgs. 3 luglio 2017 n. 117. Tale norma introduce una disciplina organica, civilistica e fiscale, per tutti gli enti che rientrano nel terzo settore. Poi, come detto in premessa, spariscono le Onlus, arrivano gli Ets, nasce il Registro unico nazionale del Terzo settore, aumenta la trasparenza e cambiano le agevolazioni fiscali e i metodi di finanziamento.
Vengono altresì abrogate diverse normative tra cui due leggi storiche - quella sul volontariato (Legge n. 266/1991) e quella sulle Aps, le Associazioni di promozione sociale (Legge n. 383/2000), oltre agli articoli dal 10 al 29 del D.Lgs. n. 460/1997 sulle Onlus.
Ma procediamo con ordine. Innanzi tutto vengono definiti (art. 4 co.1) gli Enti del Terzo Settore[6] e le attività di interesse generale che possono essere svolte dai medesimi, in via esclusiva e principale per il perseguimento senza scopo di lucro di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Riassumendo, tra queste rientrano: interventi e prestazioni sanitarie e socio sanitarie, educazione e formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e al successo scolastico e formativo, alla prevenzione del bullismo e al contrasto della povertà educativa, interventi e servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell'ambiente e all'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso ed accoglienza umanitaria ed integrazione sociale dei migranti ed organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche[7].
Rimangono escluse dal nuovo universo degli Ets, le Pubbliche Amministrazioni, le Fondazioni di origine bancaria, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dagli Ets medesimi[8].
L’art. 16 parla di lavoro e stabilisce che i lavoratori occupati in tali realtà hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai Ccnl. In ogni caso in ciascun ente, la differenza retributiva tra lavoratori non può essere superiore al rapporto di uno a otto (criterio di proporzionalità), da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda. Specifici limiti sono poi disciplinati in relazione ai compensi (eventualmente) previsti per le cariche sociali, nonché ai trattamenti economici per i lavoratori subordinati o autonomi degli enti.
L’indicazione “Ente del Terzo settore” o l’acronimo Ets deve fare parte della denominazione di tali Enti. Della stessa deve farsi uso negli atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni al pubblico.
Il Titolo III riguarda il volontario e l’attività di volontariato. Innanzi tutto viene qualificata la figura del volontario come la “persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà”. La sua attività non può essere in alcun modo retribuita, nemmeno da chi beneficia della sua prestazione. Al volontario spettano solo “le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall’ente medesimo. Sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfetario”. Se le spese da rimborsare non superano i 10 euro giornalieri ed i 150 mensili, l’Ets può procedere al rimborso anche a fronte di una autocertificazione del volontario, sempre che l’organo sociale competente abbia preventivamente stabilito le tipologie di spese e le attività per le quali è ammessa tale modalità di rimborso.
Il volontario ha diritto ad essere assicurato dall’Ets contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso i terzi. Con decreto del Ministro dello Sviluppo economico, da emanarsi di concerto con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del “Codice, sono individuati meccanismi assicurativi semplificati, con polizze anche numeriche, e sono disciplinati i relativi controlli.
Grande attenzione viene riservata al tema della trasparenza. Gli Ets debbono redigere il bilancio di esercizio corredato dalla relazione di missione che illustra le poste di bilancio, l'andamento economico e finanziario e le modalità di perseguimento delle finalità statutarie. Qualora le entrate superino il milione di euro il bilancio deve essere depositato presso il Registro unico nazionale del Terzo settore e pubblicato nel sito internet dell’Ets interessato.
Infine alcune parole sulle agevolazioni fiscali. Innanzi tutto il “Codice” ha introdotto (art. 82) una serie di agevolazioni in materia di imposte indirette (successioni e donazioni, registro, ipotecaria e catastale) con particolare riferimento agli immobili utilizzati dagli enti, nonché in materia di tributi locali. È stato poi istituito (art. 81) il “social bonus”, ossia un credito d’imposta per le erogazioni liberali in denaro effettuate in favore degli Ets che abbiano presentato un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni mobili e immobili confiscati alla criminalità organizzata assegnati ai suddetti enti per essere utilizzati esclusivamente per lo svolgimento con modalità non commerciali di attività di interesse generale; con gli articoli 79 ed 86 è stato ridefinito il concetto di ente non commerciale ai fini fiscali introducendo un nuovo e articolato regime tributario di vantaggio, che tiene conto delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che prevede la facoltà di determinazione forfettaria del reddito d’impresa in favore degli Ets non commerciali. Con gli articoli 84 ed 85 sono state introdotte specifiche in ordine al regime fiscale delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale. L’art. 78 prevede un regime fiscale agevolato per le attività di “social lending” svolta dai gestori dei portali on line[9]. L’art. 77 disciplina la materia dei “titoli di solidarietà”, finalizzata a favorire il finanziamento ed il sostegno alle attività di interesse generale svolte dagli enti del Terzo settore non commerciali iscritti nell’apposito registro. Poi l’art. 83 ha ridefinito la disciplina delle detrazioni e deduzioni per le erogazioni liberali in denaro o in natura a favore degli enti. Viene istituito uno specifico Fondo (art. 72) per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale promossi dagli Ets. E da ultimo (artt. 92 – 95) vengono disciplinate le attività di monitoraggio, di vigilanza e di controllo, anche di natura fiscale, nonché quella di carattere sanzionatorio.
Impresa sociale: legge di riforma e nuove prospettive di sviluppo
Uno dei tasselli principali del riordino del terzo settore è sicuramente quello che riguarda l’impresa sociale. Strumento introdotto nel 2005 che in 12 anni non ha dato grossi risultati come è chiaramente riportato nella tabella n.2. Non a caso Il Sole 24 Ore del 17 maggio scorso proponeva un articolo dal significativo titolo “l’Impresa sociale cerca il rilancio”, fornendo nel contempo un identikit di tale tipologia di impresa[10]. Uno strumento che a detta di tutti è una risorsa determinante nel tessuto economico e sociale del Paese ma che invece fin dalla sua introduzione, avvenuta nel 2005 con Legge 13 giugno 2005, n. 118 e poi con D.Lgs. 24 marzo 2006 n. 155, ha dovuto fare i conti con una serie di limiti che ne hanno frenato sviluppo e crescita.
Tabella n. 2 - Imprese sociali | |||||
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Tipologia | Numero | Addetti | Addetti | Addetti | Addetti |
Costituite ai sensi della legge n. 118/05 e iscritte alla sezione “L” del Registro Imprese | 774 | 29.000 | 2.700 | 229.000 | 314 Milioni |
Altre imprese con la dicitura “impresa sociale” nella ragione sociale | 574 | --- | --- | --- | --- |
Cooperative sociali costituite ai sensi della legge n. 381/91 | 12.570 | 513.052 | 42.368 | 5.000.000 | 10,1 Miliardi |
Fonte: Elaborazioni Iris Network ed Euricse su fonti Unioncamere, Inps e Istat. Anno 2013 |
Una delle limitazioni più evidenti che ne ha bloccato il decollo è stato il divieto di distribuire utili e l’assenza di agevolazioni fiscali. Ebbene con la recente riforma[11] anche questo problema parrebbe risolto. Infatti tale impresa, pur rientrando nell’alveo del Terzo settore, viene accomunata all’impresa “for profit” con alcune limitazioni connesse con la peculiarità dell’ente. Appare evidente l’interesse del legislatore di definire per le imprese sociali un nuovo modello di business in grado di combinare l’interesse economico con la missione sociale, indicando come punto di riferimento la creazione di valore condiviso.
Ma procediamo con ordine. Innanzi tutto cosa si intende per Impresa sociale. La definizione la si rinviene nell’art. 1 della legge di riforma: è un’organizzazione di tipo privato che esercita, in via stabile e principale, un’attività di impresa “di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”, che destina gli eventuali utili ed avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio ma può corrispondere dividendi ai soci, in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.
Si intende principale quell’attività dove i relativi ricavi sono superiori al 70 per cento dei ricavi complessivi dell’impresa sociale.
Il legislatore poi ha provveduto ad allargare il perimetro delle attività che possono essere svolte da questo tipo di sodalizio inserendo, ad esempio, il commercio equo-solidale, il microcredito, l’alloggio sociale e l’agricoltura sociale.
Altra criticità era quella della mancanza di una legislazione fiscale di vantaggio. Anche questo aspetto sembrerebbe risolto. Infatti la riforma prevede che le Imprese sociali possano destinare parte degli utili di esercizio ad incremento gratuito del capitale sociale versato ai soci o erogarli gratuitamente ad Ets (diversi dalle imprese sociali e che non siano fondatori, associati, soci dell’impresa sociale o società da questa controllate) per specifici progetti di utilità sociale. Una quota di tali utili, nel limite del 3 per cento, può essere devoluta a fondi istituiti dalle associazioni di imprese sociali o alla Fondazione Italia Sociale per promuovere la crescita di tali enti o finanziare specifici programmi di sviluppo. La destinazione degli utili e degli avanzi di gestione deliberati dall’impresa sociale sono fiscalmente “deducibili ai fini dell’imposta sui redditi dell’impresa sociale erogante”.
Viene poi ribadito il divieto di distribuzione degli utili e degli avanzi di gestione, ai fondatori, ai soci o associati, agli amministratori ed agli altri componenti degli organi sociali compresi pure i collaboratori e i lavoratori. Quest’ultimi non potranno avere premi e compensi non “proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze”. Un limite è posto anche agli stipendi che non possono essere superiori al 40 per cento di quelli previsti dai contratti collettivi.
L’articolo 12 puntualizza che l’assenza di lucro deve altresì permanere qualora si dovessero realizzare trasformazioni, fusioni o scissioni di imprese sociali e nel contempo devono essere preservati i vincoli di destinazione del patrimonio e inalterato deve rimanere il perseguimento delle attività e delle finalità di cui agli artt. 1 e 2 della legge delegata.
Ma allora i problemi sono tutti risolti? Sicuramente alcune cose importanti sono state fatte e nei prossimi mesi si “testerà” l’impatto della riforma. Risulta comunque condivisibile il pensiero del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti il quale, con riguardo alla riforma dell’impresa sociale, ha detto che “Prende vita oggi un importante progetto di innovazione sociale con cui puntiamo a interpretare in modo più efficace e dinamico le aspettative dei cittadini più deboli e bisognosi di sostegno”.
In un momento in cui la crisi impone un ripensamento complessivo del sistema del welfare come si è sviluppato negli ultimi decenni, il “modello” dell’impresa sociale diventa ancora più importante. Uno strumento dove vengono condivisi sia i mezzi e sia i fini in un processo sinergico di inclusione che mette in relazione termini come “impresa” e “sociale” facendo in modo che non siano più antitetici. In tale contesto, il fattore umano, la relazione tra le persone e i legami fiduciari sono ancora più indispensabili. L’impresa sociale rappresenta quindi un modo nuovo di fare attività imprenditoriale in chiave sociale, in grado di coniugare cioè sociale ed economico, elemento fondamentale per il mantenimento e lo sviluppo del nostro Paese.
NOTE
[1] Il D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117 “Codice del Terzo settore, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106” è pubblicato sulla GU Serie Generale n. 179 del 2.08.2017 (Supplemento Ordinario n. 43) ed è entrato in vigore il 3 agosto 2017. Con la sua entrata in vigore si completa l’attuazione della Legge 6 giugno 2016, n. 106 “Delega al Governo per la riforma del terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”;
[2] Sulla GU n. 167 del 19.07.2017 è stato pubblicato il D.Lgs. 3 luglio 2017 n. 112 “Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell'articolo 2, comma 2, lettera c) della legge 6 giugno 2016, n. 106”;
[3] vedasi www.cliclavoro.gov.it/approfondimenti/Pagine/Il-Terzo-Settore-in-Italia.aspx;
[4] La consultazione lanciata dal Governo è stata un successo: hanno risposto oltre 1000 soggetti singoli, del Terzo Settore, rappresentanti delle Amministrazioni pubbliche, di enti di ricerca, di organizzazioni imprenditoriali e di ordini professionali;
[5] Processo di riforma del Terzo Settore di Federica Mancini, Valentina Menegatti e Cristina Ranieri;
[6] Art. 4 co.1 D.Lgs. n. 117/2017: Sono Enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore;
[7] L’elenco completo delle attività di interesse generale che possono essere svolte in via esclusiva o principale dagli Ets è contenuto nell’art. 5 co.1 del “Codice”;
[8] Gli Enti di natura religiosa sono considerati Ets solo in caso di svolgimento delle attività di interesse generale previste per gli Enti del Terzo settore a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata che recepisca le norme del “Codice” e sia depositato nel Registro unico nazionale del Terzo settore;
[9] Per social lending si intende un prestito personale erogato da privati ad altri privati su Internet. Ha luogo sui siti di aziende di social lending, senza passare quindi attraverso i canali tradizionali rappresentati da società finanziarie e banche;
[10] Il Sole 24 Ore del 17 maggio 2017 “L’Impresa Sociale cerca il rilancio” di Valentina Melis. “Opera per lo più nell’assistenza sociale e nell’istruzione, ha in media 12 lavoratori e un capitale compreso fra 10mila e 50mila euro. È l’identikit dell’impresa sociale in Italia che emerge dalle elaborazioni di Infocamere per il Sole 24 Ore del Lunedì. Una formula, quella dell’impresa sociale, che non ha avuto in realtà un appeal particolare, da quando è stata introdotta, nel 2006 (con il Dlgs 155, in vigore dal 12 maggio di quell’anno): nei primi dieci anni di vita delle nuove regole, ne sono state costituite 1.367;
[11] La legge di riforma dell’impresa sociale è contenuta nel D.Lgs. 3.07.2017 n. 112 che è stata pubblicata sulla GU n. 167 del 19 luglio 2017. In tale modo viene prevista una seconda opportunità per l’Impresa sociale. Nuove regole per riuscire a colmare alcuni vuoti normativi e nuovi strumenti per superare le lacune prodotte con il precedente D.Lgs. n. 155/2006, oggi completamente abrogato. Lacune soprattutto riguardanti la mancanza di un regime fiscale agevolato.
[*] Dorina Cocca e Tiziano Argazzi in servizio presso la sede di Rovigo dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Ferrara Rovigo.
Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero personale degli Autori e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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