Breve storia della previdenza italiana
di Riccardo Rizza [*]
La previdenza sociale, è utile ricordare, nasce, nel contesto della legislazione sociale, da un’esigenza di protezione del lavoro come momento di equilibrio tra istanze di progresso e volontà di conservazione.
L’espressione tipica ed il nucleo originario dello Stato sociale è appunto la previdenza sociale. Essa risponde alla necessità di realizzare una tutela per i lavoratori subordinati (poi gradualmente estesa a tutti i produttori di reddito da lavoro) che si vengano a trovare in condizioni di bisogno per eventi che ne danneggino la capacità lavorativa e/o di produzione di ricchezza.
Questa esigenza trova le sue origini già nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino nella Francia del 1793, nonché le sue prime concrete conferme nella legislazione sociale dei vari Paesi europei nell’arco temporale che va dagli ultimi decenni dell’800 ai primi del 1900.
Nei diritti previdenziali il cittadino è considerato in relazione alla sua qualità (attuale o potenziale) di produttore di reddito da lavoro; l’oggetto della tutela è l’assenza (parziale o totale, temporanea o definitiva) di questo reddito; il bisogno viene soddisfatto attraverso un trasferimento di ricchezza che sostituisce parzialmente o integralmente il reddito perduto o non acquisito. Al contrario, nei diritti sociali il cittadino è considerato in relazione al suo essere persona umana; l’oggetto della tutela attiene alla promozione della fruizione di prestazioni economiche e/o di servizi che siano idonei a prevenire il generarsi del bisogno o garantirne la sua soddisfazione.
La nascita e la prima evoluzione del sistema previdenziale italiano
Nel 1883 il Cancelliere Bismarck, durante il regno di Guglielmo I, introdusse la prima forma di assicurazione sociale, collegando così il suo nome (da qui appunto il c.d. modello bismarckiano) ad un fenomeno (quello della previdenza sociale) che sarebbe stato assai meno effimero di quello cui aveva dedicato tutta la sua esistenza (l’impero prussiano.
In Italia l’emersione della previdenza sociale sarebbe avvenuta alcuni anni dopo, in quanto lo Stato, riteneva di poter ancora governare il bisogno previdenziale attraverso la mutualità volontaria.
Cosi la legislazione sociale acquista nuovo impulso: la l. n. 1473/1883 conferisce riconoscimento giuridico alla Cassa nazionale di assicurazione per gli infortuni sul lavoro degli operai che, mediante una convenzione con alcuni istituti di credito, introduceva una prima assicurazione facoltativa; la l. n. 148/1893, sulla polizia delle miniere, cave e torbiere, pone alcune prime norme di vera e propria tutela del lavoro; la l. n. 243/1893 istituisce, seppur solo per la gente di mare, la prima assicurazione obbligatoria.
L’atto di nascita della previdenza sociale nel nostro Paese deve attendere tuttavia ancora cinque anni; con la l. 17 Marzo 1898, n. 80, infatti, viene introdotta l’assicurazione obbligatoria degli operai contro gli infortuni sul lavoro. La legge aveva avuto una lunga e sofferta gestazione dovuta non solo all’opposizione di chi temeva oneri troppo gravosi per la nascente imprenditoria nazionale, quanto e soprattutto alla difficoltà di focalizzare il fondamento teorico dell’istituto, al fine di imputare al datore di lavoro l’onere economico e l’obbligo giuridico dell’assicurazione.
In ogni caso, il percorso era tracciato; cosi, la l. 17 Luglio 1898, n. 350 istituisce la Cassa nazionale per la vecchiaia e l’invalidità degli operai. L’assicurazione è costituita su basi facoltative, ma lo stato sostituisce al pluralismo delle società di mutuo soccorso un soggetto unitario, controllato e sussidiato, idoneo a promuovere una mutualità diffusa per la potenziale capacità di utilizzo delle più moderne tecniche assicurative e per la garanzia offerta in ordine “al buon fine” dell’accantonamento del risparmio.
In Italia la l. 17 Luglio 1890, n. 6972, determina una svolta significativa nella posizione dello stato prevedendo che tutte le opere pie ed ogni altro ente morale che svolga attività assistenziale divenga “Istituzione pubblica di beneficenza”. L’800 si concludeva, quindi, con la nascita della previdenza e dell’assistenza sociale nel nostro Paese.
La legislazione sociale sino alla Seconda Guerra Mondiale
All’inizio del nuovo secolo aumentano gli interventi normativi, con il crescere delle pressioni a favore di uno sviluppo della legislazione sociale originate dall’impulso concomitante delle nuove concezioni politico-sociali e dell’associazionismo sindacale.
Così, con la l. 21 Aprile 1919 n. 603, viene istituita l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia per tutti i lavoratori dipendenti privati dell’industria, dell’agricoltura e dei servizi; il provvedimento introduce l’istituto della pensione di invalidità e di vecchiaia (requisiti minimi: 65 anni di età e 240 marche versate, pari a 3600 giornate cioè a 12 anni lavorativi); i contributi, ovvero le marche assicurative, sono pari al 4,5% del salario annuo e sono ripartiti pariteticamente tra imprenditori e lavoratori. La gestione è affidata alla Cassa nazionale delle assicurazioni sociali, che opera con un sistema a capitalizzazione, integrato da contributi dello Stato.
Sempre nel 1919 viene introdotta l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria e vengono riordinati i servizi di collocamento; la gestione è affidata all’ufficio nazionale per il collocamento e la disoccupazione , creato presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale (istituito nel 1920) e nel 1923 sarà trasferita alla cassa nazionale delle assicurazioni sociali; a differenza della disoccupazione attuale (NASPI) che è corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni, veniva erogata sino a quattro mesi all’anno.
Nel 1927, in pieno periodo fascista, la legislazione previdenziale ebbe un nuovo impulso, quando, a seguito del riconoscimento giuridico dei Sindacati con la Carta del Lavoro, i contratti collettivi acquistarono efficacia “erga omnes” (cioè, verso tutti) e quindi tutte le clausole in essi contenute, comprese quelle sulla mutualità e sulla previdenza, trovarono applicazione più rigorosa ed estesa.
Nel 1939 nasce la pensione di reversibilità a favore dei superstiti dell’assicurato e si abbassa a 60 anni per gli uomini e a 55 anni per le donne l’età per la pensione di vecchiaia (R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636).
Il completamento del sistema previdenziale corporativo può, comunque, individuarsi nell’introduzione di alcuni principi fondanti nel codice civile del 1942. Di questi, quello più significativo è individuabile nell’art. 1886 ma non vanno dimenticati l’art. 2087, 2115, 2116, 2117 e 2123 c.c.
Il sistema previdenziale assunse un assetto stabile e definitivo sulla base di un modello che, individuati i rischi socialmente rilevanti, impone ai destinatari di assicurarsi per ridurre i bisogni economici connessi al possibile verificarsi dell’evento.
Il passaggio tra il sistema previdenziale corporativo e il modello costituzionale
Il 1° Gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione, approvata il 22 Dicembre 1947 e promulgata dal Capo Provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, il 27 Dicembre 1947.
Quanto al sistema previdenziale, in particolare a quello pensionistico, il problema più grave che aveva dovuto affrontare negli anni che avevano preceduto l’entrata in vigore del testo costituzionale era stato quello della perdita di valore d’acquisto della lira, con la conseguente ineffettività di tutte le prestazioni previdenziali.
Così i numerosi interventi legislativi di questi anni avevano come solo obiettivo quello di adeguare in misura più o meno congrua le prestazioni, introducendo vari assegni integrativi, nonché di reperire i mezzi finanziari necessari per una politica di sostegno del reddito dei destinatari della tutela previdenziale.
Viene introdotta nel 1952 l’integrazione al trattamento minimo delle pensioni (la cosiddetta “pensione minima”). L’articolo 10 della legge 4 aprile 1952, n. 218, introduce, infatti, nell’ordinamento pensionistico dell’assicurazione generale obbligatoria, l’istituto del trattamento minimo di pensione e ne fissa i diversi importi in relazione sia all’età posseduta dal pensionato, più o meno di 65 anni, sia al tipo di pensione fruita, se di vecchiaia o di invalidità̀ o in favore dei superstiti, e stabilisce che l’importo della pensione o delle pensioni di cui sia titolare uno stesso soggetto, se inferiore a quello minimo pensionistico, deve essere integrato fino a raggiungere l’ammontare dello stesso minimo stabilito dalla legge.
Nel 1965 viene istituita la pensione di anzianità, connessa ai 35 anni di contributi, indipendentemente dall’età del lavoratore
Con la Legge 88/1989 sono accorpati in un’unica gestione INPS tutte le forme previdenziali temporanee diverse dalla pensione (disoccupazione, cassa integrazione, tubercolosi, ecc).
Il processo di armonizzazione e stabilizzazione del sistema previdenziale ha preso avvio con il D.Lgs. n. 503 del 30 dicembre 1992 (cd. riforma Amato). La riforma, in particolare, ha disposto il graduale innalzamento dell'età pensionabile e l'avvio di un processo di allineamento del regime pensionistico dei pubblici dipendenti e di altre categorie speciali a quello del regime generale.
Con il decreto legge 16 febbraio 1993, n. 34, viene istituito l’INPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica). Con questo decreto vengono soppresse varie gestioni previdenziali, le cui funzioni vengono affidate dal decreto stesso all’INPDAP. Si tratta dell’ENPAS, dell’INADEL, dell’ENPDEP e della Direzione Generale degli Istituti di Previdenza (organismo formato dagli istituti di previdenza amministrati dal Tesoro; scopo dell’organismo era quello di assicurare il funzionamento delle quattro casse previdenziali – CPDEL, CPS, CPI e CPUG – attraverso un’unica struttura amministrativa, cioè stessi organi deliberanti, stessi organi di controllo e di vigilanza).
La Legge 8 agosto 1995, n. 335 ha modificato i parametri di accesso alla pensione di anzianità. A decorrere dal 1° gennaio 1996 il requisito contributivo, indipendentemente dall'età, è gradualmente innalzato fino al raggiungimento di 40 anni a decorrere dal 2008. Con riferimento alle pensioni di anzianità correlate all'età (pensione di vecchiaia anticipata), l'accesso alla pensione è subordinato al raggiungimento di un'anzianità contributiva pari a 35 anni in aggiunta al compimento di specifiche soglie di età gradualmente più elevate (57 anni nel 2008).
Nel 2004, la Legge 23 agosto 2004, n. 243 innalza l'età pensionabile dei lavoratori dipendenti portandola a 60 anni e modifica il regime di decorrenza delle prestazioni, riducendo a due (c.d. "finestre" semestrali) le precedenti quattro finestre di accesso al trattamento pensionistico di anzianità.
Tre anni dopo, la Legge 24 dicembre 2007, n. 247, introduce il c.d. "sistema delle quote ", caratterizzato dalla sommatoria tra età anagrafica e anzianità contributiva e ripristina le quattro finestre di uscita, estendendone l'applicazione a tutte le pensioni.
Nel 2010 il legislatore emana il Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78,convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122. Nel merito dei provvedimenti adottati, si segnalano:
- l'ingresso nel sistema previdenziale della c.d. "speranza di vita". L'accesso al pensionamento viene agganciato all'andamento della probabilità di vita, verificato dall'ISTAT con cadenza triennale (biennale a decorrere dal 1° gennaio 2019 per effetto dell'art. 24, comma 13 del D.Lgs. 201/2011). Se la probabilità aumenta anche l'età di pensionamento subisce un innalzamento (il primo aggiornamento si è concretizzato nel 2013 con un incremento pari a 3 mesi);
- il graduale innalzamento a 65 anni dell'età di accesso alla pensione di vecchiaia per le donne del pubblico impiego (In attuazione della pronuncia del 13 novembre 2008, n. C-46/07 della Corte di giustizia delle Comunità Europee);
- l'introduzione della c.d. "finestra mobile". Il trattamento pensionistico si consegue decorsi 12 mesi – per i lavoratori dipendenti – ovvero 18 mesi – per i lavoratori autonomi – dalla maturazione del diritto;
- l'abbandono del sistema gratuito di ricongiunzione dei periodi assicurativi (il collegamento gratuito dei periodi assicurativi finalizzato al pensionamento è, comunque, garantito nelle ipotesi di totalizzazione delle anzianità contributive ai sensi del D.Lgs. 42/2006 ed, ai fini del conseguimento del trattamento di vecchiaia e da poco a seguito delle modifiche apportate dalla legge 232/2016 anche per la pensione anticipata, nell'ipotesi di "cumulo dei periodi assicurativi" ai sensi dell'art. 1, comma 239, della legge 228/2012).
Il progressivo acuirsi della crisi economica, l'esigenza di dare sostenibilità finanziaria al sistema previdenziale rispettando gli impegni assunti in Europa, portano all'emanazione del Decreto Legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito nella Legge n. 214 del 22 dicembre 2011 (c.d. riforma Fornero). Dal 1° gennaio 2012:
- viene generalizzato, secondo il meccanismo pro rata, il metodo contributivo di calcolo delle pensioni;
- sono abolite le pensioni di anzianità conseguibili attraverso le quote. I trattamenti previdenziali vengono ricondotti sostanzialmente a due tipologie: la pensione ordinaria di vecchiaia e la pensione anticipata;
- sono abolite le "finestre" di uscita, in quanto inglobate nei nuovi requisiti di accesso;
- viene gradualmente incrementata l'età di pensionamento delle lavoratrici dipendenti ed autonome del settore privato;
- viene anticipato al 2018 l'anno di convergenza dell'età pensionabile tra donne e uomini: 66 anni oltre agli incrementi per speranza di vita;
- viene introdotta una fascia di flessibilità, per l'accesso alla pensione, compresa tra 66 e 70 anni;
- viene confermato il sistema di adeguamento alla speranza di vita già disciplinato dal D.Lgs. 78/2010;
- il requisito minimo dell'anzianità contributiva resta fissato in 20 anni, così come previsto dal precedente ordinamento per la vecchiaia;
- l'accesso "anticipato" alla pensione è in ogni modo consentito con un'anzianità di 42 anni e un mese per gli uomini e di 41 anni e un mese per le donne, anch'essa indicizzata alla longevità. Si prevedono penalizzazioni percentuali sulla quota retributiva dell'importo della pensione.
Fonti
Roberto Pessi, Lezioni di diritto della previdenza sociale
INPS
[*] Studente della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Udine. Rappresentante Regionale per il Friuli Venezia Giulia della Fondazione Massimo D’Antona.
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