Il lavoro al centro… della terra!
di Stefano Olivieri Pennesi [*], Angelo Romaniello [**] e Eugenio Straziuso [***]
Introduzione
Intendiamo aprire questo contributo, sul tema lavoro, menzionando, in maniera necessariamente deferente, alcuni passaggi illuminanti del Santo Padre, Papa Francesco, ripresi dal suo videomessaggio inviato ai partecipanti alla 48° settimana sociale dei cattolici italiani, tenutasi lo scorso ottobre 2017 a Cagliari, avente come tema: “Il Lavoro che vogliamo, libero, creativo, partecipativo e solidale”.
Ciò al fine di proseguire poi in un ambito di riflessioni incentrate sul tema più specifico del lavoro in agricoltura e i suoi risvolti legati, inevitabilmente, all’ambito della “sicurezza e gravosità in connessione anche alla “patologia” rappresentata dal fenomeno “caporalato”, già trattato in passato in queste pagine, come pure sui riflessi di natura previdenziale nella sua entità di lavoro agricolo definibile usurante.
Sempre sul tema, l’intervento del Santo Padre alla settimana sociale 2017 è stato, infatti: “Nelle Sacre Scritture troviamo molti personaggi definiti dal loro lavoro: il seminatore, il mietitore, i vignaioli, i pescatori, i pastori… Gesù non si è incarnato in un imperatore o re, ha voluto condividere la nostra vicenda umana, inclusi i sacrifici che il lavoro richiede, al punto di essere noto come il falegname o il figlio del falegname. Il Signore chiama mentre si lavora, come è avvenuto per i pescatori che egli invita per farli diventare pescatori di uomini. Anche i talenti ricevuti, possiamo leggerli come doni e competenze da spendere nel mondo del lavoro per costruire comunità, comunità solidali, e per aiutare chi non ce la fa….. Grazie per avere scelto il tema del Lavoro… Senza Lavoro non c’è dignità: lo ripeto spesso. Ma non tutti i lavori sono “lavori degni”. Ci sono lavori che umiliano la dignità delle persone… offendono la dignità del lavoratore anche il lavoro nero, quello gestito dal Caporalato, i lavori che discriminano la donna e non includono chi porta una disabilità. Anche il lavoro precario è una ferita aperta per molti lavoratori, che vivono nel timore di perdere la propria occupazione. Precarietà totale. questo è immorale, questo uccide: uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società. Il lavoro nero e il lavoro precario uccidono. Rimane poi la preoccupazione per i lavori pericolosi e malsani, che ogni anno causano in Italia centinaia di morti ed invalidi”.
Ebbene, queste affermazioni dell’uomo vestito di bianco, ci portano inevitabilmente ad approfondire alcune tematiche inerenti, in particolare, il “valore del Lavoro in ambito agricolo”, così fortemente connotato da aspetti legati, da una parte, alla sua faticosità, dall’altra, come sopra detto, alla oggettiva esposizione ai fenomeni illegali riconducibili al “mercimonio”, allo sfruttamento e al caporalato.
Previdenza e dintorni: lavori usuranti, Ape, altro
Riteniamo sia giusto, in questi passaggi, fare anche una doverosa considerazione circa il dibattito innescato, come pure argomentare circa le iniziative di queste settimane intraprese a livello governativo, relativamente al tema “previdenziale”, rispetto alla individuazione dei cosiddetti “lavori usuranti” (e delle tutele della platea che ne inerisce) per derogare ai vincoli anagrafici dei 67 anni, età indicata come l’ultima soglia indispensabile per il collocamento in quiescenza di chi lavora nel nostro Paese. Ci riferiamo all’innalzamento anagrafico previsto dalle nostre normative in materia previdenziale, dove vige l’obbligo dell’adeguamento anagrafico rispetto ai parametri statistici forniti dall’Istat circa l’aumento delle cosiddette aspettative di vita dei due generi, uomini e donne: tutto questo per il famoso e irrinunciabile vincolo e concetto di “sostenibilità” dell’intero sistema previdenziale allo stato vigente, grazie alle norme in essere.
Crediamo siano opportune, al riguardo, le eccezioni e perplessità avanzate in generale dai sindacati confederali e in particolare da quelli del settore agricolo, come pure dalle organizzazioni associative di ambito.
Forte è la pressione per riconsiderare, nel sistema pensionistico, la tipologia e tipicità di chi lavora nel comparto agricoltura quale, ad esempio, la figura del bracciante a cui viene richiesto di lavorare fino alla età dei 67 anni. Più in generale, però, può essere complessivamente ritenuto indiscutibilmente gravoso il lavoro agricolo in tutte le sue declinazioni, dalla produzione alimentare alla zootecnia, alla forestazione, o anche al settore della pesca, settori, anche questi, che si contraddistinguono per le tante malattie professionali, i tanti infortuni e, non di meno, le troppi morti sul lavoro.
È particolarmente evidente come lasciando in vita l’attuale sistema/norma previdenziale, si conclami una profonda ingiustizia che associa ed anzi, omogeneizza, equiparandolo, il lavoro in agricoltura ad un normale impiego in ufficio, in uno studio, un negozio, ecc...
Sarebbe quindi opportuno tentare, con un confronto aperto con il governo, il riconoscimento dello status di “lavoro usurante” o gravoso che dir si voglia, anche per le variegate tipologie sopra riportate.
Ed è proprio per tali forti pressioni esercitate dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori, come pure delle organizzazioni di rappresentanza del mondo agricolo, che in questo scorcio di novembre, il Governo sta valutando attentamente, aprendo tavoli in tema previdenziale, la possibilità di ampliare l’elenco delle categorie di lavoratori che svolgono attività gravose e stressanti.
Evidentemente, però, non soltanto gli appartenenti alla filiera agricola, generalmente intesa, dovrebbero godere di una attenzione particolare (non influenzata da vincoli per garantire equilibri e cespiti di bilancio). Si dovrebbe di contro, a ben vedere, poter annoverare anche professioni quali ad esempio: di allevatore in ambito zootecnico, di mezzadro, di piccolo agricoltore diretto, di cultore ittico, solo per fare alcuni esempi concreti.
Riteniamo che il tema della plurimenzionata ricerca delle attività “usuranti/gravose” si affronti indagando e verificando l’elemento intrinseco e oggettivo, in altri termini il lavoro puntualmente ed affettivamente svolto, piuttosto che la mera denominazione ed identificazione di una professione.
Crediamo infatti che le specificazioni della modalità operativa, nello svolgimento delle attività lavorative, ossia chi fa cosa e in che modalità, permetta valutazioni più equanimi su chi realmente dovrebbe rientrare nel novero delle attività da tutelare maggiormente e, quindi, prevederne il giusto inserimento tra le fattispecie realmente usuranti.
In una parola declinare attentamente, con elementi oggettivanti, non soltanto il macro settore di appartenenza, ossia la denominazione della professione svolta, ma entrare nel dettaglio della storia e della vita lavorativa delle persone, identificando le peculiarità del lavoro esercitato nel tempo, e per quanto tempo, oppure determinando, magari, una pesatura temporale della usura e gravosità lavorativa, con vincoli certi ed inconfutabili è il percorso corretto al fine della corretta individuazione della platea dei lavoratori beneficiari dell’esenzione dal limite anagrafico dei 67 anni.
L’allargamento ad un elenco di quindici professioni, o meglio categorie professionali, come sembra emergere dai tavoli di lavoro governativi con le OO.SS., abbinato alla creazione di una “Commissione Tecnica” che, presumibilmente, verrà diretta dal Presidente dell’Istat, affiancato da rappresentanti dei Ministeri dell’Economia, Lavoro , Salute e degli Enti Inps e Inail, che dovrà concludere i relativi lavori entro l’autunno 2018, sembrerebbe, a parere di chi scrive, una accettabile soluzione e di buon senso.
Il sistema sopra delineato dovrebbe servire, anche, per calcolare, analiticamente, l’elemento della “speranza di vita” mestiere per mestiere, non soltanto, quindi, per le undici professioni già contemplate nella cosiddetta APE sociale, ossia l’anticipo pensionistico, ma anche per le ulteriori quattro categorie degli operai agricoli, siderurgici, marittimi e della pesca. Tali categorie, secondo il governo, amplierebbero la platea dei beneficiari di ulteriori 15-20.000 unità circa in aggiunta ai numeri complessivamente calcolati per i benefici dell’anticipo pensionistico Ape.
Secondo l’esperto di previdenza prof. Brambilla, fare i calcoli in tale ambiti è un’operazione particolarmente complessa, che richiede accuratezza e particolare attenzione e, a tale proposito, sarebbe pure fondamentale individuare bene le tipologie dei lavoratori coinvolti, in quanto regolamentate da contratti collettivi diversi. Analogamente distinguere o creare disparità di trattamento, tra le attività, ad esempio degli operai agricoli dai braccianti o mezzadri, oppure dei conduttori di treni dai guidatori di tram, o ancora delle educatrici di asili nido dalle insegnanti di scuola d’infanzia o dagli insegnanti elementari, non parrebbe equo. Tale materia, infatti, merita la massima attenzione in quanto si sta parlando di lunghi anni di vita lavorativa che è stata vissuta, da uomini e donne, con evidente fatica, stress e logorio fisico e psichico.
Bene quindi l’idea di nominare la suddetta “Commissione tecnica” che porti a conclusione “una rilevazione di tipo scientifico circa la gravosità delle occupazioni e dei mestieri” ovviamente in maniera strettamente connessa con la loro effettuazione temporale (si pensa ad un periodo di sette anni svolti in attività usuranti negli ultimi dieci anni del percorso lavorativo totale) così da mettere in relazione l’età lavorativa dei soggetti con la loro età anagrafica.
La sicurezza dei lavoratori nel settore agricolo
Appare utile, a questo punto, fare qualche considerazione su un tema di rilevante impatto sociale, data la grave incidenza degli infortuni sul lavoro, in special modo quelli mortali, come pure delle malattie professionali, quale la sicurezza dei lavoratori addetti al settore agricolo che, in presenza di lavoro nero, spesso connesso al cosiddetto fenomeno del Caporalato, è la prima forma di tutela del lavoratore a venir meno.
Nel settore agricolo le denunce di infortunio con esito grave o mortale sono superiori sia a quelle del rischioso settore edile che a quelle dell’industria manifatturiera.
Il problema della sicurezza sul lavoro, quindi, pone gli imprenditori del settore di fronte ad obblighi ineludibili posti a tutela della salute e della incolumità dei lavoratori e degli altri soggetti a loro equiparabili.
La norma di riferimento è oggi il Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n°81, d’ora in avanti TUSic, che costituisce una pietra miliare nel complesso quadro normativo nazionale permeando numerosi altri testi di legge in materia di lavoro. Si pensi, a solo titolo di esempio, al richiamo operato nel d.lgs.276/2003 alla possibilità di ricorrere alla somministrazione di lavoro solo per quelle aziende che abbiano effettuato la valutazione del rischio.
Anche la Legge 199/2016, che introduce nel Codice Penale l’articolo 603bis per il contrasto all’intermediazione illecita ed allo sfruttamento del lavoro, fenomeno che in agricoltura è noto come “Caporalato”, fa esplicito rimando alle norme di prevenzione degli infortuni e dell’igiene del lavoro indicando individuando nella violazione delle norme sulla sicurezza uno degli indici di sfruttamento che consentono di integrare, unitamente ad altre condizioni quali retribuzione sproporzionata rispetto al lavoro svolto, orario di lavoro prestato in violazione delle norme di legge, degradanti condizioni di lavoro e di alloggio, il grave reato di sfruttamento del lavoro.
La domanda ricorrente che viene posta agli organi di vigilanza sia nel corso dell’attività ispettiva che in occasione di incontri e dibattiti sul tema del caporalato in agricoltura è quella di conoscere quali siano gli adempimenti principali da porre in essere per assicurare il rispetto delle norme del Testo Unico in materia di Sicurezza sul Lavoro.
Occorre innanzitutto osservare come il legislatore non ha ritenuto di dedicare uno specifico titolo alla sicurezza del lavoro nel settore agricolo diversamente da come ha fatto, per esempio, per l’edilizia a cui è riferito il Titolo IV del TUSic.
In alcuni casi e, più in particolare, nel Titolo II, dedicato ai requisiti di sicurezza dei “luoghi di lavoro” i campi agricoli sono esplicitamente esclusi dalle previsioni ivi contenute.
Per il settore agricolo, dunque, le norme da rispettare vanno ricercate in modo trasversale in tutto il testo di legge e, in particolare, all’obbligo della valutazione dei rischi lavorativi propri dell’azienda secondo il combinato disposto degli articoli 17, 28 e 29 del TUSic.
Le risultanze dell’attività di vigilanza svolta direttamente sui campi consentono di affermare che le problematiche di sicurezza maggiormente ricorrenti nel settore in parola sono quelle riferite alla mancata sorveglianza sanitaria, all’uso di macchine obsolete e, per ciò stesso, pericolose, alla mancata consegna e/o uso dei Dispositivi di Protezione Individuale, alla mancata formazione ed informazione dei lavoratori sui rischi cui sono esposti, all’assenza di condizioni atte a garantire il minimo etico dell’igiene del lavoro.
Dall’esame dei dati riferiti agli incidenti in agricoltura si rileva che le macchine e gli agenti materiali ad esse direttamente collegati sono la principale causa di infortunio nel settore agricolo; un infortunio su 4, infatti, è determinato dall’uso improprio delle macchine operatrici o dall’uso di macchine obsolete prive dei dispositivi di sicurezza per il lavoratore.
Ad incrementare il rischio di incidenti in agricoltura contribuisce anche l’errore umano dovuto a fatica per turni di lavoro esasperati, spesso superiori alle otto ore giornaliere, a disattenzione, all’inesperienza o, paradossalmente, ad atteggiamenti dovuti alla troppa sicurezza.
Queste situazioni critiche diventano ancor più rilevanti se la preparazione tecnica dell’operatore è scarsa e le macchine usate sono tenute ed utilizzate non facendo attenzione ai necessari controlli ed alla manutenzione ordinaria.
In siffatti contesti, infatti, il malfunzionamento o, peggio, l’assenza di un dispositivo di sicurezza può diventare estremamente pericoloso e, spesso, letale per la perdita di controllo dell’attrezzatura da parte dell’operatore.
È pertanto assolutamente necessario che l’operatore conosca appieno il mezzo che utilizza, il terreno su cui opera e quali sono le situazioni critiche nelle quali può incorrere.
In poche parole è necessario che l’operatore abbia sempre la padronanza del mezzo che si usa e la consapevolezza di ciò che può accadere in caso di un anomalo funzionamento o di un suo errato utilizzo.
La normativa in materia di sicurezza, oltre ad imporre al datore di lavoro l’uso di macchine ed attrezzature adeguate dal punto di vista della protezione dei lavoratori, prescrive, fra gli altri, l’obbligo di assicurare ai lavoratori stessi informazioni adeguate sulle attrezzature da utilizzare e, in particolare, sulle loro condizioni di impiego, sulle situazioni anormali prevedibili, sui rischi cui sono esposti durante l’uso delle attrezzature di lavoro, sulle attrezzature di lavoro presenti nell’ambiente immediatamente circostante, anche se da essi non usate direttamente (si pensi a puro titolo di esempio ai carrelli elevatori per la movimentazione dei cassoni presenti nel campo di raccolta contemporaneamente ai lavoratori).
La formazione in materia di sicurezza, generica per lavoratori, deve essere invece specifica per gli operatori delle macchine agricole secondo quanto specificato dall’Accordo Stato Regioni del 22 febbraio 2012.
Per quanto attiene all’igiene del lavoro, la mancanza di norme specifiche per i campi da intendere quali luoghi di lavoro, fatta eccezione, se vogliamo, per quanto indicato al punto 6 dell’Allegato IV al TUSic, fa sì che molti datori di lavoro omettano completamente l’allestimento di adeguate strutture di ricovero dotate di servizi igienici ed acqua corrente, ancorché temporanee, che i lavoratori possono utilizzare durante le necessarie pause di lavoro dovute a condizioni ambientali spesso estreme (si pensi alle temperature elevate durante il periodo estivo) ed ai gravosi turni di lavoro.
Mutuando previsioni ed obblighi rivenienti da altri settori lavorativi, nulla vieta al datore di lavoro agricolo, a valle di una specifica valutazione dei rischi, di ricorrere all’uso di bagni chimici nei giorni del raccolto o delle altre lavorazioni temporanee, così come all’allestimento di strutture di ricovero temporanee costituite da gazebo con sedie e tavoli dove i lavoratori possono riposare e consumare i pasti.
Nel più generale ambito delle problematiche della sicurezza sul lavoro nel settore agricolo si collocano anche gli adempimenti che il datore di lavoro agricolo è chiamato ad effettuare in caso di utilizzo di lavoratori stagionali.
Raccolta del pomodoro, vendemmia, raccolta delle olive. Sono situazioni in cui le aziende agricole, al fine di organizzare il periodo di raccolta nei tempi giusti, procedono all’assunzione di operai stagionali che vanno ad integrare significativamente l’organico aziendale di base.
In questi come in altri periodi particolari le aziende agricole possono quindi contare sull’attività svolta da personale assunto come operaio agricolo per un numero di giornate non superiore a cinquanta nell’anno solare (lavoratori stagionali) per il quale il Testo Unico delle norme in materia di sicurezza sul lavoro (d.lgs. 81/2008 e ss.mm.ii,) garantisce adeguate condizioni di tutela della salute e della sicurezza, ivi comprese l’informazione e la formazione sui rischi propri dell’ambiente e delle fasi di lavoro, l’addestramento sulle procedure di lavoro e sul corretto utilizzo di macchine ed attrezzature, la sorveglianza sanitaria preventiva e periodica.
Data la particolare caratteristica del lavoratore stagionale, il legislatore già all’articolo 3, comma 13, del d.lgs.81/2008 aveva richiamato la futura emanazione di disposizioni atte a semplificare gli adempimenti in materia di sicurezza per le imprese agricole che impiegano lavoratori stagionali relativamente all'informazione, alla formazione ed alla sorveglianza sanitaria, demandando al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con i Ministri della Salute e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali l’emanazione di uno specifico decreto.
Al fine di richiamare l’impegno da parte dei Ministeri competenti all’emanazione del decreto di semplificazione degli obblighi di sicurezza da parte delle imprese medie e piccole operanti nel settore agricolo, le principali Organizzazioni Sindacali e Datoriali il 16 settembre 2011 hanno firmato un “Avviso comune recante indicazioni per l'attuazione dell'articolo 3, comma 13, del decreto 9 aprile 2008 n°81” in cui si auspicava che le disposizioni di semplificazione fossero emanate nel rispetto dei livelli generali di tutela dei lavoratori e fossero limitate a lavorazioni generiche, semplici e non richiedenti specifici requisiti professionali.
Questo principio è stato integralmente recepito dal legislatore con l’emanazione del Decreto Interministeriale 27 marzo 2013 in materia di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali del settore agricolo nel quale è esplicitamente richiamato l’avviso comune sottoscritto dalle Organizzazioni Sindacali e Datoriali il 16 settembre 2011.
Il decreto in parola, infatti, dispone l’attuazione di misure per semplificare gli adempimenti relativi all’informazione, alla formazione e alla sorveglianza sanitaria dei lavoratori agricoli stagionali fatta eccezione per i lavoratori esposti ad attività che comportino rischi specifici (rischio chimico, fisico, biologico) per i quali, indipendentemente dalla durata del rapporto di lavoro, continuano a trovare applicazione le norme specifiche previste dal Decreto Legislativo 81/2008.
Per i lavoratori ai quali si applica il decreto interministeriale del 2013, gli adempimenti in materia di sorveglianza sanitaria si intendono assolti mediante visita medica preventiva eseguita dal medico competente dell’azienda o dal dipartimento di prevenzione della ASL territorialmente competente, con costi a carico del datore di lavoro. La validità della visita medica effettuata è biennale e consente al lavoratore idoneo di svolgere la propria attività di carattere stagionale, nel limite di 50 giornate l’anno, anche prestando la propria opera presso altre imprese agricole nel corso del biennio.
Secondo il decreto di semplificazione, gli obblighi di informazione e formazione dei lavoratori stagionali adibiti ad attività che non presentano rischi specifici si intendono assolti mediante la consegna di appositi documenti, certificati dalla ASL ovvero dagli enti bilaterali e dagli organismi paritetici del settore agricolo e della cooperazione di livello nazionale o territoriale, che contengano indicazioni idonee a fornire conoscenze per l’identificazione, la riduzione e la gestione dei rischi lavorativi oltre che a trasferire conoscenze e procedure utili per lo svolgimento in sicurezza dei compiti assegnati.
È comunque il caso di ribadire che l’opera prestata dai lavoratori stagionali per i quali trova applicazione il decreto di semplificazione non deve prevedere impieghi in attività complesse con esposizione a rischi specifici; in tal caso, infatti, la norma in parola non è applicabile venendo a mancare i criteri base della semplificazione, cioè le lavorazioni generiche e semplici, e pertanto si dovranno applicare le norme definite dal testo Unico in materia di Sicurezza.
Affinché gli adempimenti in materia di sicurezza in favore dei lavoratori stagionali, ancorché semplificati, non vengano intesi come mero atto formale di ottemperanza agli obblighi di legge, è auspicabile che il datore di lavoro, attraverso il servizio di prevenzione, progetti ed organizzi specifici eventi formativi in relazione ai compiti che dovranno essere svolti dai lavoratori stagionali, integrando il proprio piano formativo con una specifica sessione dedicata alla categoria dei lavoratori in questione in cui illustrare in dettaglio la documentazione in materia di sicurezza che il decreto di semplificazione prevede debba essere consegnata ai lavoratori.
Tali incontri formativi, oltre a trasferire ai lavoratori stagionali le conoscenze minime atte a garantire lo svolgimento in sicurezza dei compiti assegnati, possono essere la giusta sede in cui evidenziare l’importanza del corretto uso dei dispositivi di protezione individuale che il datore di lavoro è comunque obbligato a fornire ai lavoratori, ancorché stagionali, ed illustrare l’organizzazione aziendale ai fini della sicurezza, dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione, al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, al preposto.
Va da sé l’importanza di quest’ultima figura in presenza di lavoratori stagionali, per loro stessa definizione non stabilmente inseriti nell’organigramma aziendale.
In aziende agricole che occupano lavoratori stagionali, infatti, il preposto ai fini della sicurezza, per la conoscenza diretta dell’ambiente di lavoro e delle fasi lavorative, potrebbe utilmente svolgere il ruolo che l’articolo 26 del d.lgs.81/2008 assegna all’incaricato del datore di lavoro committente, in alternativa al DUVRI nei settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali, al fine di sovrintendere alle attività di coordinamento delle fasi lavorative svolte all’interno dell’azienda committente dalle imprese esecutrici e dai lavoratori autonomi.
Conclusioni
In base agli spunti di riflessione prima riportati, si può ritenere che ad un settore strategico per l’economia del Paese quale è, appunto, quello dell’agricoltura, non venga data la giusta importanza e la giusta considerazione nel quadro complessivo delle norme vigenti anche per far sì che quelle che sono le tradizioni e le radici fondamentali di un’intera popolazione non vadano, nel tempo, svanendo completamente.
Peraltro, in questo frangente storico, l’agricoltura italiana si trova a dover fronteggiare la concorrenza spietata dei paesi mediterranei e non solo (vedi produzione olearia).
Sicuramente alcune norme già prevedono forme di semplificazione ed agevolazione per il lavoro agricolo, ma molto si può ancora fare, ad esempio, per quanto attiene al settore della sicurezza ed igiene del lavoro.
Ci riferiamo ad una regolamentazione chiara, e, ovviamente, concretamente attuabile, di norme ed adempimenti da inserire in uno specifico titolo del TUSic, come già realizzato per l’edilizia, avendo bene a mente che le numerosissime microimprese agricole o, ancor di più, le aziende a carattere familiare che principalmente caratterizzano il substrato lavorativo del settore, hanno necessità di avere regole quanto più possibile snelle e semplici.
L’elevata gravosità ed insalubrità del lavoro agricolo, poi, deve essere tenuta ben in vista in tutte le norme che regolamentano gli adempimenti previdenziali, assicurativi e di sicurezza sul lavoro con l’obiettivo dichiarato di consentire ai datori di lavoro di competere sul mercato, sempre più globale, riuscendo anche a modernizzare le aziende, a realizzare profitti che risultino anche stimolanti ai fini degli investimenti nel settore, ad incrementare le retribuzioni dei lavoratori del settore, garantendo nel contempo ai lavoratori la massima tutela attuabile così da limitare quanto più possibile il fenomeno infortunistico e delle malattie professionale.
Ciò potrebbe consentire ai giovani di intravvedere nel settore agricolo nuove e stimolanti opportunità di lavoro che consentano loro di fare ritorno nei campi da cui, oggi, sono quasi completamente assenti.
[*] Prof. Stefano Olivieri Pennesi - Capo Ispettorato Territoriale del Lavoro di Potenza-Matera
[**] Ing. Angelo Romaniello - Responsabile area di coordinamento settore vigilanza Pz. Itl Potenza-Matera
[***] Ing. Eugenio Straziuso - Responsabile area vigilanza 2 Pz. Vigilanza tecnica. Itl Potenza-Matera
Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero degli autori e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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