La fantasia salverà il mondo (forse)
Effemeridi. Pillole di satira e costume
di Fadila
Le feste natalizie sono appena trascorse, eppure, come quand’ero bambino, ne sento già la nostalgia e il rimpianto; del Natale, poi, in modo particolare perché è la solennità più bella che la fantasia umana del mondo occidentale abbia saputo creare. Nata come evento intriso di profonda religiosità essa ha perso col tempo per tanti esseri umani tale sua caratteristica, restando però per tutti, miracolosamente, il simbolo della pace, della bontà e della celebrazione dei rari momenti di gioia umana. Più che l’abete adorno di festoni e luci colorate, importato da altre contrade, nel nostro Paese, da tempo immemorabile, il suo simbolo è rappresentato dal presepe, una costruzione fantastica, un mondo senza tempo e senza spazio.
È oriente e occidente insieme, palme e vette innevate; bianchi e mori, cammelli e buoi, stella polare e croce del sud. È quello che vorremmo nella realtà e che non potremo mai avere e per questo ci affidiamo all’immaginazione. Mi ha accompagnato fin dall’infanzia e a quei tempi il presepe era al suo apice e costruirlo era un rito. Mio padre insieme con i fratelli più grandi si preparava per tempo e dopo aver raccolto il muschio, noi lo chiamavamo vellutello, nei luoghi ombrosi dei campi o nella parte dei tronchi esposta a settentrione, tirava fuori con tutta la delicatezza possibile, lo scatolone pieno del materiale conservato dall’anno precedente perché allora non si buttava niente, tra cui i pupi variopinti, di buona fattura artigianale, incartati amorevolmente uno per uno e conservati per generazioni.
Dopo ore di lavoro per la creazione della base con un cielo pieno di stelle, montagne di cartapesta dipinte di bianco sulle loro cime, grotte, paesi lontani e un laghetto alimentato da un torrente, tirava fuori i pupi e li deponeva al loro posto. Tutto, infine, avvolto in una tenue luminosità. Escluso dalla partecipazione perché considerato un impiccio per la tenera età, mi mettevo, offeso, a lavorare in proprio, facendone uno mio, mettendoci gli scarti e anche qualche giocattolino di latta. Nonostante la scarsa considerazione dei visitatori che dopo aver ammirato il presepe di famiglia, davano uno sguardo anche al mio e mi facevano falsi complimenti di circostanza, a me sembrava bellissimo e davanti a esso mi abbandonavo a sogni e fantasie.
Questa emozione, d’altra parte, è la vera grande conquista umana, che ci caratterizza dagli altri esseri viventi. Grazie ad essa a volte riusciamo a mitigare o annullare l’istinto di violenza umana, al massimo livello tra gli esseri viventi. Questi ultimi usano la ferocia solo per la sopravvivenza della specie, così per fare qualche esempio, il leone, costretto dalla fame, mangia l’incolpevole gazzella per la continuità della specie, il pesce grande, quello piccolo; gli umani, invece anche per il potere e il piacere. Tale requisito unito all’intelligenza li ha resi padroni del mondo, anche se rispetto all’universo infinito sono irrilevanti ancor meno di un atomo. D’altra parte la violenza è insita in ogni fenomeno naturale. Essa è la causa prima del creato che è stato generato da una grande esplosione, il big bang, non da un atto d’amore. Fenomeni che si ripetono dagli inizi dei tempi nell’immensità dei cieli, mentre sulla terra la natura fa il suo corso a dispetto dell’umanità con terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche, tempeste e tifoni.
Tornando alla ferocia dell’umanità, nel corso dei millenni, qualcuno ha cercato di creare regole per tenerla a bada determinando la nascita di codici di convivenza. Tra essi le religioni apparivano le più credibili. Eppure col tempo gli uomini, sempre per il potere, sono riusciti a inquinare anche queste creazioni cariche di spiritualità, Valgano come esempi illuminanti il falso documento sulla donazione di Costantino che ha determinato la nascita del potere temporale della chiesa e le sanguinose conquiste arabe di gran parte dei popoli mediterranei in nome di Allah. Purtroppo, santi o uomini pii, nel genere umano sono un’esigua minoranza, una vera eccezione.
Ecco perché ritengo che un antidoto efficace per contrastare la propria e altrui brutalità sia il dono della fantasia. È difficile immaginare un sognatore come essere violento. Essa inoltre ci aiuta a superare le banalità della vita, che, in fondo, nel suo eterno percorso è limitata solo alle funzioni vitali essenziali: nascere, soddisfare i bisogni primari per poi morire, dandoci un’altra immagine della realtà attraverso la visione del buono e del bello, attraverso ogni forma artistica e riesce a darci gioia di vivere.
Ci toglie dalla solitudine facendoci sognare cose impossibili nella realtà; è in grado di portarsi in mondi fantastici e tra esseri desiderati; ci mantiene collegati, attraverso il ricordo, alle persone care anche quando non ci sono più. È la fantasia che trasforma il rapporto sessuale da elemento brutale, rapido e necessario per il mantenimento della specie in atto d’amore. Così una donna che ci piace per una serie di elementi istintivi diventa per noi l’essere più virtuoso che ci fa sognare in ogni momento della giornata. Quando l’abitudine la colpisce mortalmente, elimina con essa anche l’amore e la passione.
L’uomo senza o con scarsa fantasia si riconosce da lontano. È grigio, triste, rancoroso e vive male fino alla fine.
La fantasia è sorriso sulle labbra, gioia di vivere, speranza per il futuro; per questo, credo, riuscirà a salvare il mondo cancellandone l’aspetto violento.
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