Le prospettive della contrattazione collettiva
Preoccupazioni e proposte dei protagonisti della tavola rotonda sulle relazioni industriali
di Claudio Palmisciano [*]
Un’occasione importante di discussione, quello della tavola rotonda tenutasi lo scorso 13 dicembre presso il Ministero del Lavoro sul tema delle relazioni industriali, che ha potuto contare sulla partecipazione di Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro, di Fabrizio Di Lalla, Presidente della Fondazione D’Antona, di Marco Biagiotti, in qualità di Esperto e, per le parti sociali, di Pierangelo Albini, Direttore Area Lavoro e Welfare della Confindustria, e di Carlo Podda, per la Segretaria Confederale della CGIL.
Alla tavola rotonda ha fatto seguito la cerimonia della consegna del Premio Massimo D’Antona ai giovani studenti, Elena Gramano e Simone D’Ascola, – risultati vincitori nella selezione per le migliori tesi in diritto del lavoro a seguito dell’avviso emanato dal Ministero del Lavoro – nonché la presentazione del libro di Federica MINOLFI "La contrattazione collettiva aziendale", Roma, della Collana Massimo D’Antona – Lavoro e Diritto.
All’iniziativa, organizzata dalla Fondazione Prof. Massimo D’Antona e Coordinata dalla Consigliera Nazionale Palmina D’Onofrio – che si è svolta nel salone delle riunioni intitolato al giurista scomparso – hanno presenziato Direttori Generali del Ministero del lavoro, fra i quali il Direttore Generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali, Romolo De Camillis, anche nella veste di Presidente della Commissione scientifica giudicatrice del Premio, la Direttrice Generale dei sistemi informativi e dell'innovazione tecnologica, Grazia Strano, il Presidente dell’Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro ANPAL, Maurizio Del Conte, il Comandante dei Carabinieri per la tutela del lavoro, Col. Nicodemo Macrì, i membri della Commissione Scientifica giudicatrice del Premio Massimo D’Antona. Presenti anche gli esponenti delle Organizzazioni sindacali confederali e categoriali, fra i quali, Matteo Ariano della CGIL, Antonella La Rosa della CISL, Angelo Vignocchi della UIL e Franco Viola della FIALP-CISAL , Dirigenti e Funzionari del Ministero del lavoro ed i membri del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione.
I lavori della tavola rotonda sono iniziati con la comunicazione svolta dal Presidente della Fondazione, Fabrizio Di Lalla. “L’argomento scelto per il dibattito – ha detto Di Lalla – è un tema di grande attualità che non esaurisce la sua funzione nell’ambito degli addetti ai lavori, non è, in altri termini un elemento di pura accademia, ma coinvolge la parte maggioritaria e più importante del Paese, quella che fa del lavoro l’elemento fondante della propria vita; si tratta, infatti, dell’evoluzione che le relazioni industriali hanno avuto e stanno avendo da alcuni anni. Pressoché inalterate per decenni per quel che riguarda soggetti, rapporti e contenuti, nell’ultimo periodo hanno subito profonde trasformazioni, anche sotto la spinta di eventi eccezionali e mai verificatisi prima in tale estensione come la grave crisi economica e finanziaria, la globalizzazione planetaria e lo straordinario sviluppo tecnologico che ha messo a dura prova il tradizionale rapporto di lavoro modificandone di fatto una serie di elementi.
Per quanto riguarda i soggetti – ha aggiunto Di Lalla – mai come in questo periodo, sono arrivati al Ministero, al CNEL, una miriade di contratti collettivi sottoscritti da sigle, di cui si fa fatica a comprendere chi sono e la loro consistenza. Tale proliferazione è anche l'effetto della mancata soluzione della questione della rappresentanza e della rappresentatività nel privato; nel pubblico, va detto, la questione è stata definita egregiamente ma qui è stato tutto più semplice perché non ci sono gli ostacoli e le valutazioni politiche, ideologiche e di interessi contrastanti del privato. Restano pertanto al momento senza risposta le domande che si riferiscono al potere contrattuale dei soggetti firmatari e al loro bacino d’utenza.”
Al termine dell’intervento di Di Lalla ha preso quindi la parola Marco Biagiotti, in qualità di esperto, che ha svolto una approfondita comunicazione tecnica sul tema delle relazioni industriali.
“Il dinamismo delle relazioni industriali – ha esordito Biagiotti – non è una novità. Esso ha accompagnato tutta la storia italiana economica e sociale del dopoguerra, mostrando spesso la capacità di sapersi muovere in anticipo rispetto agli interventi normativi di riforma del mercato del lavoro. Quello che è nuovo però, specialmente negli ultimi anni, è la dimensione del fenomeno ed anche la velocità di accelerazione delle trasformazioni, anche per effetto di alcune previsioni di legge che hanno delegato alla contrattazione collettiva nazionale, aziendale e territoriale, compiti importanti tra cui, persino, l’attuazione di pezzi significativi delle riforme varate nelle ultime legislature. L’impressione è che non abbiamo ancora un quadro di conoscenza esaustivo di quello che sta avvenendo e credo che questa lacuna ci riguardi soprattutto come pubbliche Istituzioni.
Oggi – ha aggiunto Biagiotti – abbiamo 900 accordi censiti come nazionali e per il secondo livello non abbiamo neppure la minima idea di quanti possano essere quelli esistenti nelle varie realtà del sistema produttivo o nei territori, per il semplice motivo che nessuno li raccoglie e li classifica in maniera estensiva e sistematica. Esistono diversi centri di ricerca pubblici e privati, come quelli delle organizzazioni sindacali e datoriali, o quelli che fanno capo ad alcune università, che realizzano e pubblicano indagini apprezzabili su base campionaria. Ma c’è un solo ente che possiede un data-base veramente ampio e che, periodicamente, fornisce un report dei dati contenuti in questo data-base, ed è il Ministero del Lavoro, per effetto dell’attività di raccolta dei contratti collettivi di secondo livello legati alla detassazione del premio di produttività.
Un aspetto che dovrebbe essere approfondito – ha detto ancora Biagiotti – riguarda la distribuzione territoriale di questi accordi. Da quel che risulta, la maggioranza di questi accordi di secondo livello sono finalizzati alla corresponsione dei premi di produttività, quindi allo sgravio fiscale sui premi in denaro, meno sul welfare aziendale; però, nello stesso tempo, la stragrande maggioranza degli accordi che prevedono il welfare aziendale risulta essere sottoscritta in aziende collocate nelle regioni del Nord.
Pochi giorni fa al CNEL – ha concluso Biagiotti – si è tenuto il tradizionale convegno di presentazione del rapporto sul mercato del lavoro e sulla contrattazione collettiva. Quest’anno il rapporto è stato realizzato in modo un po’ diverso dal solito, è stato fatto a tre voci, diciamo così, in collaborazione fra CNEL, ANPAL ed INAPP ed il tema principale (non l’unico, ovviamente, ma è stato il filone costante di tutto l’evento) è stato appunto il welfare contrattuale, l’evoluzione di questa istituzione alla luce dei dati disponibili. Sono venute fuori alcune cose molto interessanti, cose che fanno riflettere, per cui vi invito a leggere i documenti pubblicati sul sito del CNEL. E penso che molte di più ne verranno fuori nei prossimi mesi, allorché alcuni studi ancora in corso d’opera verranno completati.“
I lavori della tavola rotonda sono quindi proseguiti con gli interventi delle parti sociali. Per le associazioni datoriali ha preso la parola Pierangelo Albini, Direttore Area Lavoro e Welfare della Confindustria.
“Uno degli ultimi lavori di Massimo D’Antona – ha detto in premessa Albini – pubblicato su una rivista di diritto delle Relazioni Industriali, per chi ricorda la sua opera, il suo lavoro, è un contributo molto importante perché è lo sforzo che lui ha fatto per cercare di tenere insieme due cose molto difficili, cioè la mancata attuazione dell’art.39 della Costituzione, che è la causa di tutti i mali di cui Biagiotti ci ha parlato, e la realtà di fatto. Di quel contributo mi ha colpito una cosa, perché lui, in quel saggio, diceva una cosa che deve far riflettere ancora oggi e cioè che la Costituzione non tutela le organizzazioni sindacale (comprese quelle datoriali) per ciò che sono ma, in quanto manifestazione della libertà associativa e del pluralismo, per ciò che tipicamente fanno, riequilibrare il potere sociale nella sfera della produzione attraverso la rappresentanza collettiva di interessi, l’organizzazione del conflitto e la contrattazione collettiva.
Il tema delle identità delle organizzazioni che rappresentano gli interessi complessi – ha aggiunto Albini – è un tema importantissimo oggi perché è chiaro che chi rappresenta la realtà economica che si trasforma, la realtà sociale che si trasforma, a sua volta è portato a trasformarsi e guai se non fosse così. Quindi le relazioni sindacali cambiano perché gli interessi che bisogna rappresentare sono diversi e quindi anche i soggetti che fanno questo tipo di rappresentanza sono portati a trasformarsi, a cambiarsi. Io, che rappresento la Confindustria, una volta era una organizzazione che rappresentava solo le imprese manifatturiere, oggi le imprese manifatturiere in Confindustria sono il 50% del mondo che la Confindustria rappresenta. Ecco questo fatto del cambiamento, porta a sottolineare una sequenza di parole che non sono prive di significato secondo me, perché bisogna distinguere bene la necessità dai bisogni. Ecco la necessità, anche se spesso usiamo questi due termini come se fossero sinonimi, in realtà sono due cose molto diverse, perché la necessità descrive una cosa che è oggettiva, che ti è data dal contesto reale.
È evidente – ha proseguito ancora Albini – che la grande sfida, che oggi abbiamo è proprio quella di riuscire a capire nelle condizioni date quali sono i bisogni che devono essere soddisfatti e quali sono le logiche per soddisfarli. E le relazioni sono fatte da due cose: sono fatte dalle relazioni sindacali, le relazioni fra chi rappresenta i lavoratori e chi rappresenta l’impresa, ma anche da relazioni personali cioè le relazioni che nelle aziende più piccole, cioè quelle meno strutturate, quelle dove non c’è la rappresentanza, il datore di lavoro ha con i propri collaboratori. E tutte e due queste dinamiche, come dire, esistono. Funzionano. E stanno profondamente cambiando. Perché oggi la riflessione vera da fare è che l’equilibrio tra le due si sta spostando.
Per quanto riguarda la contrattazione di secondo livello – ha concluso Albini – è chiaro che la stessa avrà un futuro, coerente con ciò che le imprese dovranno affrontare, nella misura in cui sarà in grado di sviluppare modelli partecipativi. E comunque, la contrattazione c’è dove ci sono le imprese che hanno ricchezza da dividere, perché se non c’è ricchezza da dividere, difficilmente c’è anche da contrattare.”
Dopo l’intervento di Albini, ha svolto il suo intervento, per le associazioni sindacali dei lavoratori, Carlo Podda, Responsabile Gestione e Implementazione Accordi sulla Rappresentatività della CGIL.
“Partecipo a questo appuntamento – ha esordito Podda – non senza qualche emozione perché per molti anni ho lavorato fianco a fianco di Massimo, D’Antona, condiviso buona parte del lavoro su quelle che si chiamano Riforme Bassanini e che forse più propriamente potremo chiamare Bassanini-D’Antona, perché conosco il lavoro fatto nel “retrobottega” ed ho avuto la fortuna di poterne dare, sia pure modesto, contributo nelle discussioni che quotidianamente, per un lungo periodo di tempo, ho fatto con Massimo, dal primo decreto legislativo 80 che riformava il sistema contrattuale del lavoro pubblico, fino alla stesura del decreto legislativo 165. Poi, purtroppo ahimè, infelicemente modificato dai governi che si sono susseguiti ed i cui danni i lavoratori pubblici ma io penso che coloro che dei lavoratori pubblici si servono, i cittadini e le imprese pagano ancora la conseguenze.
Comincerò con il fare una affermazione – ha proseguito Podda – che non è tipica dell’organizzatore sindacale, dell’agitatore sociale, che normalmente comincia dicendo: “Viviamo in una fase difficilissima, negativa!”. Io oggi invece dirò così: penso che siamo dentro una straordinaria opportunità, questa opportunità è data dal fatto che ci stiamo lasciando alle spalle una crisi decennale, con una ripresa che molti economisti definiscono a “Canne d’organo”, non avremo una crescita generalizzata, pari in ogni settore. Alcuni non cresceranno più, bisogna saperlo, altri nuovi si affacceranno, altri stanno per fortuna riprendendo. Dentro questo c’è una crescita dell’occupazione, ma proprio dall’analisi dei dati forniti dal Ministero del Lavoro risulta essere in atto una mutazione nel mercato del lavoro con la forte crescita del lavoro precario. Dentro questo c’è una mutazione ulteriore che deriva da quella che originariamente è stata definita industria 4.0, che noi dal punto di vista sindacale chiamiamo lavoro 4.0 e cioè all’alba di una rivoluzione che sta già producendo i suoi effetti e che cambierà radicalmente il lavoro in ogni suo aspetto. Cambia nel settore manifatturiero, nel settore dei servizi e, perché no, lo cambierà anche nel lavoro pubblico.
Per questo – ha aggiunto il rappresentante della CGIL – dico c’è un’opportunità, perché questo incantesimo che raccontava che non c’era più bisogno di nessuna rappresentanza sociale si è rotto, è andato in frantumi e siamo di fronte ad una opportunità, una sfida che viene posta a tutte le organizzazioni. Siamo adeguati? ecco questa è la domanda a cui rispondere Beh io dico di no. Lo dico senza problemi, perché se vuoi chiedere conto agli altri, devi essere prima di tutto in grado di fare i conti con te stesso. Io penso che noi abbiamo bisogno di uno svecchiamento delle organizzazioni della rappresentanza, di un loro ammodernamento e di una loro messa a sistema, in un quadro un po' più chiaro, posso dire, senza nessuna connotazione di carattere morale, un po' più trasparente, nel senso che si capisca di più chi siamo, chi rappresenta chi, e che cosa cerchiamo di rappresentare, cosa cerchiamo di fare.
Da appassionato del lavoro pubblico – ha detto ancora Podda – ho notato, entrando al Ministero del Lavoro, dalla lettura delle bacheche sindacali che ci sono delle cose che riguardano sia l’ANPAL che l’INL che non stanno andando con la velocità che noi tutti vorremmo che andasse. Siccome quella è una strada che noi come obiettivo abbiamo anche condiviso, sono qui a dire anche a nome dei miei colleghi di questo posto di lavoro, che ci aspettiamo un impulso da parte del Ministro perché queste cose vengano messe nelle condizioni di fare quei compiti straordinari che sono chiamati a svolgere.
Infine – ha concluso Podda – se pensate alla vicenda del 4.0 ed al fatto che lo sviluppo della competizione, anche internazionale, avviene nei territori, non avviene a livello nazionale, l’Emilia compete con la Baviera, non è l’Italia che compete con la Germania, allora c’è bisogno di un livello di contrattazione triangolare nei territori tra le parti e con la partecipazione delle istituzioni su come si organizza lo sviluppo e quali sono le linee verso le quali si procede. Perché oggi bisogna decidere che direzione prende questo nuovo modello di sviluppo. E pensare di farlo senza il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei territori porta alla moltiplicazione dei casi Tap o delle vicende dell’ILVA. Perché se un territorio si sente scavalcato, se la comunità di quel territorio si sente scavalcata sul modello di sviluppo che lì si sta affermando, si crea la sindrome del da me non vi ci potete mettere, fatelo dove volete purché non si faccia da me e noi questo dobbiamo evitarlo, prevenirlo piuttosto che curarlo una volta che il problema si è verificato. Grazie ancora.”
Ha preso quindi la parola, per le conclusioni, Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali.
“È sempre una bella occasione – ha esordito il Ministro del Lavoro – quella di incontrarci in questa sede e riflettere a partire dal pensiero di Massimo D’Antona, perché anche gli interventi di Pierangelo Albini e di Carlo Podda, dimostrano che quel pensiero continua ad alimentare la possibilità di riflettere, di ragionare, di scavare in quei contenuti ed utilizzarli certo in una dimensione diversa, che è quella odierna, quella di un mondo che è cambiato e sta cambiando, ma dove dei pilastri della nostra riflessioni possono essere individuati, essere utilizzati per costruire anche una prospettiva futura.
Accediamo all’idea che siamo di fronte – ha proseguito Poletti – ad una fase di cambiamento importante che ha dentro grandi contraddizioni ma anche grandi opportunità e grandi sfide. E questa situazione non è risolvibile attraverso delle scorciatoie, che siano di disintermediazione o di altra natura. Considero che la complessità, l’innovatività delle situazioni, le dinamiche sociali che abbiamo di fronte sono tali per cui non c’è un’istituzione che ha una risposta, non c’è una persona che ha una risposta, non c’è un contesto che è in grado di dare compiutamente una risposta a questi dati. O siamo in grado veramente di costruire questa grande operazione di integrazione oppure i risultati saranno sempre e comunque minori di quelli che potrebbero essere. Quindi io continuo a pensare che allora il tema dell’adeguatezza è un tema che vale per tutti. Vale per tutti: per la politica, per le istituzioni, per le rappresentanze sociali, per le rappresentanze imprenditoriali, perché, perché così è il dato.
Se vogliamo guardare alle tematiche che sono al centro della riflessione di oggi – ha aggiunto ancora il Ministro Poletti – è evidente che c’è stato e c’è un dinamismo delle relazioni e c’è una discussione aperta sul ruolo dei contratti e della contrattazione nazionale, territoriale ed aziendale. Beh io credo che intanto c’è una prima faccenda che è già dentro la discussione, sulla quale forse dovremo lavorare un po' di più e cioè quali sono le materie tipiche da contratto? Perché se andiamo a vedere i contratti nella loro storia, scopriamo che non si è contrattato sempre e solo quelle cose. C’è da un lato un tema del ‘Che cos’è che contrattiamo?’ e dall’altro lato c’è il come ed il dove. Io sono tra i sostenitori della tesi che serve il contratto nazionale e serve la contrattazione aziendale e territoriale. Io credo che non ci sia un assolutismo logico e di teorie, condizioni di fatto che in giro in qualche paese europeo stanno scritte anche nelle leggi, della serie l’alternatività delle forme contrattuali e quindi se hai il contratto aziendale o di gruppo non hai il contratto nazionale. Quindi non stiamo parlando di qualcosa di impensabile, parliamo di qualcosa che oggi è presente. Penso che per la storia del nostro paese la dimensione del contratto nazionale ha una sua ragione, una sua logica ed una sua, credo, finalità importante. Questo non toglie che dovremo provare ad agire sul tema della contrattazione di prossimità, aziendale o territoriale in ragione delle condizioni, anche qui naturalmente provando a fare questo lavoro che si sta provando a fare della discussione che è aperta sulle materie, sulla finalità, sul che cosa deve essere riservato eventualmente al contratto nazionale, che cosa, invece, è bene che trovi una sua presenza all’interno di una contrattazione territoriale o aziendale.
Mi soffermo brevemente sul tema del Welfare – ha proseguito Poletti – perché credo che questo sia un tema per cui vale la pena riflettere, questo è un elemento che è entrato dentro la contrattazione sulla base di un pensiero che io sostengo e cioè che questa materia è materia delle parti e quindi la parte pubblica, quello che può fare e deve fare è produrre un contesto favorevole ed eventualmente incentivare delle politiche, delle azioni e dei comportamenti. Non sono d’accordo che la legge stabilisca A, B o C, io penso che da questo punto di vista le parti hanno un ruolo, una responsabilità e quel ruolo e quella responsabilità la esercitino. Da qui il tema della rappresentanza e rappresentatività, la misurazione, la determinazione con i problemi che conosciamo tutti perché sappiamo che non è semplicissimo da realizzare ma sappiamo che anche all’interno dei nostri mondi, adesso uso il plurale, tutti noi troviamo delle difficoltà a realizzare questo passaggio, perché dobbiamo raccogliere delle informazioni, dicevate voi, facciamo fatica a farci dare gli accordi anche da chi appartiene alla nostra organizzazione. Quindi vuol dire che c’è una difficoltà, dobbiamo superare. Bene io credo che questo elemento del Welfare sia un elemento importante, noi abbiamo cercato di sostenerlo attraverso interventi normativi che hanno anche un onere per la collettività.
Io penso – ha detto in conclusione il Ministro del Lavoro – che la riflessione che si è sviluppata anche oggi, il dialogo che si è continuato a svolgere è esattamente questo qui, dentro questa dinamica non avere paura di guardare queste situazioni ed accedere all’idea che ciò che abbiamo storicamente conosciuto non è detto che abbia al proprio interno le risposte alle domande che abbiamo di fronte. Quindi abbiamo bisogno di quella che continuo a definire una intelligenza collettiva, che è niente di più e niente di meno che la capacità di dialogo, la capacità di confronto, che è la capacità di riflessione, che è la responsabilità della decisione che compete ognuno di noi. Perché se la gestiamo in questo modo a partire dal fatto che prima costruiamo un dato di consapevolezza, poi analizziamo e valutiamo i fenomeni e poi ognuno nella propria responsabilità, svolge i propri compiti, riconoscendo all’interno della società la responsabilità che ogni soggetto ha, beh io credo che su quella strada siamo in grado di costruire la novità. La risposta alla domanda e accettare la sfida. Diversamente se ognuno si chiude nel suo rettangolo, la cosa più banale che ti viene in mente di fare è tenere ciò che hai e siccome il mondo non è fermo se tu ti tieni quello che hai, finisci fuori giri molto, molto presto. Quindi noi non dobbiamo scivolare mai nella tentazione del ma io quello che ho pensato andava bene e va bene, è l’unico modo di difendere quello che sono è, tra virgolette, rimanere quello che sono. Ma pensare di essere un protagonista di una società che sta misurandosi con questi problemi e queste opportunità e tu hai il tuo ruolo da giocare. Lo hai nella consapevolezza che questa è una parte di un insieme che vede tanti protagonisti e che dentro questo insieme, e che questo insieme avrà la forza di costruire una risposta alle domande, che prese singolarmente magari, come posso dire, ti spingono ad avere qualche preoccupazione o qualche paura e quindi a rifugiarti nel teniamoci quello che abbiamo perché quello che verrà è ragionevolmente probabile che sia peggio. Io penso che l’unico, come posso dire, l’unico antidoto a questo impianto, sia appunto, di sapere che tutti quanti viviamo quel contesto, tutti quanti ci misuriamo con quel contesto e tutti quanti insieme, la risposta, come posso dire a quel cambiamento, a quel un pensiero nuovo, siamo in grado di produrla proprio perché non sei da solo a farlo, ma sei dentro un contesto sociale che ti consente di produrre questo risultato. Io ringrazio tutti quelli che hanno lavorato e la Fondazione perché è sempre una buona occasione, almeno dal mio punto di vista, per ragionare su qualcosa che io considero molto importante.”
[*] Direttore Esecutivo Fondazione Prof. Massimo D’Antona
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