L’efficacia probatoria in giudizio delle dichiarazioni rese agli ispettori del lavoro
Il rapporto tra testimonianze rese al funzionario ispettivo e quanto riferito al giudice
di Silvana Massaro [*]
Dopo avere esaminato le varie pronunce della suprema Corte di Cassazione circa l’efficacia probatoria in giudizio delle dichiarazioni acquisite in occasione di una verifica ispettiva (“Le dichiarazioni rese al funzionario ispettivo: l’efficacia probatoria in giudizio secondo la Cassazione”, numero 8, marzo/aprile 2015), proseguiamo l’esame sull’altro importante aspetto della questione della possibile divergenza tra quanto dichiarato al personale ispettivo nel corso della procedura sanzionatoria e quanto riferito in giudizio al giudice dell’opposizione ad ordinanza ingiunzione.
Il vincolo attenuato del giudice
di servirsi delle prove offerte dalle parti
Il giudice nel formare il suo convincimento circa la verità dei fatti affermati nella domanda dall’attore, nonché nella contro domanda del convenuto, si serve di quegli strumenti tecnici di convincimento circa la verità dei fatti che sono le prove offerte dalle parti in giudizio ai sensi dell’art. 115 c.p.c.[1] (il c.d. principio dispositivo delle prove che, nel rito del lavoro, tuttavia, secondo l’orientamento più accreditato, va contemperato con quello della ricerca della verità materiale).
I poteri istruttori del giudice dell’opposizione
ad ordinanza ingiunzione
In particolare, per il giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione incardinato dal 6 ottobre 2011, strutturato sulla base dell’art. 6 del D.Lgs. n. 150/2011, integrato dalle norme che disciplinano il processo del lavoro, secondo anche quanto chiarito dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 28/2011[2], i poteri istruttori del giudice vengono disciplinati dall’art. 2 del medesimo decreto e dall’art. 421 c.p.c., con l’esclusione del terzo comma che, secondo l’art. 2 del citato D.Lgs. n. 150/2011, non trova applicazione nelle controversie regolate dal capo II del medesimo decreto, salvo il caso in cui venga espressamente richiamato.
Il giudice dell’opposizione, in base a tali norme di riferimento, nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 421, secondo comma c.p.c., può disporre d’ufficio in qualsiasi momento, l’ammissione di ogni mezzo di prova, nel rispetto dei limiti stabiliti dal codice civile (art. 2, comma 4 del citato decreto)[3] inoltre, secondo l’ultimo comma dell’art. 421“ove lo ritenga necessario, può ordinare la comparizione, per interrogarle liberamente sui fatti della causa, anche di quelle persone che siano incapaci di testimoniare a norma dell’art. 246 o a cui sia vietato a norma dell’art. 247”, trovando così soluzione l’annosa questione sulla capacità a testimoniare dei lavoratori dell’azienda ispezionata.
Il giudice pertanto, nel processo di opposizione in argomento, dispone di ampi poteri istruttori “officiosi” che costituiscono in ogni caso un’eccezione rispetto alla sopra riportata regola della necessità della indicazione di parte.
Il c.d. principio della libera valutazione delle prove
Con riguardo alla questione della contraddittorietà tra le dichiarazioni contenute nei verbali ispettivi da depositare in cancelleria ai sensi dell’art. 6, comma 8 del D.Lgs. n. 150/2011 quali tipiche prove precostituite in materia ispettiva e le deposizioni testimoniali raccolte in udienza, i giudici del merito hanno fornito indicazioni contrastanti in considerazione del principio generale in tema di valutazione delle prove stabilito dall’art. 116 c.p.c.[4] che enuncia il principio della libera valutazione da parte del giudice, secondo il suo prudente apprezzamento.
Valutazione delle prove
secondo l’art. 116 c.p.c.
In particolare: “In tema di valutazione delle prove, nel nostro ordinamento, spetta in via esclusiva al Giudice del merito, in forza del principio generale di cui all’art. 116 c.p.c., il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così, liberamente prevalenza (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti” (Cass. Sez. 3, sentenza n. 7074 del 28/03/2006).
Ancora: “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. civ., Sez. Lav., 21 luglio 2010, n. 17097)[5].
Infine: “in tema di valutazione delle prove, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo rimessa la valutazione delle prove al prudente apprezzamento del giudice” (Cass. civ., Sez. III, 18 aprile 2007, n. 2945),
Tanto considerato nella giurisprudenza di merito va registrato l’orientamento in base al quale si ritiene di dare maggiore credito alle dichiarazioni rese in sede di verbale ispettivo rispetto a quelle rese in sede giudiziale.
Partendo dall’assunto che nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa, il verbale contenente le dichiarazioni acquisite dal funzionario ispettivo, pubblico ufficiale, essendo un atto pubblico, è dotato della fede privilegiata di cui all’art. 2700 c.c. e, pertanto, in difetto di proposizione dell’unico rimedio all’uopo previsto, ossia la querela di falso, fa piena prova circa la effettiva provenienza delle predette dichiarazioni da parte di coloro che le hanno sottoscritte e sul fatto che tali soggetti hanno reso le dichiarazioni trasfuse nel verbale allo stesso pubblico ufficiale, è stata conferita una maggiore attendibilità alle dichiarazioni rilasciate agli Ispettori rispetto a quelle successivamente rese in giudizio nel ritenere le prime più veritiere e genuine in base alla considerazione di una serie di elementi di fatto.
Le testimonianze raccolte in sede giudiziaria davanti al giudice dell’opposizione, valutate ai sensi dell’art. 116 c.p.c., appaiono meno genuine e credibili rispetto alle dichiarazioni raccolte nel corso della verifica ispettiva e ciò in considerazione che la diversa versione dei fatti viene fornita spesso a notevole distanza dall’accertamento o quando gli stessi testi sono ormai presumibilmente venuti a conoscenza della sanzione irrogata e “causata” dalle stesse dichiarazioni laddove, nell’immediatezza dei fatti, i dichiaranti furono “colti di sorpresa” ed impreparati sul da dirsi, al di fuori dunque di ogni condizionamento da parte dell’opponente il quale, peraltro, non può essere presente nel momento in cui viene resa la dichiarazione al funzionario ispettivo e anche quando risultano contenere una dovizia di particolari in ordine ai tempi e alle modalità di esecuzione dell’attività lavorativa, ovvero risultano compatibili e convergenti con altri dati testimoniali e/o documentali raccolti in sede ispettiva.
Così, nella sentenza n. 1625 del 14/04/2009 del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, si legge che: “Le dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti, presentano una spontaneità e genuinità che non possono essere trascurate non avendo i lavoratori sentiti alcun interesse a riferire i fatti che non rispondono al vero. Nè risulta che vi fossero ragioni di astio o rancore tali da giustificare l’esposizione di circostanze non corrette. Inoltre le stesse dichiarazioni contengono una serie di precisazioni e puntualizzazioni in ordine ai tempi ed alle modalità con cui era svolta l’attività lavorativa che non possono che rafforzare tale valutazione”.
Un tale valutazione operata dal giudice di merito è stata sottoposta anche al giudizio di legittimità della suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. sez. lav. n. 13910 del 2001; Cass. Civ. sez. lav. n. 3527 del 9 marzo 2001; n. 9962 del 2002; Cass. Civ. sez. lav. 20 novembre 2007, n. 24128; Cass. Civ. sez. lav. 29 ottobre 2012 n. 18551, Cass. Civ. sez. lav. 8/09/2015 n. 17774).
Così nella sentenza n. 13910 del 2001, la Corte Suprema di Cassazione civile, sez. lav., nel ritenere infondati il primo motivo di censura di violazione di legge: art. 360, n. 5 c.p.c. [6] per illogicità della motivazione della sentenza, nonché il secondo motivo di violazione di legge, sempre sotto il profilo di cui all’art. 360, n. 5 c.p.c., per carenza di motivazione, afferma che:
“I giudici di secondo grado, infatti, basandosi su una serie di elementi di fatto e documentali rettamente valutati e considerati, hanno conferito attendibilità alle dichiarazioni rese all’Ispettore dell’Istituto da due testi, rispetto a quelle rese in giudizio dagli stessi, avendo ritenuto le prime più veritiere e genuine, giustamente arguendo che le dichiarazioni rese nell’immediatezza dell’accesso ispettivo e sotto “l’effetto sorpresa” non possono essere messe nel nulla da una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa un mese dopo e troppo precisa nei riferimenti temporali per pervenire da una persona quasi analfabeta (quale uno dei testi) che asserisce di non saper distinguere “un numero da un altro o un anno da un altro”.
“Se si ricorda il costante insegnamento di questa Corte, secondo cui la valutazione delle risultanze della prova testimoniale e il giudizio sull’attendibilità dei testi (e sulla credibilità) involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice nel merito, il quale nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare ogni deduzione difensiva (cfr. ex multis Cass. n. 2008/96), ci si convincerà come la sentenza sia del tutto immune da censure o critiche di sorta, e ciò anche alla luce del rilievo che in ricorso non viene indicata quale norma di legge sarebbe stata violata”.
Con la sentenza n. 18551 del 29/10/2012, la Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello che aveva condiviso il giudizio del giudice di primo grado il quale “aveva ritenuto di dare maggiore credito a quanto dichiarato dai lavoratori nel corso dell’accertamento ispettivo rispetto alla versione fornita dai testi in sede istruttoria”.
“La Corte di Appello condivideva tale giudizio rilevando che la prima versione si presentava dotata di un maggior grado di attendibilità e genuinità anche per l’univocità delle dichiarazioni e la circostanziata descrizione dei fatti…”.
Per la cassazione di tale sentenza, la società proponeva ricorso affidandolo a otto motivi e, in particolare, con i primi tre, denunciava “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 1697 e 2700 c.c. (art. 360 c.p.c. n. 3) e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c. n. 5), sostenendo l’erronea interpretazione dei principi che regolano la valenza indiziaria delle informazioni trasfuse nei verbali ispettivi, pure in relazione alla possibilità che queste siano invalidate dalla prova contraria; l’erronea valutazione delle dichiarazioni rese dai lavoratori nel corso dell’ispezione, l’omessa considerazione delle contrarie risultanze della prova testimoniale”.
Nel ritenere infondati tali motivi, la Corte di Cassazione ha richiamato anzitutto la propria costante giurisprudenza secondo la quale “i verbali redatti dagli ispettori del lavoro o comunque dai funzionari degli enti previdenziali, fanno fede fino a querela di falso ai sensi dell’art. 2700 c.c. solo relativamente alla loro provenienza dal sottoscrittore, alle dichiarazioni rese ed agli altri fatti che egli attesti come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’inchiesta per averle apprese da terzi o in seguito ad altre indagini, i verbali per la loro natura di atto pubblico hanno un’attendibilità che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria” (Sezioni unite n. 916 del 3/02/1996; conf. nn. 3973 e 7168 del 1998; nn. 3374 e 5141 del 1999; n. 5227 del 2001, n. 13003 del 2003; n. 12009 del 2004).
È poi riportato: “La censura secondo cui la Corte di appello avrebbe violato i principi di diritto di cui agli artt. 115, 116 c.p.c. e artt. 2697 e 2700 c.c., non è fondata, atteso che non è stato attribuito alcun valore di prova privilegiata, ma le circostanze riferite dai lavoratori sono state motivatamente apprezzate in una valutazione comparativa con le risultanze istruttorie, privilegiando le prime per una serie di argomenti di ordine logico, nemmeno specificamente censurate dalla ricorrente.”
“In tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità” (Cass. n. 14267 del 2006; cfr. pure Cass. 12 febbraio 2004 n. 2707)”.
“Il ricorso in esame sollecita, nella forma apparente della denuncia di error in iudicando, un riesame dei fatti, inammissibile in questa sede”.
“Quanto al vizio di motivazione (art. 360 c.p.c. comma 1, n. 5) premesso che questo può rilevare solo nei limiti in cui l’apprezzamento delle prove, liberamente valutabili dal giudice di merito, costituendo giudizio di fatto, si sia tradotto in un iter formativo di convincimento affetto da vizi logici o giuridici, restando altrimenti insindacabile, deve rilevarsi che risultano enucleabili soltanto tre censure dotate di un sufficiente grado di specificità rispetto alla motivazione della sentenza impugnata. Si sostiene che la Corte di appello avrebbe trascurato di considerare alcuni fatti di importanza determinante: …” e si conclude che “i fatti dedotti con tali censure sono privi di decisività”.
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza dell’8/09/2015 n. 17774 infine, ha rigettato un ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello che, confermando la sentenza del Tribunale di Salerno, alla base del decisum, poneva il rilievo fondante secondo il quale la prova del credito dell'INPS era evincibile dalle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva alle quali doveva darsi prevalenza, rispetto a quelle rese in sede giudiziaria, essendo le stesse fornite nell'immediatezza dei fatti.
Avverso tale sentenza la società ricorreva in cassazione in ragione di quattro censure.
In particolare, con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli artt. 113, 115, 116, e 244 c.p.c. nonché dei principi generali in materia di formazione e valutazione della prova, sostenevano “che erroneamente la Corte del merito ha attribuito alle dichiarazioni verbalizzate dagli ispettori dell'INPS valore di prova prevalente su quelle raccolte in giudizio”.
La suprema Corte, nel ritenere infondato tale motivo, ha affermato: “Costituisce, invero, principio ripetutamente affermato da questa Corte quello secondo cui verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o dell'Ispettorato del lavoro fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi attestino avvenuti in loro presenza o da loro compiuti, mentre, per le altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di avere accertato (ad esempio, per le dichiarazioni provenienti da terzi, quali i lavoratori, rese agli ispettori) il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti (Cass. 19 aprile 2010 n. 9251 e Cass. 6 settembre 2012 n. 14965).
“È corretta in diritto, pertanto, la sentenza impugnata che conferisce alle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di verbale ispettivo maggiore attendibilità, per essere state le stesse fornite nell'immediatezza del fatto, rispetto a quelle rese in sede giudiziale.
Del resto è al giudice del merito che spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) (Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e 27 luglio 2008 n. 2049)”.
In definitiva, considerato che nel nostro ordinamento, al di fuori della prova legale sottoposta dal legislatore ad un’aprioristica valutazione della sua efficacia, non si può attribuire necessariamente una maggiore valenza probatoria alle dichiarazioni rese in sede giudiziale rispetto a quelle rese in sede ispettiva, spettando in via esclusiva al giudice del merito, in forza del principio generale di cui all’art. 116 c.p.c., il compito di individuare di volta in volta le fonti del proprio convincimento dando così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, e non incontrando altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, si può comunque affermare che l’attività investigativa svolta da personale ispettivo, nel fornire elementi di riscontro sia interni alla stessa dichiarazione di cui è in gioco l’attendibilità (con un contenuto preciso e dettagliato) che esterni alla stessa, in quanto coerente ad altri dati documentali e/o testimoniali, potrà portare il giudice del merito a dare prevalenza a tali dichiarazioni acquisite nel corso della procedura sanzionatoria rispetto a quelle acquisite in giudizio.
Note
[1] L’art. 115 c.p.c. rubricato “Disponibilità delle prove” così recita: “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita.
Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.”
[2] Con la circolare n. 28 del 2 novembre 2011, avente ad oggetto il “D.Lgs. n. 150 del 1° settembre 2011”, il Ministero del Lavoro ha fornito le prime istruzioni in merito alla nuova disciplina processuale del giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione.
[3] L’art. 2, c. 4 D.Lgs. n. 150/2011 dispone: ”Salvo che sia diversamente disposto, i poteri istruttori previsti dall’art. 421, secondo comma, del codice di procedura civile non vengono esercitati al di fuori dei limiti previsti dal codice civile”.
[4] L’art. 116 c.p.c. rubricato “Valutazione delle prove” cosi dispone: “Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell’articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinato e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”.
[5] Conf. Cass. Sez. L. sentenza n. 11933 del 7/08/2003; Cass. n. 9662 del 2001; n. 13910 del 2001; Sez. L. sentenza n. 10739 del 2/12/1996.
[6] Occorre fare notare che il punto n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, invocato nel motivo di ricorso in esame, così recitava: “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio”, tale formulazione era stata ulteriormente modificata dal legislatore del 2006 (art. 2 del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), nel senso che il vizio di motivazione avrebbe dovuto riguardare «un fatto controverso e decisivo per il giudizio», sino all’attuale numero 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nella versione di testo introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. 22/06/2012, n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012, n. 134, che consente il ricorso per cassazione solo per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. A norma dell’art. 54, c. 3, del medesimo decreto, tale disposizione si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del predetto decreto.
[*] Avvocato - Funzionario ispettivo dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro in servizio presso l’ITL di Cosenza – AREA Legale e Contenzioso. Le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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